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Gilet gialli: tra violenza, leader autoproclamatisi e tentativi di organizzarsi in partito

9 Gennaio 2019 11 min lettura

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Gilet gialli: tra violenza, leader autoproclamatisi e tentativi di organizzarsi in partito

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di Danilo Ceccarelli

Proprio quando il presidente Emmanuel Macron era sul punto di tirare un sospiro di sollievo e tornare alla carica rilanciando il suo cantiere delle riforme, i gilet gialli sono riscesi in strada per ricordare all’inquilino dell’Eliseo e a tutto il governo che la protesta continua. Sabato a Parigi e in altre città francesi è andato in scena “l’ottavo atto” di una pièce che sembra decisa a non voler far calare il sipario sulla scena.

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Secondo i dati diffusi dal Ministero dell’Interno francese, alla mobilitazione hanno partecipato 50mila persone in tutto il paese. Un dato più modesto rispetto alla prima iniziativa del 17 novembre scorso, quando le adesioni arrivarono a 282mila, ma comunque significativo se paragonato alle manifestazioni avvenute il 22 e il 26 dicembre, alle quali hanno partecipato rispettivamente 32mila e 36mila persone.

Ancora una volta, la giornata è stata caratterizzata da violenti scontri tra manifestanti e forze dell’ordine, diventati ormai il tratto distintivo di ogni mobilitazione.

La scena di un capitano pluridecorato della polizia che prende a pugni dei gilet gialli dopo averli arrestati a Toulon o di un gruppo di manifestanti che sfonda il portone di un ministero con una ruspa obbligando il portavoce del governo, Benjamin Griveaux, a scappare da un’uscita secondaria hanno fatto il giro del web e dei media di tutto il mondo mettendo nel più totale imbarazzo il governo, colto ancora una volta di sorpresa da una mobilitazione inaspettata.

https://www.youtube.com/watch?v=hZYkJ1HeKjY

Emblematico il caso del pugile Christophe Dettinger, che durante gli scontri avvenuti al centro di Parigi ha preso a pugni un gendarme mandandolo all’ospedale con quindici giorni di prognosi. Dopo una latitanza durata circa 24 ore, Dettinger si è costituito alle forze dell’ordine, riconoscendo le sue colpe ma affermando al tempo stesso di aver agito per difendersi dalle aggressioni della gendarmeria.

"Porto in me la collera del popolo. Vedo tutti questi presidenti, questi ministri, tutto lo Stato abbuffarsi, prendersi il posto a nostre spese, non sono nemmeno capaci di dare l'esempio, si abbuffano sulle nostre spalle" ha dichiarato l’atleta in un video, diventando ben presto l’eroe dei gilet gialli. Per sostenere le sue spese legali, i fan hanno lanciato una colletta sul web arrivando a in poche ore a 117mila euro. L’iniziativa è stata bloccata da Leetchi, il sito utilizzato per raccogliere i soldi, che ha giustificato la sua scelta ricordando le condizioni generali di utilizzo della piattaforma, contrarie a “qualsiasi incitamento all’odio o alla violenza”.

“In due mesi di crisi le dighe sono saltate. La violenza si è banalizzata o, più precisamente, la violenza sociale giustifica la violenza fisica”, ha scritto la giornalista Cecile Cornudet in un editoriale pubblicato sul quotidiano Les Echos, affermando che “in questi periodi elettrici i raddrizzatori di torti sanno trovare gli argomenti giusti” per avere successo.

E, ancora una volta, il web funge da megafono, dando spazio a capipopolo autoproclamatisi, che più o meno goffamente cercano di mettere le briglie a un movimento che per il momento resta indomabile. Tra questi c’è Eric Drouet, camionista 33enne che lo scorso mese si era detto pronto a “marciare sull’Eliseo”. Una settimana fa Drouet è stato fermato dalla polizia a Parigi, nei pressi degli Champs Elysées, per manifestazione non autorizzata. Il fermo è durato poco più di un giorno, quanto basta per rafforzare la sua leadership e consacrarlo come punto di riferimento dei gilet gialli più radicali. Drouet comparirà in tribunale anche il 15 febbraio prossimo per “porto d’arma proibita” dopo che la polizia lo ha fermato a dicembre trovandogli addosso un bastone.

