Francia, le proteste contro la riforma delle pensioni (e cosa ci dicono dell’Italia)
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Aggiornamento 17 marzo 2023: L'esecutivo francese ha fatto ricorso all'art. 49.3 della Costituzione per porre il voto di fiducia e adottare senza votazione il ddl che sposta l'età pensionabile a 64 anni. Una forzatura che ha sollevato proteste in parlamento e nelle piazze. Con la scelta del governo di porre la questione di fiducia, la riforma delle pensioni diventerà legge a patto che le mozioni di censura che saranno presentate dalle opposizioni entro 24 ore e discusse nella giornata di lunedì, non raccolgano la maggioranza dei voti. In questo caso, il governo cadrebbe e con esso anche la legge sulla quale ha messo la fiducia.
Marine Le Pen ha già annunciato una propria mozione di sfiducia ed ha confermato di essere pronta a votare anche le mozioni di sfiducia della sinis
“Se Emmanuel Macron non vuole una Francia paralizzata e una settimana senza luce, farebbe meglio a ritirare la sua riforma”. Parole di Sébastien Ménesplier, segretario generale del sindacato dell’energia CGT. La Francia si è fermata per lo sciopero generale contro la riforma del sistema pensionistico francese, presentata ufficialmente il 10 gennaio dalla Premier francese, Elisabeth Borne, e promessa dal Presidente Emmanuel Macron prima della sua rielezione ad aprile 2022. L’obiettivo, hanno annunciato i sindacati, “portare il paese allo stallo”.
Circa trecento cortei hanno portato in piazza, secondo i dati forniti dal ministero dell’interno, 1,28 milioni in tutto il paese. La Confédération générale du travail (CGT) sostiene invece che hanno protestato 3,5 milioni di lavoratori. Nel settore aereo, la Direzione Generale dell'Aviazione Civile (DGAC) aveva chiesto alle compagnie di cancellare oltre un quarto dei voli del 7 e 8 marzo per lo sciopero dei controllori di volo. Si fermeranno i lavoratori delle raffinerie, del settore elettrico e del gas, netturbini, portuali, insegnanti. Già la scorsa settimana ci sono stati tagli alla produzione in diverse centrali nucleari. Il segretario generale della federazione CGT dei chimici, Emmanuel Lépine, aveva detto di essere pronto a “mettere in ginocchio l'economia francese”, almeno fino a quando andrà avanti il dibattito in Senato.
In conferenza stampa, lo scorso gennaio, Borne aveva così introdotto la riforma: “Proponiamo oggi un progetto per l’equilibrio del nostro sistema di pensionamento, un progetto di giustizia e un progetto che porterà un progresso a livello sociale.”
Per Borne, la riforma ha lo scopo di non lasciare accumulare deficit, come quello causato dallo squilibrio tra il numero dei pensionati e il numero dei lavoratori. Lo stesso Macron definisce la riforma come una “urgenza”. Basandosi sul rapporto del COR (Conseil d’orientation des retraites), il Presidente francese sostiene infatti che il sistema pensionistico francese sia deficitario a causa dell’inevitabile invecchiamento della popolazione che porterà il numero crescente di pensionati a non essere più sopportabile. Il progetto di legge è stato presentato ufficialmente il 23 gennaio al Consiglio dei Ministri da Bruno Le Maire, Ministro dell’Economia, delle Finanze e della Sovranità industriale e digitale, e da Olivier Dussopt, Ministro del Lavoro, della Piena Occupazione e dell'Integrazione. Dal 30 gennaio al 17 febbraio l’Assemblea Nazionale (la Camera dei Deputati) si è riunita per discutere del progetto di legge. Il 12 marzo si concluderà la discussione in Senato.
In cosa consiste la riforma proposta dal governo francese?
L’elemento fondamentale è lo slittamento dell’età pensionabile minima, che verrà spostata in avanti di tre mesi l’anno, passando così dai 62 anni attuali ai 64 nel 2030. Un secondo punto della riforma interessa la cancellazione dei principali regimi speciali nei settori quali le industrie elettriche e di gas, la società dei trasporti parigina RATP, i notai e i dipendenti della Banca di Francia. Proprio questa misura è stata approvata dal Senato francese, a maggioranza di destra, il 4 marzo.
