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Giornalisti intercettati: negata la tutela delle fonti, un vero disastro per la libertà di informazione

17 Aprile 2021 13 min lettura

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Giornalisti intercettati: negata la tutela delle fonti, un vero disastro per la libertà di informazione

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Il 2 agosto 2017, la nave "Iuventa" della ONG Jugend Rettet viene sequestrata dalla Procura di Trapani. I magistrati siciliani indagano per il reato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. Durante la conferenza stampa, avvenuta dopo il sequestro della nave, l’allora procuratore di Trapani, Ambrogio Cartosio, aveva detto: «Si è accertato che questa imbarcazione abbia effettuato interventi non per salvare dei soggetti in pericolo di vita, ma per trasbordare sull'imbarcazione delle persone scortate dai trafficanti libici». Il procuratore aveva dichiarato di aver documentato (con foto e video) degli incontri in mare tra membri dell’equipaggio e scafisti, ma escludeva collegamenti (anche per scopi economici) tra l’ONG e trafficanti libici: «Un collegamento stabile tra la ONG e i trafficanti libici è pura fantascienza». Proprio per questo motivo, l’indagine della Procura non aveva contemplato anche il reato di  associazione a delinquere. Per Cartosio infatti «le finalità dei trafficanti erano ben diverse rispetto a quelle dell’equipaggio Iuventa» che avrebbe commesso quanto imputato per «per motivi umanitari». Nel corso del tempo, l'avvocato della ONG ha presentato più ricorsi contro il sequestro della nave, ma la Cassazione lo ha confermato.

A circa quattro anni di distanza, lo scorso 3 marzo, viene pubblicata la notizia che la Procura di Trapani ha notificato l'avviso di chiusura d'indagine a 21 persone coinvolte: “L'indagine, che ipotizza il reato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, – scrive l’Ansa – si è estesa anche ad altre due ONG: Save the Children e Medici Senza Frontiere” che all’epoca erano in attività con le navi di soccorso Vos Prudence e Vos Hestia. I reati contestati a vario titolo agli indagati, oltre a quello di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, sono “falso ideologico commesso in atto pubblico, omessa denuncia, e esecuzione o rimozione arbitraria e omissione di segnali del codice navale. Secondo i pubblici ministeri Brunella Sardoni e Giulia Mucaria, le ong avrebbero permesso l'ingresso in territorio italiano dei migranti, in alcuni casi i trasbordi sarebbero avvenuti fuori le acque italiane, in prossimità delle coste libiche e con la compiacenza dei trafficanti”, riporta Il Fatto quotidiano. Dall'inizio dell'inchiesta alla chiusura delle indagini si sono susseguiti diversi procuratori capo alla guida della Procura di Trapani: pochi giorni dopo il sequestro della Iuventa, Cartosio è passato a guidare la Procura di Termini Imerese. Al suo posto è stato designato Alfredo Morvillo, che poi è andato in pensione a maggio dello scorso anno. Da allora il procuratore aggiunto Maurizio Agnello svolge il ruolo di procuratore facente funzioni di Trapani.

Medici senza frontiere (MSF), commentando quanto emerso dall'inchiesta, ha scritto: “Fin dall’inizio, abbiamo respinto ogni accusa e ribadito la piena legittimità della nostra azione, che abbiamo sempre svolto in modo trasparente, sotto il coordinamento delle autorità competenti e nel rispetto della legge, con l’unico obiettivo di salvare vite umane. Siamo certi che i procedimenti lo confermeranno, ma si apre un altro lungo periodo di fango e di sospetti sull’operato delle organizzazioni in mare, insieme all’ennesimo inaccettabile attacco al diritto al soccorso”. Stessa reazione di Save The Children: “Siamo certi di aver sempre agito nel pieno rispetto delle legge e del diritto internazionale e in costante coordinamento con la Guardia Costiera Italiana. Ribadiamo di aver sempre lavorato solo ed unicamente per salvare vite umane. Siamo fiduciosi che l'intera vicenda, non appena tutti i fatti saranno stati adeguatamente rappresentati e considerati, potrà essere chiarita confermando la correttezza del nostro operato”. 