Dinanzi ad un contesto così caotico, le istituzioni cercano di correre ai ripari preparando nuove misure in vista delle prossime mobilitazioni. Dopo una riunione avvenuta domenica mattina a Matignon, sede del governo, con il ministro dell’Interno, Christophe Castaner, e il sottosegretario Laurent Nunez, lunedì sera il primo ministro, Edouard Philippe, ha annunciato in un intervento televisivo la creazione di una nuova “legge anti-casseurs” per contenere la violenza delle prossime manifestazioni. “Non possiamo accettare che alcune persone approfittino di queste manifestazioni per superare i limiti, per rompere, per bruciare” ha detto Philippe, aggiungendo poi che i violenti “non avranno l’ultima parola”. Il testo, che dovrebbe arrivare in Parlamento a inizio febbraio, prevede un pacchetto di misure volte a rafforzare il dispositivo giuridico previsto per le manifestazioni con una serie di provvedimenti, come l’inasprimento delle sanzioni per le manifestazioni non autorizzate, la possibilità di fermare sospetti facinorosi e la creazione di un registro per schedare i casseurs.

Quest’ultima misura prenderà ispirazione da una legge adottata nel 2007 per contenere la violenza degli hooligan più radicali, ai quali è stato imposto il divieto di accedere negli stadi dopo essere stati schedati per violenze nel Registro nazionale dei divieti dello stadio (FNIS). Una sorta di Daspo dalle manifestazioni che, sebbene dovrà essere precisato nei prossimi giorni, è destinato a far discutere per il carattere giudicato da molti osservatori troppo repressivo. In un’intervista rilasciata al quotidiano Le Monde, l’avvocato Patrice Spinosi ha sottolineato che il governo continua a riprendere “misure che sono state già utilizzate durante lo stato di emergenza”, instaurato in Francia all’indomani degli attentati del novembre 2015 e rimasto in vigore fino all’ottobre di due anni dopo. Secondo Spinosi, la creazione di un registro dei casseurs sembra essere più “un annuncio che una vera misura” e rappresenta un “rischio per i diritti fondamentali”. “Il diritto di manifestare è un diritto fondamentale” ha ricordato ai microfoni di RTL Katia Dubreuil, presidente del sindacato della magistratura, spiegando che il problema risiede nel fatto di agire preventivamente attuando dei “dispositivi che non sono basati su degli atti precisi imputati a una persona”. Scetticismo è stato espresso anche da alcuni sindacati di polizia, che giudicano troppo complicato traslare una legge solitamente applicata agli stadi a una manifestazione cittadina.

Philippe ha inoltre dichiarato che in occasione della prossima mobilitazione prevista per sabato verranno impiegati “80mila agenti delle forze dell’ordine, 5mila dei quali a Parigi”, dove saranno riutilizzati anche i blindati già dispiegati il 15 dicembre scorso. Dall’inizio delle proteste, scattate meno di due mesi fa, la polizia ha effettuato 5.339 fermi a margine delle manifestazioni. Tra le persone fermate, 150 sono state tratte in arresto, mentre le altre sono state rilasciate.

Le forze dell’ordine nel corso delle precedenti mobilitazioni sono finite al centro di forti polemiche a causa del massiccio utilizzo dei flash-ball, i fucili caricati con pallottole di gomma semi-rigida, capaci di provocare danni permanenti come la perdita della vista. Nelle ultime settimane sono decine le denunce sporte da giornalisti e da cittadini rimasti feriti.

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Il governo torna così ad alzare i toni mostrando una fermezza che rischia di esacerbare gli animi, esasperando un clima sociale già teso. Le concessioni annunciate dal presidente Emmanuel Macron il 10 ottobre scorso sembrano aver convinto solamente una parte del movimento, mentre la base più intransigente vuole continuare fino all’ottenimento della più estrema delle rivendicazioni: le dimissioni di Macron. Un’ipotesi altamente improbabile vista la solidità istituzionale della Quinta Repubblica concepita alla fine degli anni cinquanta dall’allora presidente Charles De Gaulle.

Per cercare di far sgonfiare la protesta, l’esecutivo punta soprattutto sulla carta del dialogo. Fondamentale, in tal senso, il “grande dibattito nazionale” annunciato dal presidente francese il 10 dicembre scorso. Il lancio ufficiale del progetto avverrà con un mese di ritardo, il 15 gennaio prossimo, quando Macron incontrerà i sindaci del dipartimento dell’Eure, in Normandia, per la prima tappa di un tour che lo vedrà impegnato in una serie di appuntamenti con i primi cittadini di tutto il paese.

Sebbene restino molti punti ancora da chiarire, l’iniziativa prevede una serie di consultazioni su tutto il territorio tra i poteri locali e i rappresentanti della società civile, come associazioni, aziende, sindacati e cittadini, che dibatteranno su quattro temi principali: la transizione ecologica, la fiscalità, la vita democratica e la cittadinanza. Il settimanale Le Journal de dimanche domenica ha svelato alcuni dettagli, come la creazione di una piattaforma che verrà messa on-line nei prossimi giorni, da dove gli organizzatori locali potranno scaricare un “kit” con le istruzioni da seguire per preparare gli incontri. A questo si aggiungeranno poi degli “stand”, che avranno il compito di dare informazioni e raccogliere le proposte che verranno presentate.

