Trump e la teoria del complotto sul ‘genocidio dei bianchi’ (che non esiste)
7 min letturaSin dal primo giorno l’amministrazione Trump sta facendo di tutto per non far arrivare negli Stati Uniti rifugiati e richiedenti asilo, o comunque per rendere loro la vita impossibile.
Esiste però un’unica e clamorosa eccezione a questa regola: gli afrikaner, ossia la minoranza bianca del Sudafrica che discende dai primi coloni olandesi e che per decenni ha imposto il brutale regime di apartheid.
Lo scorso 12 maggio quarantanove persone afrikaner sono atterrate all’aeroporto Dulles di Washington D. C., nell’ambito di un programma di reinsediamento ad hoc promosso dalla Casa Bianca. Ad accoglierle c’erano il vicesegretario di Stato, Christopher Landau, e il vicesegretario della sicurezza interna, Troy Edgar.
“È davvero un onore avervi con noi qui oggi”, ha detto Landau, “vedervi con le nostre bandiere in mano mi rende molto felice”.
Il vicesegretario ha poi citato la sua storia familiare, ricordando che “mio padre era nato in Europa e ha dovuto lasciare il paese quando Hitler è salito al potere…capiamo ciò che avete dovuto affrontare negli ultimi anni”. Giusto per la cronaca, uno dei rifugiati afrikaner ha postato svariati commenti antisemiti sui social.
Il messaggio che vuole lanciare la Casa Bianca trumpiana, ha chiosato Landau, è che “gli Stati Uniti rigettano con forza la persecuzione delle persone in Sudafrica basata sulla razza”.
Proprio così: secondo Landau – e più in generale secondo la destra MAGA – i bianchi sudafricani sarebbero vittime di discriminazioni tali da meritare un canale d’asilo preferenziale che non viene accordato a nessun altro gruppo al mondo.
A detta di Trump, la categoria più colpita sarebbero i contadini e gli imprenditori agricoli. “Stanno uccidendo brutalmente i contadini bianchi e stanno confiscando la loro terra”, ha dichiarato in una conferenza stampa. Trump ha ripetuto queste affermazioni nel recente incontro con il presidente del Sudafrica Cyril Ramaphosa, mostrando una foto come prova, presa però da un filmato girato da Reuters in Congo.
È in larga parte per questo motivo che all’inizio di febbraio il 47esimo presidente aveva firmato un ordine esecutivo con cui bloccava gli aiuti al Sudafrica e rendeva prioritario il reinsediamento degli afrikaner negli Stati Uniti, accusando il governo sudafricano di voler espropriare le terre dei bianchi attraverso il recente Expropriation Act (che non è stato ancora usato).
Dal canto suo, Ramaphosa ha affermato che Trump ha ricevuto “informazioni false” sulla condizione degli afrikaner.
E in effetti, dati alla mano, non si può parlare affatto di una minoranza perseguitata.
Nonostante siano passati più di 30 anni dalla fine dell’apartheid, in Sudafrica i bianchi – che sono il 7 per cento della popolazione – hanno in media un reddito 20 volte superiore a quello dei neri, possiedono circa il 70 per cento dei terreni agricoli e hanno molte meno probabilità di essere disoccupati.
Ancora adesso esistono enclavi, come il paesino di Orania, in cui vige una rigidissima segregazione razziale e dove i neri non possono entrare.
Non sorprende dunque, stando a un sondaggio del 2019, che la stragrande maggioranza degli afrikaner non si senta discriminata: molto semplicemente, non lo è.
White genocide
Negli ultimi anni si è tuttavia imposta una narrazione contraria e altamente paranoica, secondo cui sarebbe addirittura un corso un “genocidio” degli afrikaner. L’ha ribadito anche Donald Trump per giustificare il programma di reinsediamento.
Ovviamente, non c’è nulla di vero. Si tratta piuttosto di una variazione locale della teoria del complotto del white genocide (“genocidio dei bianchi”), che a sua volta è una specie di versione statunitense della “grande sostituzione”.
