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In Italia l’estrema destra è già all’attacco del diritto all’aborto: cosa succede se al feto è riconosciuta capacità giuridica

22 Ottobre 2022 9 min lettura

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In Italia l’estrema destra è già all’attacco del diritto all’aborto: cosa succede se al feto è riconosciuta capacità giuridica

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Riconoscere a livello giuridico il feto, ancora prima che sia nato, considerandolo a tutti gli effetti una persona. È la novità contenuta nel disegno di legge presentato lo scorso 13 ottobre dal senatore di Forza Italia Maurizio Gasparri, il giorno stesso dell’insediamento del Parlamento: la maggioranza punta così a modificare il primo articolo del codice civile, che stabilisce che “la capacità giuridica si acquista dal momento della nascita”. Il DDL, di cui ancora non è stato pubblicato il testo completo sul sito del Senato, prevede invece che ogni essere umano abbia la capacità giuridica “fin dal momento del concepimento”. Gasparri assicura che l’obiettivo della sua proposta non è l’abolizione della legge 194/78, che disciplina l’aborto in Italia, quanto più “la sua applicazione”.

Eppure uno degli effetti diretti di questo DDL, se venisse approvato, sarebbe di fatto quello di equiparare il feto a una persona, e l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) a un omicidio volontario. “L’obiettivo di questo DDL è molto chiaro: è un modo per mettere mano in maniera molto pesante, seppur indiretta, alla legge 194”, spiega Giulia Crivellini, avvocata esperta di diritti civili della campagna “Libera di abortire”. “Il principio giuridico che equipara il concepito alla persona finirebbe sostanzialmente per far venire meno la 194: l’immediata conseguenza sarebbe quella di dover perseguire la donna che abortisce per omicidio. Proprio come accade nei paesi dove l’aborto è illegale. Di fatto, questo DDL antepone i diritti del nascituro a quelli delle donne che decidono di portare avanti un’IVG”.

La proposta, che ora dovrà essere assegnata a una Commissione, è già stata presentata quattro volte in Parlamento nelle scorse legislature, di cui una dallo stesso Gasparri, che ha dichiarato: “Il disegno di legge sui ‘diritti del concepito’ lo presento da tempo all'inizio di tutte le legislature: è un impegno morale che avevo preso con Carlo Casini del Movimento per la vita, che fu a lungo deputato Dc e che è scomparso alcuni anni fa. Mi farebbe piacere una discussione serena su questi temi”.

Eppure si tratta di un DDL che va contro i principi della nostra stessa Costituzione. La corte costituzionale già nel 1975, con la sentenza 27, stabilì infatti che “non esiste equivalenza fra il diritto non solo alla vita ma anche alla salute proprio di chi è già persona, come la madre, e la salvaguardia dell’embrione che persona deve ancora diventare”. Fu quella sentenza che, ancora prima della legge 194, decriminalizzò il reato di aborto di donna consenziente. “La Costituzione italiana sancisce i diritti all’autodeterminazione e alla salute della donna”, spiega Crivellini. “Questo DDL dunque è incostituzionale: il concetto si cui si basa riprende alcune disposizioni di stampo fascista contenute nel Codice penale del 1930. Nemmeno nel diritto romano il concepito era equiparato alla persona”.

Il nostro codice civile, comunque prevede alcuni diritti per il concepito, ma si tratta di diritti patrimoniali in divenire, che prendono pienezza solo dopo l’evento nascita. Ad esempio, l’articolo 462 stabilisce la capacità di succedere nell’eredità a favore di tutti coloro che sono nati o sono stati concepiti. Ma, se il concepito poi non nasce, e dunque non diventa persona, questo diritto decade immediatamente.

La “giornata della vita nascente” e la riforma dei consultori

Sempre il 13 ottobre sono stati depositati anche altri due disegni di legge che, senza toccare direttamente la legge 194, ostacolerebbero l’accesso all’IVG. Uno è sempre a firma di Gasparri e prevede di istituire la “giornata della vita nascente”, facendo riferimento a una serie di associazioni cattoliche che fanno storicamente parte del movimento antiabortista italiano, come “Family Day-Difendiamo i nostri figli”, “CitizenGo” o “Giuristi per la vita” o che, tra le altre cose, si occupano della sepoltura dei feti senza il consenso delle donne. Negli ultimi anni questa proposta è stata presentata ben sei volte, anche da parlamentari del Partito democratico e del Movimento 5 stelle.