Il provvedimento riguarda però solo chi sarà assunto a partire dal 1 settembre 2023. La riforma riguarda anche l’allungamento dell’età contributiva, che passerà a 43 anni a partire dal 2027. Per coloro che non hanno potuto versare contributi per 43 anni, l'età pensionabile completa rimarrà a 67 anni. Restano invariate, invece, le carriere lunghe. Il meccanismo definito delle carriere lunghe verrà riorganizzato ma mantenuto: ciò significa che alcune professioni, quali militari, i facenti parte del servizio civile attivo e gli inservienti ospedalieri, potranno ancora andare in pensione anticipatamente. Invariate resteranno anche le norme pensionistiche che riguardano le persone considerate inadatte al lavoro o con invalidità.
Gli scioperi e le manifestazioni dei cittadini francesi
La risposta dei francesi è stata da subito forte e si è concretizzata in una serie di manifestazioni che hanno ancora luogo in tutto il paese. Secondo un sondaggio pubblicato dal quotidiano francese Les Echos, sei francesi su dieci sono d’accordo con una riforma del sistema pensionistico, ma rifiutano quella proposta dal presidente Macron. Le critiche riguardano soprattutto due punti della riforma in corso di discussione: l'innalzamento dell'età legale e l'estensione del periodo di contribuzione.
La prima giornata di mobilitazione ha avuto luogo il 19 gennaio, appena nove giorni dopo la conferenza stampa tenuta dalla premier. La mobilitazione è stata di carattere generale: i sindacati hanno indetto uno sciopero nazionale che ha investito soprattutto i trasporti e le scuole. Una serie di manifestazioni sono state organizzate in tutta la Francia. Gran parte del paese è rimasta bloccata per diverse ore a causa dell’impossibilità di spostarsi e dalla presenza di grandi cortei che hanno inondato le principali città francesi. A Parigi i manifestanti si sono riuniti in Place de la République, nell’undicesimo arrondissement. Il corteo avrebbe dovuto sfilare fino a Place de la Nation, seguendo quindi il percorso tradizionale delle proteste parigine, ma alla meta sono arrivati pochi manifestanti. Gli scontri con la polizia, che hanno usato gas lacrimogeni sulla folla, hanno infatti bloccato il corteo a Place de la Bastille, a metà del percorso, per diverse ore. La CGT ha parlato di 400 mila manifestanti, 80 mila secondo la polizia.
La seconda grande giornata di mobilitazione ha avuto luogo alla fine del mese, il 31 gennaio. La CGT ha dichiarato la presenza di 2,8 milioni su tutto il territorio nazionale. A Parigi il corteo, diversamente dalla manifestazione del 19 gennaio, ha attraversato la rive gauche della capitale, la parte a sud della Senna, da Place d’Italie a Place Vauban. Una terza manifestazione ha avuto luogo a Parigi martedì 7 febbraio: la CGT ha annunciato 400 mila manifestanti. Diversi scioperi hanno colpito soprattutto i trasporti comuni. Sabato 11 febbraio ha visto aprirsi il quarto round di proteste, che ha riunito molti più francesi rispetto all’incontro del martedì precedente. Nonostante rimanga un divario tra i numeri del Ministero dell’Interno e la CGT, rispettivamente si parla di 963.000 persone in un caso e di 2,5 milioni nell’altro, è innegabile che le proteste continuino a essere di grandi dimensioni. Il 16 febbraio c’è stata la quinta giornata di scioperi inter-professionali con la partecipazione di 300.000 persone solo a Parigi secondo la CGT, confederazione sindacale francese, 37.000 secondo la polizia.
Tutte le manifestazioni hanno coinvolto tutta la società: i cortei non hanno infatti contato solo persone in età pensionabile e lavoratori adulti, ma anche giovani e addirittura bambini. Molti dei manifestanti criticano soprattutto la decisione di spostare in avanti l’età pensionabile di due anni, giudicata una manovra non utile a colmare il gap deficitario tra retraités, pensionati, e lavoratori. Nella manifestazione del 19 gennaio a Parigi, una giovane lavoratrice del comune di Pantin, Pauline, esprime il suo dissenso. “Non aderisco alle scelte prese dal nostro governo per finanziare il nostro sistema pensionistico”, dice. “Il Conseil d'Orientation de Retraites (COR) ha dimostrato che è necessario un finanziamento, ma non esiste un'unica via. Il nostro governo ha deciso di prendere una sola strada per riparare il deficit: quella dell'allungamento del tempo di lavoro”.