Un mese dopo, un articolo del giornalista Andrea Palladino su Domani pone questioni rilevanti sulle modalità di indagine portate avanti dagli inquirenti siciliani. L'articolo racconta che “sono centinaia le pagine di intercettazioni, trascritte e depositate nell’inchiesta della Procura di Trapani (...) che riguardano i giornalisti. Nomi di fonti, contatti, rapporti personali, dati che il codice di procedura penale tutela come segreto professionale”. Per questo motivo, scrive il giornalista, “a finire nel mirino della polizia giudiziaria – lo Sco, la squadra mobile di Trapani e il comando generale della guardia costiera – è anche l’informazione che dal 2016 racconta lo scenario delle morti per affollamento nel Mediterraneo centrale”. 

Tra i giornalisti che seguivano i flussi migratori intercettati indirettamente mentre parlavano con le proprie fonti, ci sono Francesca Mannocchi, Nello Scavo di Avvenire, Sergio Scandura di Radio Radicale, Antonio Massari del Fatto Quotidiano, Fausto Biloslavo de Il Giornale e Claudia di Pasquale di Report. Il caso più eclatante, però, continua Palladino, è quello della giornalista esperta di Libia, Nancy Porsia: “È stata intercettata a lungo (...) anche durante le telefonate con il proprio legale (...) nelle quali riferiva la preoccupazione per le minacce ricevute dalle milizie libiche guidate da al-Bija”. Di Abd al-Rahman al-Milad, detto "Bija", descritto in numerose inchieste giornalistiche come uno dei più potenti e spietati trafficanti di esseri umani in Libia e inserito nella lista delle sanzioni del Consiglio di Sicurezza dell'ONU per crimini legati al traffico di migranti dal paese del Nordafrica all'Europa, si era parlato molto nel 2019 dopo uno scoop di Avvenire che aveva mostrato delle foto che lo ritraevano a maggio 2017, durante il governo di Paolo Gentiloni del Partito democratico (con l’allora ministro dell’Interno Marco Minniti), all'interno di una delegazione libica arrivata da Tripoli in Sicilia per discutere con diverse autorità italiane della gestione dell'accoglienza dei migranti.

Leggi anche >> Quegli incontri in Italia con uno dei più spietati trafficanti libici di esseri umani

Nel documento di 22 pagine su Porsia “firmato Sco, squadra mobile e comando generale della Guardia Costiera – ci sono fotografie, contatti sui social, rapporti personali e nomi di fonti in un’area considerata tra le più pericolose dell’africa del nord”, si legge. L'inchiesta viene ripresa anche da diverse testate internazionali. 

Su Domani alcuni dei giornalisti le cui conversazioni sono finite trascritte nelle carte della Procura di Trapani hanno commentato questa notizia. «Tutto quello che abbiamo fatto per testimoniare quella rotta di mare lo abbiamo fatto sempre all'interno dei confini legali e deontologici, in uno scenario e in un dibattito italiano in cui il fenomeno migratorio è stato usato spesso solo per scopi politici. Il fatto che, oltre alle ong, anche il lavoro giornalistico sia destinatario di un controllo così capillare mi colpisce, mi scuote e mi preoccupa», ha detto Francesca Mannocchi. «Non è una cosa che mi sorprende, piuttosto mi stupisce la quantità di giornalisti coinvolti in questa pesca a strascico. Nessuno di noi reporter intercettati ha commesso niente di illecito, abbiamo fatto bene il nostro lavoro parlando con le fonti. Non mi sorprende, tuttavia non è una cosa che posso accettare», ha dichiarato Nello Scavo di Avvenire. Antonio Massari de Il Fatto Quotidiano ha spiegato che essere «stato intercettato indirettamente mentre parlavo con un indagato per trovare un riscontro a una notizia dell’epoca, è una cosa che non mi fa piacere ma non mi scandalizza più di tanto», mentre ha trovato gravissimo «quello che è accaduto alla collega Nancy Porsia perché attraverso di lei, che non era indagata, la Polizia giudiziaria e la procura hanno cercato di attingere informazioni che era compito loro ottenere, non della collega che fa un altro lavoro. Nei fatti si è trasformato una giornalista in una sorta di agente sotto copertura ed è passato il dannoso principio per il quale la riservatezza della comunicazione e delle fonti sono stati rasi al suolo».