Ma ancora prima di iniziare, il progetto ha suscitato un forte dibattito tra analisti e osservatori. Le critiche riguardano principalmente i tempi stretti in cui è stato organizzato e la mancanza di dialogo con i differenti attori territoriali, che a quanto pare avranno poca voce in capitolo. La Commissione nazionale del dibattito pubblico (CNDP), organo indipendente incaricato di informare i cittadini sui progetti organizzativi e infrastrutturali del governo, ha inviato un messaggio a metà dicembre al governo mettendolo in guardia contro i pericoli provenienti dal dialogo tra istituzioni e parti civili.

La CNDP ha esortato l’esecutivo a “vegliare affinché le riunioni del grande dibattito non divengano in nessun caso dei meeting politici”. In altre parole, il partito della maggioranza presidenziale, La République en marche, non dovrà sfruttare questa occasione per fare campagna elettorale in vista delle prossime elezioni europee. A complicare le cose ci ha poi pensato la presidente della CNDP, Chantal Jouanno, che ha deciso di ritirarsi dalla guida del progetto che gli era stata affidata dal governo a causa delle polemiche riguardanti il suo salario di 14.666 euro lordi al mese, giudicato da molti troppo elevato.

In realtà Macron spera in questo modo di fratturare il movimento al suo interno, separando le frange più intransigenti da coloro che sono disposti ad intavolare il dialogo. Un obiettivo facilmente realizzabile visto che in questi ultimi giorni sono sorte le prime crepe in seno alla protesta, che tra polemiche e scontri interni sta tentando di muovere i primi passi verso un’organizzazione strutturata.

Sabato una sessantina di gilet gialli provenienti da diverse parti della Francia si è riunita Marsiglia, nei locali del quotidiano locale La Provence messi a disposizione del proprietario, l’uomo d’affari Bernard Tapie. Al termine di una riunione durata diverse ore, alcuni portavoce del gruppo hanno tenuto una conferenza stampa per annunciare la creazione di un coordinamento nazionale chiamato “Gilet gialli in movimento”. L’iniziativa, che secondo quanto annunciato ha l’obiettivo di gestire “le azioni sul territorio per lavorare alla creazione di un vasto programma sociale”, ha suscitato le ire di chi è contrario alla nascita di una formazione politica. Un centinaio di gilet gialli si è ritrovato fuori dai cancelli del quotidiano per protestare contro gli organizzatori dell’evento, accusati di essere degli “arrivisti” che sfruttano la protesta per fini personali. Tapie, che nega ogni intenzione di voler strumentalizzare il movimento, ha fatto sapere che per il prossimo mese metterà due pagine del suo giornale a disposizione dei gilet gialli, suscitando così la collera della redazione, contraria a sostenere un’iniziativa che potrebbe trasformarsi in una corrente politica.

Ad avere fini più politici è invece Jacline Mouraud, figura di spicco dei gilet gialli, che ha annunciato la prossima creazione di un partito denominato Les Emergents (Gli Emergenti, in italiano). Considerata come una delle fondatrici del movimento grazie a dei video-selfie di denuncia girati all’interno del suo suv, questa bretone di 51 anni rappresenta l’ala più moderata dei gilet gialli. Nei mesi scorsi Mouraud ha cercato di avviare un dialogo con il governo, ma le minacce ricevute da alcuni suoi “colleghi” l’hanno convinta a desistere. Come ammesso da lei stessa ai media francesi, l’idea di fondare un partito è ancora in una fase embrionale. Il nome “non è stato registrato ma cercheremo di fare il più rapidamente possibile” ha dichiarato, assicurando di avere già avuto un buon riscontro da parte di molti sostenitori in tutto il paese.

Il movimento comincia quindi a ramificarsi prendendo orientamenti diversi, spesso in modo scomposto e disorganizzato, tipico di una realtà eterogenea che avanza in ordine sparso senza una guida o una linea ben precisa. All’iniziale richiesta di annullamento dei rincari sul carburante, peraltro accolta da Macron, si sono aggiunte una lunga lista di rivendicazioni che vanno dalla creazione di un Referendum di iniziativa cittadina all’uscita dall’Unione europea, passando per un aumento del 40 per cento del salario minimo e una revisione del sistema bancario.

