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Coronavirus, “in Germania il primo focolaio europeo”: la notizia rilanciata dai media per ora non è confermata

6 Marzo 2020 7 min lettura

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Coronavirus, “in Germania il primo focolaio europeo”: la notizia rilanciata dai media per ora non è confermata

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“Coronavirus: in Germania il primo focolaio europeo. Primi contagi già a gennaio”. È stato questo il tenore dei titoli di molti articoli pubblicati ieri, in alcuni casi come notizia di apertura sulle home page dei propri siti, da diverse testate giornalistiche, e rilanciati oggi su carta.

La versione, più o meno condivisa da tutti, è la seguente. Un uomo di 33 anni di Monaco di Baviera, in Germania, sarebbe stato il primo europeo ad aver contratto l’infezione del nuovo Coronavirus e ad averla poi trasmessa ad altre persone.

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È quanto emergerebbe dall’analisi dell’albero filogenetico di “SARS-CoV-2” fatta sul sito open source Nextstrain da Trevor Bedford, professore associato al Department of Genome Sciences e al Department of Epidemiology all’Università di Washington, negli Stati Uniti, e co-sviluppatore della piattaforma che consente di tracciare in tempo reale l’evoluzione dei virus e di ricostruirne la genealogia sulla base delle sequenze genomiche. Nextstrain è stata utilizzata, ad esempio, per seguire gli sviluppi di Zika nelle Americhe e di Ebola in Africa per la condivisione di dati aggiornati e come fonte per la pubblicazione di approfondimenti.

In base all’analisi dei dati contenuti su Nextstrain, il primo contagio in Europa coinciderebbe con il caso di cui avevano parlato alcuni clinici tedeschi in una lettera pubblicata a fine gennaio dal New England Journal of Medicine (NEJM), come prova che anche gli asintomatici potevano trasmettere il virus ad altri. 

Nella lettera i clinici tedeschi scrivevano che un uomo era stato contagiato da una collega cinese di Shangai con la quale aveva partecipato a un meeting il 20 e 21 gennaio. La donna aveva soggiornato in Germania dal 19 al 22 gennaio e avrebbe manifestato i primi sintomi solo dopo essere partita, mentre era in aereo. Giunta in Cina, il 27 gennaio, avrebbe poi avvisato la compagnia che aveva organizzato l’incontro di essere risultata positiva al nuovo Coronavirus. In seguito ai test fatti in Germania, erano risultate positive tre persone, una perché entrata in contatto ravvicinato e prolungato con la donna, le altre due contagiate dal collega tedesco. 

Quest’ultimo avrebbe manifestato i primi sintomi (febbre a 39 e tosse) il 24 gennaio e si sarebbe poi presentato al lavoro tre giorni dopo, una volta che le sue condizioni erano migliorate senza sapere di aver contratto la malattia.

Successivamente, un articolo di Science aveva smentito l’ipotesi dei clinici tedeschi perché la donna cinese aveva già manifestato alcune sintomatologie mentre era in Germania scambiando però il nuovo virus per una sindrome influenzale, e per questo non si poteva parlare di contagiosità da parte di persone infette asintomatiche. Di tutto questo caso avevamo parlato in questo articolo.

Ora, secondo gli articoli riportati in Italia, che hanno ripreso un thread su Twitter di Bedford, questo caso potrebbe essere l’origine dei successivi contagi avvenuti in altri paesi, tra cui l'Italia. E, pertanto, la Germania sarebbe il primo focolaio europeo dal quale avrebbe avuto origine la propagazione dell’epidemia nel resto del Continente.

In base ai dati a disposizione, scrive Bedford su Twitter, è possibile individuare una particolare discendenza genetica del virus che ha mutazioni uniche e la differenziano da altri ceppi di “SARS-CoV-2”. Si può dire, prosegue il ricercatore, che “dal primo febbraio circa un quarto delle nuove infezioni in Messico, Finlandia, Scozia e Italia, come i primi casi in Brasile, appaiono geneticamente simili al focolaio di Monaco di Baviera. Una versione geneticamente simile è stata individuata in Lombardia e questo suggerisce che il ceppo individuato in Germania possa essere responsabile dell’epidemia esplosa in Italia".

