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A Gaza c’è un rischio imminente di carestia

22 Marzo 2024 6 min lettura

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A Gaza c’è un rischio imminente di carestia

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C’è un rischio carestia “imminente” a Gaza, dove 1,1 milioni di persone, pari alla metà degli abitanti della regione, soffre di livelli di insicurezza alimentare “catastrofici”. La carestia può verificarsi da un momento all’altro da qui a maggio, nella parte settentrionale della Striscia, mentre nella zona meridionale esiste un pericolo analogo qualora la situazione dovesse peggiorare, in particolare in caso di offensiva via terra israeliana a Rafah.

Questo è il giudizio di sintesi del rapporto presentato lunedì scorso dall’Integrated Food Security Phase Classification (IPC), un gruppo che riunisce varie organizzazioni, tra cui il Programma Alimentare Mondiale e l’OMS. Il livello di emergenza alimentare riportato dall’IPC riguarda il maggior numero di persone mai registrato nella categoria più alta - “fase 5” della scala IPC, ovvero “carestia/catastrofe”.

Come riferisce il Guardian, si tratta di una carestia “provocata dall’uomo” e per cui da più parti si sta accusando Israele di crimini di guerra. Oltre a ciò, a fine gennaio la Corte Internazionale di Giustizia (CIG), nel caso avanzato dal Sudafrica con l’accusa di violazione della Convenzione sul genicidio, aveva emesso un’ordinanza in cui aveva chiesto a Israele di prendere le misure necessarie per tutelare la situazione umanitaria dei civili palestinesi. A inizio mese il Sudafrica ha chiesto alla CIG di richiedere nuove misure di emergenza, mentre Israele ha definito la richiesta come “moralmente ripugnante”, invitando la Corte a respingerla.

 

Il caso Sudafrica vs. Israele: come leggere l’ordinanza della Corte Internazionale di Giustizia

Varie organizzazioni e alti funzionari si sono espressi questi giorni circa l’emergenza alimentare a Gaza. “La comunità internazionale dovrebbe vergognarsi per non essere riuscita a impedire questa situazione”, ha scritto su X/Twitter Martin Griffiths, coordinatore dei soccorsi delle Nazioni Unite. Commentando in un thread il rapporto dell’IPC, il presidente di Refugee International Jeremy Konyndyk ha dichiarato: “In 25 anni di attività umanitaria questa potrebbe essere, parola per parola, l'analisi più tragica che ho mai visto”.

Quello dell’IPC è solo l’ultimo allarme lanciato sul rischio carestia e l’uso della fame come strumento bellico. La stessa organizzazione, in un analogo rapporto presentato a dicembre, aveva rilevato i livelli record raggiunti dall’emergenza alimentare. Sempre a dicembre, un rapporto di Human Rights Watch aveva accusato Isaele di usare la fame come strumento di guerra per colpire la popolazione civile palestinese. Come ricordato nel rapporto,

Il diritto internazionale umanitario (o il diritto bellico), proibisce di affamare i civili come strumento di guerra. Lo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale stabilisce che affamare intenzionalmente i civili "privandoli di oggetti indispensabili alla loro sopravvivenza, compreso l'ostacolare intenzionalmente le forniture di soccorso" è un crimine di guerra. L'intento criminale non richiede l'ammissione dell'aggressore, ma può anche essere dedotto dal complesso delle circostanze della campagna militare. [...] In quanto potenza occupante a Gaza, secondo la Quarta Convenzione di Ginevra, Israele ha il dovere di garantire alla popolazione civile l'approvvigionamento di cibo e medicinali.

Israele sta usando la fame come arma di guerra a Gaza

Analoghe accuse sono state sollevate lo scorso febbraio, quando tre alti funzionari delle Nazioni Unite hanno avvertito il Consiglio di Sicurezza del rischio carestia, “sollecitando un’azione immediata per evitare il disastro umanitario in un territorio in cui molti membri del Consiglio hanno denunciato l’uso della fame come arma di guerra”.

In quell’occasione, il vicedirettore generale della FAO Maurizio Martina aveva indicato come, a partire dal 9 ottobre, il rafforzamento del blocco imposto da Israele sulla Striscia di Gaza, con l’interruzione o la limitazione delle forniture di cibo, elettricità, carburante e altri bene, abbia finito per colpire in “l’intera catena di approvigionamento alimentare”.

Tornando al nuovo rapporto dell’IPC, il Famine Review Committee (FRC) ha sottolineato che la carestia può essere scongiurata, purché le parti in conflitto e la comunità internazionale adottino “misure urgenti e proattive”. Tra queste, l’FRC raccomanda:

il ripristino dell'accesso umanitario e dei servizi sanitari, nutrizionali, igienici e dell’accesso all’acqua; la protezione dei civili; la fornitura di cibo sicuro, nutriente e sufficiente a tutte le popolazioni che ne hanno bisogno; la fornitura di un numero sufficiente di aiuti, che vanno dal cibo ai farmaci, ai prodotti nutrizionali specialistici e al carburante in tutta la Striscia di Gaza; la piena ripresa del flusso di beni commerciali.