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La terza proposta arriva invece dal senatore della Lega Massimiliano Romeo e contiene “Disposizioni per la tutela della famiglia e della vita nascente, per la conciliazione tra lavoro e famiglia e delega al Governo per la disciplina del fattore famiglia”. Il DDL era stato presentato con lo stesso titolo anche nel 2021, sempre da Romeo: si tratta di un testo molto ampio, che riguarda diversi ambiti del welfare e che va a toccare anche alcune questioni legate all’aborto. 

Tra le altre cose, prevede che il concepito venga riconosciuto “quale componente del nucleo familiare a tutti gli effetti”, chiede di istituire un fondo per il sostegno della maternità “per evitare che le donne in stato di gravidanza ricorrano all’interruzione volontaria della medesima”, e stabilisce che lo stato deleghi alcune funzioni, in particolare nel campo educativo, ad associazioni che promuovono “iniziative volte alla conservazione, alla valorizzazione e alla tutela della famiglia”.

Ma soprattutto, il DDL include una riforma dei consultori, stabilendo che il loro obiettivo principale sia la tutela della maternità per “assicurare la tutela della vita umana fin dal suo concepimento”. La proposta prevede che i consultori si possano avvalere “di personale medico e ostetrico anche obiettore di coscienza” e “della collaborazione delle associazioni operanti a difesa della vita”.

“Queste proposte sono già state presentate diverse volte in passato, senza successo, ma questa volta potrebbero passare, con questa maggioranza alla Camera e al Senato”, commenta Marte Manca, attivista di Non Una di Meno Marche. “Fin dal primo Family Day, la lobby pro-vita in Italia sta portando avanti un’agenda politica ben precisa, che promuove la cosiddetta ‘vita nascente’ e porta avanti un attacco ai consultori e al diritto all’aborto. Quello che sta succedendo oggi non è una tegola che ci cade improvvisamente sulla testa: sono anni che la destra prepara il terreno, portando avanti in diversi territori proposte antiabortiste e contro la libertà di scelta delle donne”.

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Un lungo percorso per limitare l’accesso all’aborto

Durante la recente campagna elettorale, la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni ha sempre assicurato di non voler restringere il diritto all’aborto e non voler abolire la legge 194, ma di volerla “applicarla pienamente”, come è scritto nel suo programma elettorale, dando alle donne “il diritto di non abortire” applicando la parte della legge sulla tutela sociale della maternità. Eppure, è significativo che queste tre proposte siano state depositate proprio nel giorno dell’insediamento del nuovo parlamento, composto da una maggioranza che ha espliciti legami con i movimenti antiabortisti e pro vita, e che in passato ha portato avanti delibere, interrogazioni e proposte di legge a livello locale e regionale, per limitare il diritto di scelta delle donne.

A cominciare è il Veneto, che il 28 maggio del 2020 promulga una legge regionale dal titolo “Interventi a sostegno della famiglia e della natalità”: la norma apre la strada alla presenza nelle strutture pubbliche di associazioni con finalità contrarie alla legge 194, si rivolge alla famiglia nella sua composizione cosiddetta “tradizionale”, svuota i consultori e moltiplica gli sportelli informativi senza chiarirne le finalità.

A giugno 2020, in Umbria, la giunta della governatrice Donatella Tesei della Lega abroga una delibera che permetteva di praticare l'aborto farmacologico in day hospital, introducendo l’obbligo al ricovero per tre giorni per assumere la pillola RU486. Tutto questo proprio mentre la Società italiana di ginecologia e ostetricia prescrive il ricorso all’aborto farmacologico per evitare di intasare gli ospedali e le sale operatorie durante la pandemia: dopo diverse proteste, ad agosto il ministero della salute aggiorna le linee guida nazionali, affermando che l’IVG con i farmaci può essere effettuata in strutture ambulatoriali e consultori pubblici, oltre che in ospedale in ricovero ordinario o in day hospital, fino alla nona settimana. A fine novembre, sempre in Umbria, i consiglieri regionali della Lega presentano allora un progetto di legge che modifica il testo unico in materia di sanità, per sostenere le politiche “per la famiglia naturale”: tra le misure proposte c’è la possibilità che i movimenti per la vita cattolici possano entrare nei consultori per convincere le donne a non abortire, oppure per diffondere i metodi di contraccezione naturale.