I primi riferimenti sono comparsi all’inizio degli anni Settanta. Nel 1972 viene pubblicato su White Power, la rivista ufficiale del National Socialist White’s People Party, un pezzo intitolato Over-Population Myth Is Cover for White Genocide (“Il mito della sovrappopolazione è una copertura per il genocidio dei bianchi”).
L’articolo accusava le “campagne per il controllo delle nascite” di focalizzarsi solo sui bianchi e di non intaccare il resto del mondo non bianco, con l’esito di condannare alla scomparsa i primi.
Alla fine del decennio, la paura della “contaminazione razziale” e dell’“eliminazione dei bianchi” – già profondamente radicata negli ambienti razzisti statunitensi – va a formare il nucleo dei Diari di Turner, il romanzo distopico di William Luther Pierce che viene preso a modello dal gruppo terroristico The Order.
Uno dei membri di spicco della milizia era David Lane, che in carcere – dove deve scontare 190 anni di pena per una sfilza di reati gravissimi – si è convertito all’Odinismo ed è diventato un prolifico scrittore.
Il neonazista ha coniato lo slogan delle 14 parole (“Dobbiamo assicurare l’esistenza del nostro popolo e un futuro per i bambini bianchi”), che tutt’ora è un mantra usato dall’estrema destra globale; e nel 1998 ha pubblicato il White Genocide Manifesto (“Il manifesto del genocidio dei bianchi”).
In esso, Lane sostiene che i governi occidentali sono infiltrati dalla “cospirazione sionista” che punta a “imbastardire, sopraffare e sterminare la razza Bianca”.
Anche l’aborto, i programmi di inclusione delle minoranze e gli “sport multi-razziali” fanno parte del complotto perché contribuiscono “a diluire il senso di unicità e i valori necessari alla sopravvivenza della nostra razza”.
Dopo aver compilato questa lista di “crimini,” Lane ritiene che l’unica salvezza stia nel “separatismo bianco” che consiste nella creazione di etno-stati “purificati” ed “esclusivamente bianchi.”
Secondo il ricercatore indipendente Kevan Feshami, autore di un lungo articolo sul tema pubblicato su Lapham’s Quarterly, Lane ha incarnato un’avanguardia concettuale per aver posto al centro delle proprie riflessioni il declino demografico, l’aumento dei flussi migratori e la necessità di proteggere la “razza bianca” in tutto il mondo, senza fare troppe distinzioni nazionali.
Sebbene Lane avesse un seguito militante non indifferente, proseguito anche dopo la sua morte avvenuta nel 2007, il “genocidio dei bianchi” è rimasto a lungo un tema confinato negli ambienti più radicali.
È diventato noto soltanto a partire dal 2016, quando l’alt-right lo ha diffuso a colpi di hashtag e meme. Per il neonazista Andrew Anglin – fondatore del sito The Daily Stormer – il “genocidio dei bianchi” è il cuore pulsante del movimento, quello “su cui si basa ogni altra cosa”.
In tutto il mondo, scriveva in una guida sull’alt-right, “i bianchi stanno per essere sterminati dall’immigrazione di massa, promossa da una corrosiva ideologia liberale di odio autoinflitto verso i bianchi. Gli ebrei sono i principali responsabili di questo piano”.
Plaasmoorde
Il “genocidio dei bianchi” ha poi trovato altra linfa vitale in Sudafrica.
Ispirati dal successo dell’alt-right e dal clima politico reazionario sdoganato dal primo mandato di Donald Trump, due gruppi suprematisti afrikaner – Suidlanders e AfriForum – hanno cominciato a elaborare una propria versione della teoria, facendo leva sui cosiddetti “omicidi delle fattorie” (plaasmoorde in afrikaans).