E in Italia?
Secondo i dati della Caisse nationale d'assurance vieillesse (CNAV), in Francia l’età media di pensionamento nel 2020 è di 62,8 anni. Nello stesso anno, l’Italia riporta un’età media più alta, di 63,8 anni (dati INPS). Le continue proteste in Francia possono allora servire per analizzare la situazione pensionistica italiana. Con un’età di pensionamento tra le più alte d’Europa (e in continuo rialzo) e un futuro incerto per i neo-lavoratori, l’Italia vede infatti dal 2011 la questione delle pensioni al centro delle campagne elettorali di quasi tutti i partiti. Il sistema italiano è critico e, nonostante le promesse elettorali, non registra riforme significative che mirino a migliorare la situazione. Contrariamente al caso francese, però, la popolazione in Italia resta in silenzio: le manifestazioni di piazza sono quasi totalmente assenti e i giovani sono in gran parte disinteressati.
Risale a gennaio l’emendamento al Decreto Milleproroghe a prima firma Domenico Matera, che prevedeva la possibilità “su base volontaria” di rimanere in servizio fino a 70 anni. L’opzione (giudicata inammissibile) sarebbe stata valida per i dipendenti pubblici che avessero voluto estendere la loro carriera lavorativa oltre il limite di vecchiaia, posto a 67 anni, e che non avessero ancora raggiunto i 36 anni di contributi. Nonostante sia stata bocciata, la proposta ha da subito sollevato diverse polemiche. Chi sosteneva l’emendamento lo ha fatto nell’ottica di risolvere le carenze di organico in diversi settori della pubblica amministrazione, mentre chi lo criticava ne sottolineava il pericolo: una conseguenza diretta sui concorsi pubblici tramite una riduzione dei posti disponibili, colmati da ultrasessantenni. A queste critiche, si sono aggiunte anche le preoccupazioni legate ad un ulteriore innalzamento dell’età pensionabile, già tra le più alte a livello europeo.
Le manifestazioni francesi e la proposta di un ulteriore innalzamento dell’età pensionabile portano inevitabilmente all’analisi della situazione italiana che, per quanto critica, non sfocia in manifestazioni o scioperi. Le criticità del sistema italiano sono infatti diverse e non accennano a un miglioramento. Accanto a un’età pensionabile molto alta (e che il governo mira ad alzare ancora una volta), il sistema presenta un funzionamento complicato e non uniforme, in parte contributivo e in parte retributivo. Con queste premesse, i giovani guardano con timore al loro futuro pensionistico che è sempre più incerto e, secondo le stime, lontano.
Luca Ferrari, direttore del patronato INCA Cgil di Parma, spiega che in Italia ci sono due “uscite normali” dal mondo del lavoro: la vecchiaia o l’anzianità lavorativa. La prima da diversi anni è posta a 67 anni di età, mentre l’anzianità lavorativa è fissa a 42 anni e 10 mesi di contribuzione per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne. Il calcolo è però complicato dalla riforma Dini del 1996. La riforma ha infatti segnato il passaggio da un sistema pensionistico retributivo a uno contributivo.
“Ciò significa”, dice Ferrari, “che, se il calcolo della pensione fino al primo gennaio del 1996 si faceva sulla media degli ultimi dieci anni di lavoro, il nuovo sistema guarda alla contribuzione di tutta la vita lavorativa e questo penalizza, per esempio, le carriere progressive”. La riforma Dini si traduce nell’esistenza di sistemi pensionistici diversi. I 67 anni di anzianità non sono spesso sufficienti alla pensione. Bisogna infatti distinguere tra chi ha contributi sostanziali versati prima del primo gennaio 1996 e chi no. “Chi ha versato dei contributi prima del ’96, oltre ad avere 67 anni deve avere anche vent’anni di attività lavorativa”, spiega Ferrari, “per chi invece ce li ha tutti dopo il ’96 serve in aggiunta un importo soglia che, se non raggiunto, alza ulteriormente l’età pensionabile”. Non a caso in Italia il requisito di futura età pensionabile è tra i più alti di Europa: 71 anni di età (dati report “Uno sguardo sulle pensioni” dell’OCSE).