Successivamente, anche altre regioni hanno seguito l’esempio di Veneto e Umbria. A fine settembre 2020 la regione Piemonte, su iniziativa di un consigliere di Fratelli d’Italia e con il sostegno del presidente Alberto Cirio di Forza Italia, dirama una circolare che vieta di accedere alla pillola abortiva RU486 nei consultori, andando contro alle linee guida del ministero. Inoltre, finanzia e rafforza l’ingresso delle associazioni anti-abortiste negli ospedali, prevedendo l’attivazione di sportelli informativi da parte di “idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita”. La delibera cita, a titolo esemplificativo, il Movimento per la vita e i Centri di aiuto alla vita: queste associazioni prendono parte ai colloqui per l’ivg, dopo i quali è rilasciato il certificato medico per recarsi in ospedale, tentando di dissuadere le donne che vorrebbero abortire.

A fine gennaio 2021 è la volta delle Marche, guidata da Francesco Acquaroli di Fratelli d’Italia, che decide di opporsi all’aborto farmacologico e alle nuove linee di indirizzo ministeriali. A metà febbraio il capogruppo al consiglio regionale di Fratelli d’Italia, Carlo Ciccioli, presenta una proposta di legge a “sostegno di famiglia, genitorialità e natalità”, molto simile a quella umbra. All’articolo 3, capo 3, si dice esplicitamente che la regione valorizza le associazioni che “promuovono iniziative di sensibilizzazione e di formazione delle famiglie e nello specifico dei genitori per lo svolgimento dei loro compiti sociali ed educativi”.

Segue a ruota l’Abruzzo del governatore Marco Marsilio di Fratelli d’Italia: a febbraio 2021 la regione invia una circolare alle Aziende sanitarie locali “affinché l’interruzione farmacologica di gravidanza sia effettuata preferibilmente in ambito ospedaliero e non presso i consultori familiari”. A marzo arriva il progetto di legge “Interventi in favore della famiglia”, che tra le altre cose istituisce un fondo per sostenere le famiglie e la maternità.

In Italia stanno aumentando gli aborti clandestini

Tutto questo fa sì che anche nel nostro paese, benché l’aborto sia legale, stiano aumentando gli aborti clandestini e gli ordini di pillole abortive online, con aborti fai-da-te fatti seguendo tutorial sul web, con servizi di telemedicina. Lo rivela una ricerca di Women on Web, organizzazione olandese nata per assistere a distanza le donne che vivono in paesi dove l’aborto non è garantito o è reato. L’indagine mostra che in Italia sono sempre di più le donne che si rivolgono all’associazione per farsi spedire la pillola abortiva a casa: dall’1 marzo 2019 al 30 novembre 2020 ci sono state 778 richieste, con un aumento del 12% dal 2019 al 2020. La situazione più critica è quella delle ragazze minorenni: rispetto alle altre donne, in media chiedono aiuto quando la gravidanza è in uno stadio più avanzato, e tra le ragioni è più frequente lo stupro, le difficoltà economiche o lo stigma sociale.

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“In Italia l’accesso all'aborto dovrebbe essere garantito dalla legge 194, ma nella realtà di fatti tantissime persone vengono ostacolate nella loro scelta”, spiega un’attivista di Women on Web che preferisce non rivelare la sua identità. “La pandemia e i relativi confinamenti hanno allargato la forbice di disuguaglianze tra chi può permettersi di abortire in ospedale e chi no: la mancanza di servizi, la necessità di andare in un’altra regione, e il fatto che si potrebbero incontrare obiettori sono dei grandi deterrenti. Le parole delle donne mostrano una grande stanchezza”.

Ma anche negli ospedali dove l’accesso è garantito, spesso il personale sanitario non favorisce le donne che scelgono di interrompere una gravidanza: “Alcuni obbligano la donna a guardare l’ecografia, altri le fanno ascoltare il battito, altri ancora fanno una battuta di troppo o rimandano al giorno dopo”. Ecco allora che molte persone preferiscono rivolgersi alla telemedicina e assumere la pillola RU486 da sole in casa, seguite a distanza da un medico. “Per come si stanno mettendo le cose, in futuro potrebbe essere sempre più difficile accedere all’aborto chirurgico, e quello farmacologico potrebbe diventare forse la via più semplice con cui riuscire a portare avanti un’IVG”, conclude l’attivista. “La battaglia sulla telemedicina comunque deve andare di pari passo alla battaglia sui territori: bisogna smettere di alimentare questo humus culturale che associa l’aborto all’omicidio, altrimenti i diritti delle donne saranno sempre più in pericolo”.

Immagine in anteprima via Ansa

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