La datazione del ceppo del virus individuato in Germania, prosegue Bedford, coincide con il caso citato nella lettera dei clinici tedeschi dello scorso gennaio su NEJM, e incredibilmente “questo cluster sembra essere l'antenato diretto di altre frazioni del virus che circolano oggi in Europa”.

"Il messaggio importante - concludeva Bedford - è che il fatto che un focolaio sia stato identificato e contenuto [ndr, come avvenuto all’epoca in Germania] non significa che questo caso non abbia continuato ad alimentare una catena di trasmissione che non è stata rilevata finché non è cresciuta al punto da avere dimensioni consistenti".

Sulla base di questi tweet, dunque, hanno scritto i loro articoli le tante testate giornalistiche che hanno deciso di dare questa notizia.

Ma le cose stanno effettivamente così?

Le conclusioni cui è giunto Bedford sono state contestate da altri studiosi, tanto è vero che lo stesso fondatore della piattaforma Nextstrain è dovuto tornare sull’argomento per dire che le sue analisi non erano definitive e sono anzi suscettibili di ulteriori cambiamenti.

Subito dopo la pubblicazione dei tweet, è intervenuta Emma Hodcroft, ricercatrice all’università di Basilea, e collaboratrice di Bedford su Nextstrain, per specificare che i dati non sono definitivi e, man mano che arriveranno nuove informazioni sul virus con il campionamento delle sequenze genomiche, potrebbero essere individuati altri ceppi che potrebbero inserirsi tra il contagio in Germania e quelli successivi in Italia e in Europa.

Ancora più esplicito è stato Andrew Rambaut, ricercatore dell’università di Edimburgo, in Scozia, che ha sottolineato come l’albero genealogico del virus non dimostrava che il caso tedesco fosse un antenato diretto di quelli in Italia: “Alla velocità con cui questo virus si evolve, tra una diramazione e l’altra possono esserci molte trasmissioni. È plausibile, anzi probabile, che l'antenato comune dei due virus fosse in Cina”.

Dopo questi tweet, Bedford è tornato due volte sulla questione per sottolineare che le criticità mosse dai suoi colleghi potevano essere condivisibili. “Penso ancora che l'ipotesi dell’origine bavarese dell'epidemia italiana sia una spiegazione che non tradisce quanto emerge dai dati genetici, ma questo non significa che sia l'unica spiegazione. Credo che ci siano almeno due scenari plausibili. Così funziona la scienza: vengono avanzate delle ipotesi, e c’è qualcun altro che le corregge, o muove critiche, e si va avanti a capire sempre meglio come stanno le cose in uno sforzo collettivo. Siamo di fronte effettivamente una revisione tra pari su Twitter e penso che sia meraviglioso.”.

Successivamente, Bedford è intervenuto nuovamente per scusarsi e precisare che avrebbe dovuto chiarire nei primi tweet che le sue non erano conclusioni definitive: “Un ulteriore campionamento di casi provenienti dalla Cina potrebbe mostrare che il focolaio in Lombardia potrebbe essere distinto dal primo contagio in Germania. La mia è un’ipotesi suggestiva, ma non definitiva”.

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Anche la virologa Ilaria Capua, durante un'intervista a "Piazza Pulita" su La7ha sottolineato [minuto 6:30] che non ci sono dati sufficienti per poter dire che la diffusione del virus sia partita in Europa dalla Germania: «Noi in banca dati abbiamo pochissimi virus. Se non riusciamo a fare l’impronta digitale di questi virus e a ricostruire come si sono mossi in Italia e come si sono mossi in Europa, noi non possiamo andare a dire a nessuno che non siamo gli untori. Quindi dobbiamo iniziare assolutamente a sequenziare questi virus e metterli nelle piattaforme condivise».

Allo stato attuale, dunque, non ci sono tutti gli elementi per sostenere con certezza che l’epidemia in Italia e in Europa sia partita dalla Germania. Come sono andate le cose e da dove tutto è partito lo capiremo solo in seguito.

Foto in anteprima: ANSA – via Avvenire

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