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Il caos politico in Francia è destinato a continuare

6 Dicembre 2024 10 min lettura

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Il caos politico in Francia è destinato a continuare

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Nella giornata di mercoledì, il governo francese guidato da Michel Barnier è stato sfiduciato dall’Assemblea. Si tratta di un evento che non accadeva dal 1962, quando toccò invece al governo Pompidou. In quel caso, la mozione di censura riguardava l’accelerazione del progetto di riforma dello Stato francese da parte del Presidente della Repubblica Charles De Gaulle, con l’introduzione dell’elezione diretta del capo dello stato. 

Nel caso del governo Barnier, invece, la mozione è legata all’articolo 49 comma 3 della Costituzione francese. Questo permette al governo di approvare provvedimenti senza passare dal voto dell’Assemblea. Tuttavia, qualora il governo invochi l’articolo, può essere presentata una mozione di censura da parte dei membri dell'Assemblea. I partiti hanno 24 ore per presentarla, dopo aver raccolto le firme necessarie tra i membri. Se la mozione di censura passa, il governo viene sfiduciato e il Primo Ministro è costretto a rassegnare le dimissioni, rimanendo in carica solo per sbrigare gli affari correnti. 

Il ricorso all’articolo 49 comma 3 è sintomatico dell’instabilità politica che regna in Francia ormai da anni. Anche precedenti governi vi avevano fatto ricorso più volte: il caso più eclatante resta la controversa riforma delle pensioni approvata dal Governo Borne. Ma se quel governo poteva reggersi sull’astensione, in caso di mozione di censura, da parte de Les Républicains (LR), partito erede della tradizione gollista, il governo Barnier si reggeva su fondamenta ancora più scricchiolanti. 

L’instabilità post-elezioni

Dopo le elezioni anticipate convocate dal Presidente della Repubblica Emmanuel Macron a seguito del risultato disastroso delle europee, il primo turno delle elezioni legislative aveva visto una netta affermazione del partito di Marine Le Pen, nonostante il volto della campagna fosse il giovane Jordan Bardella, più moderato di Le Pen sulle tematiche economiche. Per contrastare questa avanzata, Ensemble, alleanza di partiti della maggioranza presidenziale, e il Nouveau Front Popolaire, alleanza di sinistra, avevano convenuto un patto di desistenza, ritirando i candidati arrivati terzi nei ballottaggi triangolari. Per questo, il secondo turno ha restituito un risultato positivo per il NFP, portandolo a essere il gruppo più rappresentato all’interno dell’assemblea. Subito dietro proprio i partiti della maggioranza presidenziale e solo al terzo posto la destra radicale di Bardella. 

Nessuno schieramento, però, aveva raggiunto la maggioranza assoluta dei seggi. L’Assemblea si era presentata così spaccata in tre blocchi principali: quello di sinistra formato dai partiti del NFP; quello della coalizione che supporta Macron, Ensemble; infine quello della destra radicale del Rassemblment National. 

Il NFP ha a lungo preteso che il Primo Ministro provenisse dalle sue file. Dopo una serie di nomi bruciati e scontri interni e la tregua per le Olimpiadi ospitate dal paese, la scelta è ricaduta su Lucie Castets, funzionaria della città di Parigi. Macron, che da Presidente della Repubblica ha enorme discrezionalità sul nome del Primo Ministro, ha rifiutato la proposta del NFP, adducendo come motivazione la “stabilità istituzionale”. 

Macron ha quindi affidato l’incarico a Michel Barnier, ex negoziatore tra Europa e Regno Unito per la Brexit e membro della fazione di destra de Les Republicains. Senza una maggioranza solida all’Assemblea, il governo si reggeva sull’astensione proprio del Rassemblement National, che Macron aveva battuto due volte alle Presidenziali e contro cui aveva promosso e accettato una desistenza con la sinistra. Bardella e Le Pen avevano dichiarato di aver messo sotto sorveglianza il Primo Ministro: non avrebbero votato a priori un’eventuale mozione di censura per far cadere il governo, ma avrebbero valutato provvedimento per provvedimento. 