"La pensione è un tema sociale, non è solo una questione di ragioneria di Stato"
Il sistema pensionistico italiano ha diverse criticità al suo interno. La prima è sicuramente costituita dall’innalzamento drastico dell’età pensionabile, avuto con la riforma Monti-Fornero del 2011. La riforma, che aveva lo scopo di migliorare una situazione economica particolarmente difficile, si è tradotta in un innalzamento drastico dell’età pensionabile non socialmente accettabile, soprattutto per le donne che, in pochi anni, hanno visto passare l’età pensionabile da 60 a 67 anni.
Una seconda criticità è legata agli stipendi, mediamente troppo bassi. Il presidente dell’INCA, mentre sottolinea che i sindacati vogliono portare la pensione a 62 anni, dice che, nel sistema contributivo, l’età pensionabile si equilibra direttamente con i contributi versati. Questo legame è un problema nel momento in cui, se gli stipendi medi sono bassi, nessuno deciderà di andare in pensione prima di aver raggiunto i limiti di vecchiaia, anche avendone la possibilità. Questo perché, dice Ferrari, “si troverebbe con una pensione poco più alta della pensione sociale”. Altre criticità sono invece costituite dal fatto che il sistema non tiene conto di molti aspetti lavorativi, quali la diversità del carico di cura (pratiche di lavoro domestico), le carriere discontinue, i lavori usuranti.
Dopo la riforma del 2011, Ferrari parla del sistema pensionistico come di una “macelleria sociale” da rivedere. Non è un tema di ragioneria”, dice. “È un tema sociale. Se non vogliamo un futuro di anziani poveri, bisogna agire subito e mettere in campo degli interventi che migliorino una riforma fatta solo a fini ragionieristici in un momento economicamente difficile”.
Un sistema ingiusto nei confronti di precari, donne e giovani
In Lavoro 2.0, bimestrale d’informazione sindacale a cura della Cgil di Parma, si parla di un “senso di ingiustizia” della popolazione verso le pensioni. “Le categorie che soffrono di più del sistema pensionistico italiano sono senza dubbio quelle più deboli”, dice il presidente dell’INCA. Si parla di lavoratori precari e donne, che hanno a che fare con anni di buchi contributivi, e anche di giovani. Questi ultimi infatti, a differenza di chi ha versato contributi prima del primo gennaio ‘96, vivono un pieno impatto con il sistema contributivo. Questo sistema si traduce in una penalizzazione della condizione giovanile, che spesso si scontra con lavori precari, condizioni lavorative difficili, un inserimento tardivo nel mondo del lavoro, come nel caso degli universitari, e un meccanismo di scambio intergenerazionale che rischia di bloccarsi. Questo ultimo punto è particolarmente importante e delicato.
Lo scambio intergenerazionale, cioè l’equilibrio tra chi versa i contributi e i pensionati, è alla base di ogni sistema pensionistico ed è l’elemento centrale che ha portato anche il presidente francese al desiderio di riformare il sistema. Per dirlo diversamente, i lavoratori di una generazione finanziano le pensioni della generazione precedente. Questo meccanismo in Italia rischia di crollare a causa del continuo aumento dei pensionati rispetto al numero di lavoratori. Nel 2022, infatti, le pensioni erogate hanno superato di 205mila unità a livello nazionale la platea costituita dai lavoratori autonomi e dai dipendenti. A causa dell’invecchiamento inevitabile della popolazione, infatti, il numero di anziani che percepiscono la pensione è destinato ad aumentare mentre, dall’altro lato, non sembra aumentare il numero dei lavoratori.
Lo sbilanciamento del meccanismo intergenerazionale porta i giovani alla consapevolezza che, per loro, andare in pensione sarà complicato. “I ragazzi si interessano mediamente poco”, dice Ferrari, ma qualcosa sembra evolvere. All’osservatorio INCA i giovani sono presenti e si informano. L’interesse dei ragazzi per il futuro pensionistico è dato soprattutto da alcune modifiche al sistema più indirizzate ai giovani. Tra queste, si ricorda lo strumento del Riscatto di Laurea, che permette di trasformare gli anni di università in anni contributivi e quindi d’integrare la posizione contributiva ai fini del calcolo delle prestazioni pensionistiche.
Immagine in anteprima: foto di Veronica Gennari