Scottato dal fatto che i suoi rappresentanti nel Consiglio di Amministrazione sono una minoranza impotente a contrastare la maggioranza di destra (tre contro sei), il PD si è dunque deciso a scendere in campo con una proposta di legge che vorrebbe allontanare i partiti dalla Rai.
La notizia non può che rallegrare coloro che vogliono un servizio pubblico autonomo e autorevole, svincolato da ogni sudditanza alla politica.
Ma, nel merito, le proposte fin qui avanzate da Bersani (e da Rognoni, responsabile PD per la televisione pubblica) destano non pochi dubbi e parecchie perplessità in molti di coloro che sono impegnati nei movimenti per la libertà di informazione.
Io stesso ho raccolto anche nella Valigia Blu, nel Popolo Viola, nei sostenitori di Articolo 21, nella galassia dei tanti gruppi organizzati in rete, molte voci e numerosi commenti critici, che voglio qui segnalare per dovere di cronaca.
Anzitutto la composizione del Consiglio di Amministrazione: il PD propone di inserirvi alcuni rappresentanti dei comuni e delle regioni. Ma molti fanno osservare che saranno anche questi inevitabilmente designati, concordati, spartiti fra i vertici dei partiti.
La seconda proposta del PD è quella sostituire l’attuale direttore generale nominato, nei fatti, dal governo con un amministratore delegato unico, designato da una maggioranza qualificata della Commissione Parlamentare di Vigilanza ( i due terzi): in sostanza, una figura autorevole ed esperta, che per avere i due terzi dei voti dovrà però necessariamente essere concordata fra PDL, PD e LEGA: ecco perciò la fondatissima obbiezione di molti cittadini, secondo i quali anche questa nuova governance Rai confermerà, per altra via, il controllo pieno e totale dei partiti (più forti) sulla tv pubblica.
Ma è di questo che abbiamo davvero bisogno per ridare autonomia alla Rai?
Io personalmente suggerisco una formula radicalmente nuova, cioè un CdA RAI “aperto” realmente alla società, con soli quattro membri eletti dai partiti presenti in Parlamento e dodici designati dal mondo del lavoro, del sindacato, dell’editoria, del volontariato, dell’università, dell’arte, dello spettacolo, e anche dalle associazioni degli utenti della Rai. Articolo 21, in una specifica proposta di legge, vorrebbe che queste voci fossero rappresentate almeno dentro un Comitato Editoriale, che dovrebbe decidere la strategia complessiva del servizio pubblico.
Quello insomma che si vorrebbe dal PD è un po’ più coraggio, una proposta che vada effettivamente e credibilmente in direzione di un vero allontanamento dei partiti dalla Rai. Non sembra proprio che siano in molti pronti a combattere per un amministratore unico e un CdA ancora sottoposti al controllo dei vertici della politica. Discutiamone, pubblicamente.
Gilberto Squizzato autore del libro "La Tv che non c'è. Come e perché riformare la Rai"
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