Le tensioni sulla finanziaria e la censura

Con la fine dell’anno, la Francia si è trovata a fare i conti con la manovra economica. Già in precedenza il paese si era trovato in una posizione piuttosto complessa per via della procedura d’infrazione da parte dell’Europa per l’eccessivo deficit. Inoltre, nel corso degli anni, le politiche di Macron - assieme alla spesa per la crisi indotta dalla pandemia - hanno fatto aumentare vertiginosamente il debito pubblico. Se nel 2017 il rapporto Debito/PIL si attestava al 98,6 per cento, nel secondo trimestre del 2024 è arrivato al 112 per cento, il terzo più alto nell’eurozona dopo Grecia e Italia. 

Per far fronte a questa situazione, il primo ministro aveva detto all’Assemblea che era necessario uno sforzo per il risanamento dei conti pubblici. “Il colossale debito pubblico è sulle nostre teste come una spada di Damocle”, aveva dichiarato Barnier per restituire la gravità della situazione. Per questo piano di risanamento, Barnier prevedeva una riduzione delle spese del governo, sia attraverso la revisione della spesa degli enti locali sia attraverso la riforma delle pensioni approvata dal precedente governo Borne. Assieme a una riduzione delle spese, il governo aveva in previsione anche un aumento delle tasse, come quelle sull’energia. A livello di numeri, la stretta di Barnier consisteva in 40 miliardi di tagli alla spesa sociale e 20 miliardi di aumenti fiscali.

Alcune delle misure proposte da Barnier erano però invise al Rassemblament National, da cui dipendevano le sorti del governo. La leader del partito di destra radicale aveva posto delle “linee rosse” riguardo determinate proposte invise al suo elettorato. In un primo momento, Le Pen aveva avanzato varie modifiche che erano state in parte recepite da Barnier. Tra quelle più rappresentative, Barnier aveva accettato di non aumentare le tasse sull’energia, il cui gettito era stimato attorno ai tre miliardi di euro nel 2025, e di ridurre l’assicurazione sanitaria per gli immigrati privi di documenti. Non solo: il Primo Ministro aveva previsto l’introduzione di una componente proporzionale nella legge elettorale francese, che andrebbe proprio a vantaggio del RN, come hanno mostrato le elezioni legislative di quest’anno. 

Tuttavia, le richieste di Le Pen sono andate via via aumentando. Il terreno di scontro si è spostato sull’indicizzazione delle pensioni e sull’eliminazione dei tagli sui rimborsi di alcuni farmaci. A quel punto il Primo Ministro si sarebbe arreso, dichiarando che i francesi non avrebbero perdonato di mettere gli interessi politici davanti a quelli della nazione, avvalendosi dell’articolo 49.3 per forzare il disegno di legge sul finanziamento della spesa previdenziale - una delle componenti del bilancio pubblico. 

Preso atto della situazione, Marine Le Pen e il suo partito hanno dichiarato che avrebbero presentato una mozione di censura e, allo stesso tempo, avrebbero votato quella presentata dalla sinistra. Nel suo discorso, Marine Le Pen ha criticato Barnier accusandolo di perpetuare scelte tecnocratiche. La sinistra, nel testo della mozione di censura, lo ha definito “un bilancio di austerità”, aggiungendo cheMichel Barnier continua il dogmatismo dei sostenitori di Emmanuel Macron, che rifiutano qualsiasi misura di giustizia sociale”. 

La mozione di censura nei confronti del governo Barnier ha ricevuto 331 voti, ben oltre i 288 necessari. Il giorno dopo Michel Barnier si è quindi recato all’Eliseo per rassegnare le dimissioni.  

Che cosa potrebbe succedere ora? 

