Giornalismo non è terrorismo #FreeEskinder Nega
8 min letturaAggiornamento 2 maggio 2013: dopo sei rinvii del processo di appello, il ricorso di Eskinder Nega, accusato di reati di terrorismo, è stato respinto confermando la condanna a 18 anni di reclusione, nonostante sia decaduta l'accusa che lo vedeva a capo di un'organizzazione terroristica. Per Dagne Melaku, giudice della Corte suprema, la condanna inflitta è corretta per cui non è stata neanche considerata una riduzione della pena.
Dopo la sentenza, Eskinder Nega, rivolgendosi a familiari e amici presenti in tribunale, ha dichiarato: "La verità ci renderà liberi. Vogliamo che il popolo etiope sappia che la verità verrà fuori, è solo questione di tempo".
In Etiopia la libertà di espressione è sottomessa a leggi e punizioni severissime, per questo motivo moltissimi giornalisti vivono in esilio.
La sezione neozelandese di Amnesty International, che considera Eskinder Nega un prigioniero di coscienza, ha preparato una breve petizione indirizzata al primo ministro etiope che chiede il rilascio immediato e incondizionato del blogger giornalista.
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Aggiornamento 8 aprile 2013: sesto rinvio del processo d'appello. Prossima data fissata: 2 maggio 2013.
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Aggiornamento 27 marzo 2013: quinto rinvio del processo, sempre per motivi riguardanti la necessità di avere più tempo per esaminare le prove. Prossima data fissata 8 aprile 2013.
Eskinder Nega si trova in prigione dal luglio 2012 accusato, insieme ad altri 25 imputati, di terrorismo, reato per il quale è stato condannato a 18 anni di reclusione. Varie organizzazioni per la difesa dei diritti umani hanno più volte accusato il governo etiope di usare la legge anti-terrorismo per soffocare il dissenso pacifico.
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Aggiornamento 20 febbraio 2013: nuovo rinvio del processo. Prossima udienza il 27 marzo. Il motivo dello slittamento è nuovamente legato alla necessità di riesaminare il caso dettagliatamente.
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Aggiornamento 18 gennaio 2013: terzo rinvio del processo d'appello. Prossima udienza fissata il 16 febbraio.
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Aggiornamento 19 dicembre 2012: il processo d'appello è stato nuovamente rinviato al 18 gennaio 2013. Il giudice Dagne Melaku ha dichiarato di avere bisogno di tempo ulteriore per esaminare il caso.
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Aggiornamento 18 dicembre 2012: sedici membri del Parlamento europeo hanno inviato una lettera aperta al primo ministro etiope Hailemariam Desalegn esprimendo forte preoccupazione per la detenzione di Eskinder Nega, nell'imminenza dell'udienza del processo di appello prevista il 19 dicembre. Nella lettera si sottolinea l'obbligo da parte dell'Etiopia di rispettare il diritto alla libertà di espressione ricordando al primo ministro, recentemente insediatosi, che ha "un'importante opportunità di far compiere all'Etiopia dei passi significativi in materia di diritti umani e di condurre il paese a pieno titolo all'interno della comunità internazionale". Il messaggio, sottoscritto da rappresentanti di tutti gli schieramenti politici, si conclude con una richiesta di adozione di tutti i provvedimenti possibili "per favorire il rilascio immediato e incondizionato del signor Nega".
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Eskinder Nega è un giornalista imprigionato da oltre un anno. È apparso brevemente in tribunale due settimane fa, per appellarsi contro le accuse di terrorismo rivoltegli dal governo etiope che lui ha fermamente negato, sostenendo che curare un blog sulle violazioni dei diritti umani e la democrazia non sia una forma di terrorismo. Lo scorso luglio, è stato condannato a 18 anni di reclusione per i suoi post ‘scomodi’. Il processo d'appello fissato il 22 novembre, interrotto bruscamente e durante il quale ad Eskinder Nega non sarebbe stata data la possibilità di leggere una dichiarazione in sua difesa, è stato rinviato al 19 dicembre.
A causa delle politiche repressive etiopi, molti giornalisti sono andati via dal paese, mentre altri sono stati messi a tacere. Da ciò si capisce perché Eskinder Nega sia diventato un simbolo nazionale della libertà di stampa. Cresciuto negli Stati Uniti negli anni ’80, ha studiato scienze politiche ed economiche all’American University. Successivamente è rientrato in Etiopia dove ha lavorato come giornalista per oltre vent’anni. Fondatore di quattro giornali – tutti chiusi dal governo etiope – è stato incarcerato nove volte negli ultimi vent’anni a causa dei suoi articoli di denuncia.
Dopo il rilascio nel 2007 e la revoca della licenza di stampa, ha iniziato ad usare internet, scrivendo per vari blog. Alcuni suoi pezzi sono stati pubblicati su Ethiomedia, un blog inaccessibile all’interno dell’Etiopia.
Quattro anni più tardi, nel 2011, Eskinder ha ricevuto il PEN/Barbara Goldsmith Freedom to Write Award per aver scelto di continuare a lavorare nel paese, nonostante la persecuzione del regime etiope.