Dopo l’inchiesta pubblicata da Domani, l’ordine dei giornalisti ha comunicato che "tutte le iniziative a tutela del segreto professionale saranno valutate nelle sedi competenti". Il presidente della Federazioni nazionale stampa italiana (FNSI), Beppe Giulietti, ha dichiarato che “l’uso sistematico delle intercettazioni per individuare le fonti dei giornalisti viola le sentenze della corte europea" e ha richiesto "il rafforzamento delle norme in materia di segreto professionale”. 

Intervistata durante il programma “Propaganda live” su La7, Porsia ha dichiarato di non aver trovato ancora la risposta alla domanda sul perché sia successo questa cosa, «se non nell’ambito della speculazione politica». La giornalista spiega di essere l’unica giornalista su cui avviene «questo accanimento» investigativo anche se, rispetto agli altri suoi colleghi finiti nelle intercettazioni, ha trattato «in maniera del tutto marginale il tema su cui gli inquirenti stavano indagando», cioè «il ruolo delle ONG nel mediterraneo». Porsia continua affermando che invece il cuore del suo lavoro giornalistico non è su quanto succede al largo delle coste libiche, ma su quello che accade in Libia, sulla terraferma. Secondo la giornalista, quindi, il tema «è il traffico di esseri umani e in particolare il coinvolgimento di alcuni ufficiali libici nel traffico di esseri umani e questo succedeva nel 2017 quando l’allora ministro degli Interni [Marco Minniti, n.d.r.] stava cercando di sdoganare o legittimare l'accordo di cooperazione con le autorità libiche» per la gestione dei flussi migratori. «È chiaro che la mia inchiesta all’epoca dei fatti sul coinvolgimento degli ufficiali della Guardia costiera libica [nel traffico di esseri umani, n.d.r.], uscita a livello nazionale a dicembre 2016 e a livello internazionale in inglese a marzo 2017 e inserita a giugno dello stesso anno dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite nel report annuale sulla Libia, fosse una spina nel fianco rispetto alla narrativa che stava cercando di portare avanti il governo italiano». 

Sempre sull’allora ministro dell’Interno Marco Minniti – che da febbraio 2021 si è dimesso da deputato dem per guidare 'Med-Or', neonata fondazione di Leonardo, partecipata dello Stato –, Palladino il 3 aprile scrive un secondo articolo in cui si legge che “fu lo stesso ministero a dire alla polizia di indagare sulle organizzazioni umanitarie, pur non avendo alcun elemento concreto. Il 12 dicembre del 2016, all’inizio del governo Gentiloni, dal ministero dell’Interno esce Angelino Alfano e arriva Marco Minniti. Quello stesso 12 dicembre in un ufficio del Viminale alcuni funzionari licenziano una lunga informativa. L’oggetto è ‘attività di analisi dei flussi migratori in Italia’ ed è indirizzata allo Sco, ovvero all’ufficio di polizia giudiziaria che gestirà l’intera inchiesta di Trapani”.

Sui vari aspetti legati alla vicenda, intervistato da La Stampa, Marco Minniti ha affermato innanzitutto che «quelle intercettazioni» nei confronti dei giornalisti «destano giusti e forti interrogativi». Alla domanda «ma chi aveva ordinato quelle intercettazioni? La polizia giudiziaria non dipendeva dal suo ministero?» ribatte: «La polizia giudiziaria, da qualsiasi ministero provenga, dipende solo ed esclusivamente dal magistrato. In Italia esiste la separazione dei poteri e ne sono orgoglioso. Solo chi non conosce il nostro Paese può pensare che da noi possa esistere un magistrato che si fa dare ordini da un ministro». Il giornalista ricorda però che «esiste una nota del 12 dicembre 2016 scritta dall'ufficio immigrazione del dipartimento di pubblica sicurezza e indirizzata allo Sco che sembra suggerire le linee di azione dell'indagine che ha finito per intercettare i giornalisti. Se non fu un ordine, sembrava tanto un suggerimento». Su questo punto l’ex ministro risponde: “«Che vuole che le dica? Nelle stesse ore in cui veniva diramata la nota io ero al Quirinale: stavo giurando come nuovo ministro dell'Interno. Non avrei mai potuto essere così rapido». «Allora era stato il suo predecessore Angelino Alfano?» «Questo genere di relazioni non passano dal ministro. Sono note degli uffici. Gli uffici hanno una loro autonomia operativa»”. 