In un articolo, Le Monde ha passato in rassegna le possibili alternative che permetterebbero alla Francia di evitare l’esercizio provvisorio. Il governo, per evitarlo, potrebbe allora presentare una “loi spécial”, che rinnoverebbe il budget del 2024 per l’anno successivo. Anche questa legge, però, dovrebbe essere votata dall’Assemblea. 

Se questo non dovesse avvenire, sempre per evitare l’esercizio provvisorio, vi sarebbero due soluzioni drastiche. La prima è che, data la situazione, per l’articolo 16 della Costituzione il Presidente della Repubblica potrebbe scavalcare il Parlamento per questioni in materia finanziaria. Aurélien Baudu e Xavier Cabannes, professori di Diritto Pubblico, affermano che si tratterebbe di una soluzione estrema, che metterebbe tra parentesi il funzionamento democratico del paese. Una seconda soluzione è invece offerta dall’articolo 47 della Costituzione che permetterebbe invece al governo di portare avanti il disegno di legge finanziaria attraverso un’ordinanza, se il parlamento non si pronuncia entro 70 giorni. Sul fatto però che un governo sfiduciato possa avvalersi di questo articolo vi è dibattito tra i costituzionalisti. 

Questa situazione  di incertezza che si è creata si riflette anche sul mercato azionario. I titoli di Stato francesi hanno visto un aumento dei rendimenti, con lo spread nei confronti dei BUND tedeschi che ha raggiunto i livelli della crisi del 2012. 

Tra interessi personali e veti, l’instabilità andrà avanti

L’instabilità politica - e quindi economica - del paese non è però in procinto  di risolversi, tutt’altro. In primo luogo, non è possibile tornare alle urne prima dell’estate - verosimilmente autunno - dell’anno prossimo. La Costituzione francese infatti prevede che l’Assemblea non possa essere sciolta per almeno un anno. Pertanto sono destinate a rimanere le tensioni tra il blocco di destra, il centro macroniano e la sinistra del Nouveau Front Popolaire. 

L’ipotesi più verosimile, nel breve periodo è che Emmanuel Macron incaricherà comunque un nuovo primo ministro che approvi il nuovo bilancio per cercare di evitare l’esercizio provvisorio. Lo stesso Macron lo ha dichiarato nel discorso alla nazione tenuto ieri sera, sperando nella collaborazione delle forze democratiche all'assemblea. 

Il problema però saranno gli alleati a cui si rivolgerà Macron e la sua maggioranza. Se all’inizio della sua presidenza Macron aveva cercato di porsi come un progressista in grado di raccordare l’ala più moderata del centrodestra e quella del centrosinistra, unendo nomine provenienti dagli storici partiti francesi con quelle di personalità provenienti dalla società civile, la situazione politica ha portato al naufragio del progetto. 

Di conseguenza, Macron ha strizzato sempre di più l’occhio non solo alla destra moderata, ma anche alla destra radicale sia su temi economici sia su temi civili. In particolare ha destato scalpore, durante il governo Borne, l’approvazione della legge sull’immigrazione, votata sia dalla maggioranza presidenziale sia dalle destre. Ciò ha portato alle dimissioni del ministro della Salute Aurélien Rousseau, oggi parlamentare per il NFP. 

Guardare a sinistra, però, rischia di compromettere ancora di più il suo partito. Avendolo spostato così a destra nel corso degli anni, mantenendo però una parte di fede socialdemocratica, si rischierebbe una frattura, che andrebbe a vantaggio di personaggi della destra del suo partito come Edourd Philippe, ex Primo Ministro che ha già annunciato di volersi candidare alle presidenziali del 2027. Eppure, proprio in seno a Reinassance, il partito di Macron, vi sono voci che invitano a guardare a sinistra. Lo scrive in questi giorni il parlamentare Sacha Houlié, che chiede un compromesso tra il centro e la sinistra per dare un governo al paese. 