Birtukan Midekssa, ex giudice federale e leader dell’opposizione in Etiopia, racconta come Eskinder sia irremovibile e determinato nel proseguire la sua professione anche di fronte alle minacce di morte intimategli dalle autorità, stanche di arrestarlo continuamente. Secondo Midekssa: “Non può fermarsi. È fatto così”.
Preso di mira dalla polizia, Eskinder Nega ha attirato ulteriori ire da parte del governo quando ha cominciato a scrivere delle rivolte della primavera araba. Attraverso i suoi articoli si è interrogato su quali possano essere in Etiopia le influenze e le ripercussioni dei movimenti per la democrazia del Nordafrica e del Medio Oriente. Fermato nuovamente nel febbraio del 2011, è stato interrogato a lungo sul suo giornalismo, minacciato dalla polizia che si sarebbe vendicata contro di lui se fossero scoppiate proteste in Etiopia.
Alcuni mesi dopo, è stato arrestato ancora. Questa volta con l’accusa di terrorismo.
Per comprendere il rischio e l’importanza del lavoro di Nega, bisogna conoscere la situazione dei mezzi di comunicazione indipendenti in Etiopia. La costituzione etiope, che promette di difendere la libertà di espressione, cita: “Ogni individuo ha il diritto alla libertà di espressione senza alcuna interferenza. Questo diritto include la libertà di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee di ogni genere, senza confini, oralmente, per iscritto o attraverso la stampa, in forma artistica o attraverso qualsiasi mezzo di comunicazione di sua scelta”.
Ma l’Etiopia ha un terribile passato di giornali chiusi e di giornalisti imprigionati.
Prima del 1990 non esistevano mezzi d’informazione indipendenti poiché l’Etiopia lottava contro un regime comunista e carestie devastanti. Nei primi anni ’90 importanti cambiamenti hanno determinato un mutamento dello scenario politico del paese. Sono stati istituiti una legislatura bicamerale e un sistema giudiziario e una nuova costituzione è stata scritta e promulgata. Meles Zenawi, al potere per 21 anni, ha governato prima come presidente - dal 1991 al 1995 - e poi come primo ministro - dal 1995 all’agosto del 2012 - . Sebbene abbia aiutato l’Etiopia a rialzarsi dopo anni difficili di conflitti e corruzione, il suo governo è stato caratterizzato dalla mancanza di rispetto dei diritti umani e della libertà di stampa.
Nel 1992, l’Etiopia ha emesso una legge sulla stampa che, oltre a limitare la libertà di espressione, ha consentito al governo di bloccare le pubblicazioni che, a suo giudizio, fornivano ‘false’ informazioni. L’Etiopia è diventato così, negli anni ’90, uno dei paesi leader nell’imprigionare i giornalisti. Secondo soltanto a Cuba e alla Cina.
In prossimità delle elezioni del 2005, c’è stato un breve periodo in cui la libertà di stampa ha goduto di un po’ di respiro. Tuttavia, all’indomani di quelle che si sono rivelate elezioni controverse, c’è stato un giro di vite sui media indipendenti. Gli scontri tra l’esercito governativo e i manifestanti hanno provocato decine di vittime tra i civili e le forze dell’ordine hanno iniziato una caccia alle streghe nei confronti dei giornalisti, arrestati a dozzine e accusati di reati gravi come il tradimento e, perfino, il genocidio. Tra di loro c’è chi ha trascorso decenni in carcere e chi è stato messo a morte.
Il Comitato per la protezione dei giornalisti ha descritto così la repressione: “Insieme all’emissione delle liste dei ricercati, il governo ha fatto irruzione nelle redazioni, bloccato la pubblicazione dei giornali, espulso due giornalisti stranieri, incluso un corrispondente dell’Associated Press. Una dozzina di giornalisti etiopi esiliati è stata accusata di tradimento in contumacia. Voice of America e Deutsche Welle, che trasmettono programmi radiofonici in Etiopia nelle lingue locali, sono stati bersaglio di campagne diffamatorie da parte dei mezzi d’informazione dello Stato, mettendo in pericolo i corrispondenti locali… Otto giornali sono stati chiusi perché accusati di reati penali e i giornalisti migliori sono stati messi in carcere”.
Nel 2005, Eskinder e la moglie, Serkalem Fasil, editrice di giornali, a quel tempo in attesa di un figlio, sono stati entrambi arrestati durante la repressione del dissenso, trascorrendo più di un anno in prigione.
In Etiopia, oggi, il giornalismo è ancora un mestiere pericoloso. Nel luglio del 2009, il parlamento etiope ha approvato una legge antiterrorismo che è stata usata per imprigionare giornalisti e dissidenti politici. Claire Beston, ricercatrice di Amnesty International, espulsa dall’Etiopia nel mese di agosto dello scorso anno, ha criticato l’applicazione della legge rilevando che: “Da quando è stata introdotta, la legge antiterrorismo è stata prevalentemente utilizzata per perseguire i membri dell’opposizione e i giornalisti, piuttosto che le persone che potrebbero commettere le cosiddette attività terroristiche”.