Per quanto riguarda poi la questione delle intercettazioni, la Procura di Trapani, tramite il procuratore facente funzioni Maurizio Agnello, ha dichiarato all’AdnKronos: «Premetto subito che non intendo assolutamente disconoscere questa vicenda, ma voglio sottolineare soltanto che io ho preso servizio alla Procura di Trapani nel febbraio 2019, quando era già in corso l'incidente probatorio del procedimento, per cui io e le colleghe assegnatarie abbiamo ereditato questo fascicolo». «Come mi ha riferito l’ex capo della Squadra Mobile di Trapani la giornalista Nancy Porsia – continua il magistrato – è stata intercettata per alcuni mesi nella seconda metà del 2017, perché alcuni soggetti indagati facevano riferimento a lei che si trovava a bordo di una delle navi oggetto di investigazioni. Nessun altro giornalista è stato oggetto di intercettazioni. In ogni caso, voglio sottolineare subito che nella informativa riepilogativa dell’intera indagine depositata nello scorso mese di giugno non c'è alcuna traccia delle trascrizioni delle intercettazioni della giornalista Nancy Porsia e non c’è alcun riferimento ad altri giornalisti».

Il ministero della Giustizia, guidato Marta Cartabia, ha aperto un fascicolo sull’indagine della procura di Trapani per «svolgere con urgenza i necessari accertamenti preliminari, formulando all’esito valutazioni e proposte». 

Nel frattempo, il 9 aprile è uscita una nuova inchiesta congiunta da parte dei giornalisti di The Guardian, Domani e RaiNews che «analizza le trentamila pagine depositate e trascritte sulle migliaia di intercettazioni apparentemente irrilevanti ai fini investigativi, che coinvolgono anche parlamentari e prefetti». Come si legge sempre su Domani, in base a quanto emerso, “i pm hanno ascoltato anche le telefonate tra alcuni avvocati e i loro assistiti (tra cui un prete), e quelle tra un indagato e un parlamentare della repubblica. Intercettazioni che in più di un caso non hanno alcun nesso con le indagini, fatte passare però dagli investigatori come funzionali a ricostruire il contesto”.

Analisi su quanto emerso finora sono state fatte da più parti. Secondo Luigi Ferrarella, cronista esperto di questioni giudiziarie del Corriere della Sera, "un giornalista, come a chiunque, può capitare di essere intercettato su richiesta di un pm autorizzata da un gip: come indagato, o casuale interlocutore di un intercettato, o (15 giorni a volta) come «terzo» al telefono con un altro pure non indagato. E se perciò finisse poi al centro di notizie di rilevante interesse pubblico, il giornalista non dovrebbe adontarsene proprio perché questo è il criterio col quale, quando scrive di altri, rifiuta di farsi schiacciare sulla sola rilevanza penale". Questo "non pare però il caso delle fluviali trascrizioni (depositate dai subentrati pm di Trapani alla fine di indagini preliminari avviate dai loro ex colleghi non 6 mesi fa ma oltre 4 anni fa) di contatti con fonti giornalistiche nelle protratte intercettazioni di parecchi cronisti non indagati, «usati» dai pm nel 2016-2017 come «orecchie» da cui sperare di acquisire indirettamente indizi sulle Ong salva-migranti". Ferrarella spiega che "l’intercettazione di un giornalista aggira il diritto al segreto sulle sue fonti, che per la Corte europea dei diritti dell’uomo non è un privilegio, ma il suo statuto: se le fonti avessero paura di parlargli, la collettività verrebbe privata del diritto di ricevere informazioni essenziali per esercitare gli altri diritti di cittadinanza. Per questo Strasburgo ribadisce che necessità e proporzionalità dell’ingerenza dello Stato sulla confidenzialità delle fonti, già da soppesare caso per caso, possono non essere giustificate perfino dall’utilità di individuare gli autori di un reato".

