Gilet gialli, più di 300 giornalisti denunciano le violenze della polizia: “Ci impediscono deliberatamente di lavorare”
6 min letturadi Filippo Ortona (sui social "Filippesi Lanzardo")
Con l’evolversi del movimento dei gilet gialli, le strategie adottate dalle forze dell’ordine francesi per gestire la piazza, così come il loro armamento, hanno suscitato numerose critiche da parte dei media, anche quelli più tradizionali. A far discutere, oltre alle decine di mutilazioni e alla morte di una donna a Marsiglia, sono anche le violenze all’indirizzo dei giornalisti, i quali hanno denunciato, in una lettera pubblicata il primo maggio, “una volontà deliberata di impedirci di lavorare” e un conseguente attacco alla libertà d’informazione.
TRIBUNE. "Nous assistons à une volonté délibérée de nous empêcher de travailler" : plus de 300 journalistes dénoncent les violences policièreshttps://t.co/M0AhiLWyim pic.twitter.com/7OrP8fRCkq
— franceinfo (@franceinfo) 1 maggio 2019
La denuncia è stata pubblicata sul sito dell’informazione pubblica France Info ed è firmata da più di 350 tra giornalisti, fotografi, redazioni e agenzie. Persino “Amnesty International e Reporters sans frontières”, si legge nella lettera, “denunciano le violenze della polizia contro la stampa. David Dufresne ha recensito almeno 85 aggressioni mirate a giornalisti” dall’inizio della crisi dei gilet gialli.
I firmatari accusano le forze dell’ordine di fare “intimidazioni, minacce, insulti. Ma anche: tentativi di distruzione o sequestro del materiale, cancellazione delle carte di memoria, manganellate, utilizzo volontario e mirato di gas, tiri di lacrimogeno ad altezza d’uomo, tiri di flashball, lanci di granate esplosive”, oltre alle confische “del nostro materiale di protezione” all’inizio delle manifestazioni. (Piccola nota personale: due giorni fa ho lavorato come cameraman durante la manifestazione per una redazione francese, e posso confermare la realtà di quest’accusa: degli agenti di polizia mi hanno costretto ad abbandonare la mia maschera antigas e i miei occhialetti da nuoto, nonostante avessi una lettera di missione del caporedattore).
Pochi giorni fa, il 20 aprile, l’arresto di Gaspard Glanz, giornalista indipendente francese durante una manifestazione dei gilet gialli a Parigi, aveva rilanciato il dibattito sullo statuto dei giornalisti in Francia.
Glanz, conosciuto per la sua copertura video di scontri di piazza e violenze delle forze dell’ordine, è il fondatore del canale online Taranis News. È un giornalista indipendente, nel senso che non ha la “carte de presse”, la tessera da giornalista. Il suo lavoro consiste nella vendita di immagini a vari media e la pubblicazione tramite i propri canali sui social.
Nei video pubblicati successivamente al suo arresto si vede Glanz domandare a un plotone di agenti antisommossa di poter parlare col loro superiore. Il videoreporter era infuriato per una granata che gli sarebbe stata indirizzata addosso dagli agenti.
Interpellation de @GaspardGlanz #gaspardglanz journaliste indépendant. #GiletsJaunes #ActeXXIII #acte23 #GiletsJaunesparis
Vidéo intégrale : https://t.co/Ak6z6MQbLP pic.twitter.com/VA6QPPMmxg
— HORS-ZONE Press ⚠️ (@HZ_Press) 21 aprile 2019
A un certo punto della sequenza, un agente lo spintona e Glanz risponde alzando il dito medio, prima di girare i tacchi e andarsene. Una scena che non avrebbe catturato molta attenzione, nel quadro di una giornata di scontri di piazza particolarmente duri, se non per quello che e’ successo immediatamente dopo: un gruppo di poliziotti si fionda infatti su Glanz, malmenandolo e traendolo in stato di arresto.
Per quel dito medio, Glanz è stato tenuto in caserma per 48 ore, venendo rilasciato solo il lunedi successivo. È accusato di oltraggio a pubblico ufficiale e, nell’attesa del processo a ottobre, il tribunale gli ha vietato in un primo momento di comparire a Parigi i sabati (cioè quando si svolgono le manifestazioni dei gilet gialli) e il 1 maggio.
Il suo avvocato, Raphael Kempf, ha denunciato (su Twitter) una “decisione che compromette la libertà di stampa” visto che “impedisce a Gaspard Glanz di fare il suo lavoro e coprire i movimenti sociali”. I giudici, a cui Glanz ha fatto appello, hanno poi annullato il divieto di coprire le manifestazioni, e Glanz ha potuto lavorare durante il corteo del primo maggio.
In ogni caso, il suo arresto è parso a molti non solo eccessivo date le circostanza ma potenzialmente lesivo della libertà di stampa, in particolare per quanto riguarda il divieto di continuare a coprire le manifestazioni a Parigi.