Poco prima di essere arrestato per aver violato la legge antiterrorismo, Eskinder Nega l’aveva criticata aspramente. In un articolo aveva raccontato la storia di Debebe Eshetu, attore famosissimo in Etiopia, la cui prigionia a causa della legge antiterrorismo, secondo Eskinder, “sfiderebbe la logica”.
I problemi con la libertà di stampa in Etiopia sono aggravati dal fatto che la maggior parte della popolazione usufruisce di Internet limitatamente, non avendo la possibilità di poter accedere a fonti internazionali di notizie. Ciò è dovuto alla difficoltà di accesso a tutti.
La presenza di internet in Etiopia è tra le più basse di tutta l’Africa subsahariana. Secondo il rapporto del 2009 di OpenNet Initiative, la maggior parte delle persone accede ad Internet attraverso gli Internet caffè, presenti in numero maggiore nella capitale, il cui servizio è lento e inaffidabile. Anche Nega ha evidenziato, nel 2011, quanto l’accesso ad Internet in Etiopia sia lento e complicato: “E’ difficile accedere e uscire dalla finestra di una semplice e-mail. La banda larga veloce ha dato vita alla rivoluzione in Nordafrica e ora il Fronte Democratico Rivoluzionario del Popolo Etiope, che guida il governo e ha paura della rivoluzione, sta lottando contro l’accesso veloce ad Internet”.
Ma anche gli etiopi che riescono ad utilizzare Internet non possono accedere alle notizie internazionali indipendenti. Ethio-Telecom, unico fornitore di servizi di telecomunicazione in Etiopia, è di proprietà dello Stato e censura permanentemente l’accesso ad Internet. Test condotti dalla OpenNet Initiative, nel settembre 2012, hanno dimostrato che i siti politici e quelli di informazione sono stati bloccati all’interno del paese.
A giugno 2012, l’Electronic Frontier Foundation ha pubblicato un articolo che racconta del rafforzamento delle pratiche di censura e di sorveglianza in Etiopia e delle indagini approfondite compiute da Ethio-Telecom sul traffico Internet. Nello stesso mese, il governo etiope ha ratificato la nuova legge sulla violazione del servizio Telecom. Questa legge criminalizza i discorsi on-line che potrebbero essere interpretati come diffamatori o terroristici, ritenendo responsabili i proprietari dei siti o degli account dove i discorsi sono pubblicati, anche se postati come commento da qualcun altro. Endalk, un importante blogger etiope, si è chiesto se questa legge possa essere “il modo più creativo di copiare SOPA e PIPA”.
Con la sua attuazione questa normativa intende anche schiacciare la concorrenza dei servizi VOiP, punendo severamente i cittadini in possesso di apparecchiature di telecomunicazione, sprovvisti di preventiva autorizzazione dal governo.
Attraverso la legislazione, l’intimidazione e l’arresto, il governo etiope ha cercato di soffocare la libertà di espressione in ogni angolo del paese. Non c’è, quindi, da stupirsi se Eskinder Nega sia uno dei pochi giornalisti che ancora operino in Etiopia.
Nonostante la mancanza di notizie dirette sulle attuali condizioni di salute di Eskinder Nega si può esprimere preoccupazione se non altro per la situazione in cui versano le carceri etiopi. Gli istituti detentivi dell’Etiopia sono spesso sovraffollati. Ciascun detenuto dispone di 0,36 centesimi di euro con cui provvedere a cibo, acqua e cure mediche. La scarsità dell’acqua è causa di condizioni igieniche precarie e nella maggior parte delle carceri mancano adeguati servizi igienici.
Diffuse sono le denunce di torture ed abusi fisici e psicologici da parte di ex detenuti.
Liberare Eskinder Nega aiuterà a preservare una voce fondamentale del giornalismo indipendente in un paese che ha fame di notizie. Servirà anche come fonte di ispirazione per gli attivisti che s’impegnano per la liberazione di altri giornalisti imprigionati. All’inizio di quest’anno il governo etiope ha liberato e graziato i giornalisti svedesi Johan Persson e Martin Schibbye, a seguito di un’importante pressione internazionale. E nel mese di agosto, Temesghen Desalegn, editore di un importante settimanale indipendente, è stato rilasciato dopo il proscioglimento dalle accuse a suo carico. Sappiamo, quindi, che gli sforzi degli attivisti possono essere persuasivi ed ottenere risultati. Se non altro l’attenzione internazionale permanente può contribuire a garantire ad Eskinder Nega un minimo di sicurezza in attesa dei prossimi appelli.
L’invito è quello di sostenere Eskinder Nega attraverso piccole azioni significative:
- firmare la petizione del PEN American Center indirizzata al primo ministro etiope Hailemariam Desalegn e al ministro della Giustizia Berhanu Hailu;
- seguire su Twitter gli aggiornamenti di @PenAmerican e @EFF
- scrivere il tweet ‘Journalism is not terrorism’ o qualsiasi altra frase di protesta su Twitter seguita dall’hashtag #FreeEskinder Nega
Post tratto da: Journalism is Not Terrorism: Calling on Ethiopia to #FreeEskinder Nega di Rainey Reitman per EFF