Anche Oxfam, confederazione di organizzazioni non profit impegnate nel ridurre la povertà nel mondo, ha commentato il rapporto dell’IPC, attraverso le parole di Sally Abi Khalil, responsabile dell’organizzazione per il Medio Oriente e il Nord Africa:

La situazione umanitaria a Gaza è effettivamente peggiorata da quando la Corte internazionale di giustizia (CIG) ha ordinato specificamente a Israele di consentire maggiori aiuti.  La deliberata produzione di sofferenza da parte di Israele è sistemica e di tale portata e intensità da creare un rischio reale di genocidio a Gaza.

La stessa Oxfam, in un rapporto pubblicato il 15 marzo, ha evidenziato “sette restrizioni fondamentali imposte da Israele all’accesso umanitario”. Secondo Oxfam, queste restrizioni sono:

  • un assedio militare totale, equiparabile a una punizione collettiva;
  • una procedura ingiustificatamente inefficiente dei protocolli di ispezione;
  • il rifiuto arbitrario di "articoli a duplice uso" (ossia civile e militare), attraverso il ricorso opaco alla definizione di “duplice uso”;
  • un assato senza precedenti per intensità, brutalità e portata;
  • gli attacchi a operatori umanitari, alle strutture umanitarie e ai convogli di aiuti;
  • la mancanza di aree sicure per la popolazione civile e il trasferimento forzato di oltre il 70 per cento della popolazione;
  • sistematico rifiuti di missioni umanitarie nella zona nord di Gaza e restrizioni di accesso agli operatori umanitari.

Solo nelle prime due settimane di marzo, secondo i dati forniti dall’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (OCHA), il 46% delle missioni umanitarie nel nordi di Gaza (11 su un totale di 24) sono state agevolate dalle autorità israeliane, il 21% (5) sono state negate e il 33% (8) sono state rinviate. Nello stesso periodo, “il 76% delle missioni di aiuto nelle aree a sud del Wadi Ghazza che richiedono un coordinamento (78 su 103) sono state agevolate dalle autorità israeliane, 15 sono state negate (14%) e dieci sono state rinviate o ritirate (10%)”.

Lunedì scorso, Philippe Lazzarini, commissario generale dell’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l'occupazione dei profughi palestinesi nel vicino oriente (UNRWA), ha dichiarato che le autorità israeliane gli hanno negato il visto di ingresso a Gaza, dove avrebbe dovuto coordinare gli aiuti umanitari.

Cosa sappiamo finora delle accuse di Israele all’UNRWA

 

Su Internazionale, Francesca Gnetti ha riepilogato la situazione degli aiuti umanitari, evidenziando i limiti degli interventi attuali:

Israele sostiene di non mettere limiti agli aiuti umanitari. Ma le organizzazioni per la difesa dei diritti umani denunciano il blocco della distribuzione via terra imposto da Tel Aviv negli ultimi mesi. Prima del 7 ottobre 2023 circa cinquecento camion di aiuti entravano tutti i giorni nella Striscia di Gaza. Dopo gli attacchi di Hamas, Israele ha bloccato l’ingresso di generi alimentari, carburante, rifornimenti medici e altri beni. A fine ottobre è stato autorizzato l’ingresso di alcuni aiuti attraverso dei camion: a poco a poco sono diventati un centinaio al giorno fino alla fine del 2023, il doppio durante il cessate il fuoco di novembre. Dopo un calo significativo a febbraio, a marzo una media di 166 camion al giorno è entrata nella Striscia di Gaza.

Gli aiuti via mare, invece, sono ostacolati dal fatto che Israele ha distrutto tutti i porti della Striscia di Gaza. Gli Stati Uniti stanno annunciato un piano per costruirne uno temporaneo destinato alla consegna degli aiuti, mentre nel frattempo, insieme ad altri paesi, stanno operando per la consegna di aiuti aerei. Tuttavia, fa presente Gnetti, questo metodo è tutt’altro che sicuro, tanto che il 13 marzo 25 ONG umanitarie hanno cofirmato un appello affinché diano la priorità alla richiesta di cessate il fuoco e agli aiuti umanitari via terra. Tra queste, figurano Oxfam, Amnesty International, Action Aid e Médecins du Monde.

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“Gli Stati”, si legge nell’appello “non possono nascondersi dietro i lanci aerei e gli sforzi per aprire un corridoio marittimo per creare l'illusione di fare abbastanza per sostenere i bisogni di Gaza: la loro responsabilità primaria è quella di impedire il verificarsi di crimini atroci e di esercitare un'efficace pressione politica per porre fine ai bombardamenti incessanti e alle restrizioni che impediscono la consegna sicura degli aiuti umanitari”.

(immagine anteprima via YouTube)

 

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