È su questo punto – la minaccia al diritto all’informazione – che si è rianimato un dibattito sullo statuto di giornalista che riaffiora periodicamente in Francia, ultimamente sempre più’ spesso anche a causa della precarizzazione e della diversificazione del settore. Glanz va considerato un giornalista, sebbene non sia registrato in quanto tale? Chi può ritenersi un giornalista?
Come scrivono i 350 giornalisti firmatari dell’appello contro le violenze della polizia, “la maggioranza di noi sono indipendenti e precari. Rispetto alla realtà economica del nostro mestiere, è divenuto estremamente complicato ottenere il tesserino da giornalista, nonostante che pubblichiamo regolarmente sulle più importanti testate nazionali e internazionali”.
In Francia non esiste l’ordine dei giornalisti come in Italia. C’è invece un tesserino professionale rilasciato da un’apposita commissione – la Commission de la Carte d’identité des journalistes professionnels, CCIJP – composta da sindacalisti e rappresentanti degli editori. Per ottenerla, bisogna soddisfare due criteri: lavorare in un’impresa giornalistica e poter dimostrare che la maggior parte del proprio guadagno proviene dalla pratica del giornalismo - in soldoni, buste paga rilasciate da redazioni giornalistiche per lavori di giornalismo. Nel 2019 i titolari della carte de presse erano circa 34mila.
Inoltre, come scrive il servizio di fact-checking di Libération, la tessera da giornalista “non è assolutamente obbligatoria per esercitare il mestiere di giornalista, che può essere praticato liberamente da chiunque lo desideri, senza aver bisogno di un diploma o di un documento particolare”, come riconosciuto anche dalla Corte di cassazione francese in una sentenza del 2016. Il tesserino è meramente “uno strumento di lavoro”, che permette di agevolare l’esercizio del mestiere (per esempio facilitando l’ottenimento di accrediti o permessi), spiega la CCIJP, sempre a Libération.
“Il caso del fondatore di Taranis News”, scrive Le Monde, “è rivelatore dell’incertezza che caratterizza lo statuto di giornalista”. Secondo alcuni, infatti, non essendo in possesso del tesserino e non esercitando per una redazione “ufficiale”, Glanz non va considerato un giornalista e il suo arresto non comporta alcun attacco alla libertà di stampa. Il più diffuso settimanale conservatore, Le Point, gli ha dedicato un ritratto il cui titolo è più retorico che significativo: “Gaspard Glanz, giornalista o black bloc?”
Nonostante ciò, Glanz ha ricevuto il sostegno di un gran numero di comitati di redazione, compresi quelli di tutti i grandi media francesi. In un comunicato di solidarietà diffuso subito dopo la liberazione del videoreporter, si legge che l’arresto e l’interdizione imposti dal tribunale “equivalgono a vietare (a Glanz) di svolgere il suo lavoro di giornalista (cioè) di informare”.
Persino un mostro sacro del giornalismo mainstream francese, Jean-Michel Apathie, noto per le sue opinioni fortemente conservatrici, ha condannato l’arresto di Glanz. Quest’ultimo “fa un giornalismo impegnato ... per denunciare la polizia, ma non è un crimine”, ha detto dice Apathie, “ci sono punti di vista diversi che si esprimono e sta poi al cittadino di decidere”. Arrestando Glanz, afferma, “si maltratta la libertà di stampa”.
A questo proposito, è bene sottolineare che è proprio grazie a un’inedita e involontaria collaborazione tra videomaker e giornalisti ”indipendenti” e giornalisti “tradizionali”, che è emerso lo scandalo legato ad Alexandre Benalla, il collaboratore di Macron inquisito per aver malmenato degli studenti il 1 maggio del 2018. Benalla accompagnava le forze dell’ordine chiamate alla gestione di quella piazza a Parigi, travestito da poliziotto, senza alcuna autorizzazione ufficiale.
Grazie ai filmati di quella giornata, realizzati e postati sui social da giornalisti indipendenti tra i quali Taha Bouhafs e Gaspard Glanz, alcuni giornalisti “professionisti” di Le Monde e del Canard Enchainé, e poi di Mediapart, hanno potuto identificare Benalla e dare il via a uno degli scandali più significativi dell’era Macron.
Se prétendre journaliste n’a jamais autorisé à commettre des délits.
Avoir une « GoPro » sur un casque ne permet pas de provoquer nos forces de l’ordre.
S’agissant des décisions rendues, je rappelle à #GaspardGlanz qu’il existe dans notre pays une séparation des pouvoirs. pic.twitter.com/zD3dJuOg4P— Christophe Castaner (@CCastaner) 26 aprile 2019
Un insieme di messaggi provenienti dal mondo giornalistico che la politica, ancora una volta, sembra non voler recepire. Venerdì 26 aprile, il ministro degli interni Christophe Castaner, ha dedicato a Glanz un tweet lapidario: “Pretendere di essere un giornalista non ha mai autorizzato nessuno a commettere reati. Avere una GoPro sul casco non permette di provocare le nostre forze dell’ordine”.
Foto in anteprima via Change.org