Non è detto però che a sinistra questi inviti vengano recepiti positivamente. Da una parte c’è chi, come il sgretario del Partito Comunista Fabien Roussel, invita Macron a guardare a sinistra per costruire nuove maggioranze. 

Dall’altra però ciò potrebbe scontrarsi con l’intransigenza di Jean Luc Mélenchon e del suo partito La France Insoumise, che, ricambiato, non sembra intenzionato ad alcuna alleanza con i centristi per far nascere un governo di coalizione.

In queste ore i socialisti sono stati ricevuti da Emmanuel Macron proprio per discutere di eventuali alleanze di governo. Tuttavia, il presidente ha escluso altri partiti del NFP, come Verdi e Partito Comunista, che si erano detti disponibili a collaborare. Olivier Faure, leader del partito Socialista, ha richiesto ancora una volta un Primo Ministro di sinistra, mentre i leader alle Camere hanno denunciato appunto il mancato invito di Verdi e Comunisti. Nel mentre, Mélenchon continua a porre il veto a qualsiasi collaborazione con i macronisti.

Nel caso in cui Macron dovesse continuare ad affidarsi alla destra radicale, a complicare lo scenario c’è, appunto, Le Pen. L’atteggiamento mostrato nei negoziati sul Bilancior deriva solo in parte da vincoli di tipo elettorali: è vero che alcune misure della manovra avrebbero alienato il suo elettorato. Inoltre, è proprio la fascia dei pensionati quella in cui Le Pen fa più fatica. 

Dall'altra parte c'è l'aspetto legale. Nei prossimi mesi, infatti, dovrebbe arrivare un verdetto sul processo pendente su Marine Le Pen e altri membri del partito che la vede indagata per appropriazione indebita di fondi. Tra gli anni Zero e gli anni Dieci, il Front National (come si chiamava al tempo il partito di Le Pen) versava in una situazione economica non facile. Per questo si sarebbe servito dei fondi del Parlamento Europeo per assumere assistenti parlamentari. I quali però non avrebbero  mai davvero lavorato a Bruxelles, ma per il partito in Francia. Qualora il processo dovesse portare alla condanna di Le Pen, oltre a una multa di 300 mila euro, sarebbe prevista l’incandidabilità per cinque anni. In tal caso, Le Pen sarebbe fuori dalla corsa per le presidenziali del 2027.

Quindi, la strategia usata durante i negoziati rappresenta un tentativo di forzare ancora di più l'instabilità nella speranza che, data la situazione, Macron si dimetta. In un tale scenario a breve periodo, la Francia tornerebbe alle urne per le presidenziali, permettendo a Marine Le Pen di partecipare. Per l'eventuale condanna e la conseguente interdizione serviranno infatti mesi.

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L’ipotesi di un passo indietro dell’attuale inquilino dell’Eliseo è paventata anche a sinistra. Durante le discussioni sulla mozione di censura, vari esponenti de La France Insoumise hanno chiesto le dimissioni di Macron. Il Presidente della Repubblica ha definito questa ipotesi come fantapolitica, respingendo al mittente quindi le richieste di dimissioni. Qualora Macron dovesse dimettersi, infatti, il nuovo Presidente della Repubblica potrebbe sciogliere l’Assemblea portando il paese a nuove elezioni. 

Che cosa succederà nei prossimi mesi è difficile da prevedere, viste le variabili in gioco. Se le dimissioni di Macron non sono uno scenario realistico, allo stesso tempo è proprio il fallimento del suo progetto politico ad aver creato l’instabilità politica a cui stiamo assistendo. Ed è sempre Macron che è riuscito a peggiorarla, lanciando il paese nel caos con le elezioni anticipate e l’alleanza con la destra di Le Pen. Il rischio di voler riproporre la formula originaria, ad esempio con un governo che tenga dentro i socialisti e i repubblicani, è di risultare fuori tempo, con un elettorato che non ha nient’altro da sperare e indirizzato verso le frange più radicali della politica francese.  

(Immagine in anteprima: frame via YouTube)

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