Secondo loro, infatti, le violenze nelle zone rurali sarebbero la prova regina dello sterminio in atto. Ma come hanno rilevato i rapporti ufficiali di una commissione d’inchiesta sul fenomeno e della polizia, la stragrande maggioranza dei furti e degli omicidi è dettato da ragioni economiche, dovute dalle diseguaglianze lasciate in eredità dall’apartheid.
A ogni modo, tra il 2017 e il 2018, i leader dei due gruppi hanno fatto un lungo tour negli Stati Uniti per raccogliere finanziamenti e sensibilizzare sulla loro causa.
La campagna è stata un successo, e ha trovato parecchie sponde tra la destra MAGA e la stampa di estrema destra.
L’influencer britannica Katie Hopkins ha dedicato al “genocidio” un intero documentario; la youtuber canadese dell’alt-right Lauren Southern ha prodotto un lungo reportage sul campo realizzato con l’aiuto degli Suidlanders; e l’opinionista trumpiana Ann Coulter ha affermato in un tweet che “gli unici veri rifugiati sono gli agricoltori bianchi sudafricani che rischiano il genocidio.”
Il coronamento è arrivato quando l’allora conduttore di Fox News Tucker Carlson ha dedicato un servizio di sei minuti alla “pulizia etnica” degli agricoltori afrikaner. Trump, da vorace consumatore di tv qual è, lo ha visto e ha subito incaricato il segretario di stato Mike Pompeo di “studiare molto attentamente” le “uccisioni di massa dei contadini bianchi in Sudafrica”.
L’interessamento di Trump ha rappresentato lo sdoganamento definitivo della teoria. “Cinque, dieci anni fa il genocidio dei bianchi in Sudafrica era solo su Stormfront [il più noto forum neonazista al mondo],” ha commentato il conduttore del podcast di estrema destra White Rabbit Radio, “mentre adesso è del tutto mainstream”.
Col passare degli anni il tema non è mai passato di moda; al contrario, ha assunto sempre più rilevanza – soprattutto grazie a Elon Musk, Peter Thiel e David Sacks, i membri sudafricani della “PayPal mafia”.
L’uomo più ricco del mondo, in particolare, ha rilanciato più volte su X la presunta piaga degli agricoltori afrikaner e la teoria del “genocidio dei bianchi”.
L’ha fatto anzitutto per fini imprenditoriali, ossia per fare pressione politica sulle autorità sudafricane e ottenere un’esenzione per Starlink, aggirando così le norme che impongono di includere le persone nere nelle aziende o negli accordi commerciali.
Ma non solo: da parte di Musk c’è una certa adesione ideologica.
Anche se non parla quasi mai dei suoi trascorsi sudafricani, è innegabile che abbia interiorizzato convincimenti razzisti e suprematisti. L’ha spiegato chiaramente Phillip Van Niekerk, ex direttore del quotidiano anti-apartheid Mail and Guardian:
Tutti noi sudafricani bianchi, per la natura stessa dei nostri privilegi e del nostro posto nella gerarchia razziale, siamo cresciuti credendo di essere la razza padrona, anche se non ci pensavamo attivamente.
Come ha scritto Chris McGreal sul Guardian, il magnate ha vissuto i suoi anni formativi in Sudafrica e ha imparato a scuola che gli “le vere vittime della storia sudafricana sono sempre stati gli afrikaner, vuoi per mano degli avidi imperialisti britannici vuoi per mano dei perfidi capi zulu”.
Ora l’intera amministrazione Trump sta dando credito a questa visione distorta e vittimista, togliendo i fondi e negando l’asilo a chi scappa da guerre e persecuzioni reali – e non da genocidi immaginari.
*Articolo pubblicato anche sulla newsletter Complotti!, che si occupa dell'impatto delle teorie del complotto sulla politica, sulla società e sulla cultura. Per iscriverti alla newsletter Complotti! clicca qui.
Immagine in anteprima via bluesky

EmmE
La facilità con cui Trump parla di genocidio riferendosi agli africaner comparata alla difficoltà di usare la stessa parola riferendosi ai palestinesi lascia senza parole e forse senza speranza