Intervistata sulla vicenda dal Fatto quotidiano, Caterina Malavenda, avvocata esperta nel diritto dell’informazione, ha ricordato che «la Cedu è da anni che sanziona non solo i Paesi che hanno intercettato i giornalisti, ma anche quelli che hanno cercato di risalire alle fonti, con strumenti indiretti, quale il sequestro di cellulari, computer, schede di memoria. La fonte del giornalista è tutelata sia direttamente che indirettamente, quindi ogni misura adottata al fine di risalire alla fonte viola la Convenzione e viene sanzionata dalla Cedu. Pure la Cassazione applica i medesimi principi ed annulla, di solito, i provvedimenti di sequestro di cellulari e computer dei giornalisti che abbiano questo scopo, anche se non dichiarato».

Su Internazionale Annalisa Camilli riporta la posizione dell'ex magistrato e procuratore Armando Spataro secondo cui «non esiste un divieto assoluto d’intercettare le comunicazioni dei giornalisti, ma è sempre necessario verificare le motivazioni delle richieste dei pm e delle autorizzazioni alle intercettazioni disposte dal giudice». «Sarebbe grave – continua Spataro – se le intercettazioni fossero state disposte – come qualcuno ha scritto – solo per scoprire le fonti del giornalista: stento a credere che ciò sia avvenuto. Esiste sempre la necessità di ricerca di un punto di equilibrio tra esigenze investigative e tutela della privacy. La tutela della libertà d’azione del giornalista è affermata anche in recenti sentenze della Corte europea di Strasburgo». Per l'ex magistrato inoltre «nei brogliacci e verbali redatti dalla polizia giudiziaria non devono essere riportate trascrizioni di conversazioni irrilevanti o inutilizzabili dal punto di vista giudiziario, né valutazioni del merito: è la procura a dover vigilare sull’operato della polizia». Su questo aspetto, Spataro ha detto di aver letto «che il procuratore di Trapani procederà allo stralcio delle comunicazioni irrilevanti. Bene, ma con tutto il rispetto, credo che si sarebbe potuto fare prima. È comunque molto apprezzabile che il ministro della giustizia abbia disposto gli accertamenti del caso».

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Su La StampaVladimiro Zagrebelsky, magistrato, giurista e giudice della Corte europea dei diritti dell'uomo dal 2001 al 2010, ha scritto che "condizione essenziale del lavoro dei giornalisti è la protezione delle loro fonti; non è un privilegio, ma un dovere professionale. Esso riguarda le fonti lecite come quelle illecite. Se la confidenzialità del rapporto tra la fonte e il giornalista non fosse garantita, le fonti si esaurirebbero e con esse la stessa possibilità della stampa di svolgere il suo ruolo. Se la tutela delle fonti è negata – in modo clamoroso, in questo caso – si verifica un vero disastro per la libertà di espressione dei giornalisti, poiché viene meno la generale fiducia delle fonti sul mantenimento della loro segretezza". "Chi parlerà più con un giornalista se teme che il cellulare potrebbe essere intercettato, se il computer può essere forzato, se può esser obbligato a rivelare l'identità della fonte?", si domanda Zagrebelsky. Per questo motivo, per il magistrato, "se anche le notizie raccolte con l'intercettazione dei cellulari dei giornalisti non saranno utilizzate nel processo di Trapani, esse sono già state ascoltate dalle varie autorità che hanno operato e le fonti sono state identificate. Tutti gli organismi europei competenti in materia di democrazia e libertà di stampa si preoccupano del cosiddetto "chilling effect", l'effetto di inibizione che si genera su tutta la professione giornalistica e sulle fonti da cui essa raccoglie le notizie. La questione non riguarda quindi questo o quel giornalista, questo o quel giornale, ma la libertà di stampa nel suo complesso".

Foto in anteprima di Ansa

 

 

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