Domenica mattina a scendere in strada a Parigi e in altre città francesi sono state le donne, che hanno deciso di marciare in modo pacifico per dare un’immagine diversa della mobilitazione. A Parigi diverse centinaia di donne e ragazze, molte delle quali indossando un berretto frigio sull’ormai solito gilet giallo, hanno manifestato da Place de la Bastille a Place de la République, mentre a Tolosa circa 300 persone si sono ritrovate in centro esponendo uno striscione con scritto “Precarie, discriminate, rivoltate: donne in prima linea”.

In un simile contesto, i partiti di opposizione si dividono tra chi resta discretamente a guardare e chi, invece, sostiene apertamente la mobilitazione. Come Jean-Luc Mélenchon, leader della France Insoumise, che ha più volte espresso simpatie per i gilet gialli arrivando a paragonare Eric Drouet a un omonimo rivoluzionario francese che nel 1791 partecipò all’arresto di Luigi XVI. Parole che hanno evidentemente irritato l’Eliseo, visto che il portavoce del governo, Benjamin Griveaux, ha accusato Mélenchon di aver ormai “abbandonato il campo repubblicano”.

Più prudente, invece, la presidente del Rassemblement National (ex Front National) Marine Le Pen, data come grande favorita alle prossime elezioni europee. Secondo un sondaggio pubblicato da Franceinfo, il partito di estrema destra dovrebbe ottenere il 24% dei voti, confermandosi come primo partito, davanti alla République en marche, ferma al 19%. Ma nel caso in cui i gilet gialli si dovessero organizzare presentando una lista, il Rassemblement National perderebbe terreno scendendo al 21 per cento. “Un certo numero di temi sociali e politici che emergono dai gilet gialli sono già presenti nel Rassemblement National”, ha dichiarato Jean-Yves Camus, politologo esperto di estrema destra, in una dichiarazione rilasciata a Les Echos. Per questo Le Pen si muove con cautela tra le fila dei gilet gialli, con il timore di legittimare un movimento che potrebbe in futuro rubarle dei consensi.

Ma i gilet gialli hanno ormai superato i confini nazionali, finendo al centro di una contesa diplomatica tra Roma e Parigi. Ad accendere le micce che hanno fatto scoppiare la polemica tra il governo francese e quello italiano ci ha pensato il ministro per lo Sviluppo, Luigi Di Maio, che in un post su Facebook ha dato il suo sostegno alla protesta, dicendosi pronto a mettere a disposizione la piattaforma Rousseau del Movimento 5 Stelle. Sulla stessa lunghezza d’onda il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, che pur condannando le violenze ha espresso solidarietà “ai cittadini perbene che protestano contro un presidente che governa contro il suo popolo”. Dal canto suo, l’Eliseo si è limitato a commentare le dichiarazioni dei due ministri definendole delle semplici comunicazioni per “fini elettorali interni". Più dura la ministra per gli Affari europei, Nathalie Loiseau, che in un tweet ha invitato i due vicepremier a "fare pulizia in casa loro" visto che "la Francia si guarda bene dal dare lezioni all'Italia". "Ogni governo ha la priorità di occuparsi del benessere dei suoi cittadini, perciò penso che la priorità del governo italiano sia di occuparsi del benessere degli italiani. Non penso che occuparsi nei gilet gialli abbia a che fare col benessere degli italiani", ha poi detto Loiseau a Bruxelles.

Sulla questione è intervenuta anche Jacline Mouraud, che ha respinto “le ingerenze di Di Maio”. “Se devo dirla tutta penso che l'Italia sia l'Italia e la Francia sia la Francia: non siamo lo stesso popolo, penso che quella del vostro vicepremier sia un'ingerenza negli affari interni del nostro Paese", ha detto Mouraud all’Ansa, chiedendosi “come sia possibile che un ministro italiano abbia bisogno di schierarsi contro un presidente di un paese vicino?”.

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Facendo leva sulla protesta popolare, il Movimento 5 Stelle e la Lega hanno attaccato direttamente il presidente Macron, lanciando così la corsa alle prossime europee. "Il mese di maggio non è così lontano e sia la Lega che il Movimento 5 Stelle si sentono già in campagna elettorale" afferma il settimanale L'Obs in un editoriale. Ma l'episodio dà anche una dimostrazione ulteriore della debolezza del movimento, sempre più esposto a strumentalizzazioni da parte di attori esterni.

Intanto, l'inquilino dell'Eliseo cerca di riorganizzarsi per ripartire in vista delle prossime riforme in agenda. Tra queste ci sono quelle riguardanti le pensioni, la cassa integrazione, la transizione ecologica e le istituzioni.

Foto in anteprima via infolibre

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