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La lunga ‘storia d’amore’ tra il partito francese RN di Marine Le Pen e l’estrema destra russa

6 Luglio 2024 12 min lettura

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La lunga ‘storia d’amore’ tra il partito francese RN di Marine Le Pen e l’estrema destra russa

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Dieci anni fa, il 31 maggio 2014, a Vienna era un sabato particolare: in centro, nella piazza del Municipio, si stava svolgendo il Life ball, uno degli eventi più importanti per il sostegno alle persone sieropositive e colpite dall’AIDS. Ospite della serata, reduce dalla vittoria all’Eurovision di quell’anno, Conchita Wurst, la cui identità di genere e il look avevano suscitato polemiche, insulti e tutto l’armamentario tristemente banale e colmo d’odio dell’omofobia. A dieci minuti di cammino da lì, nello storico palazzo dei principi del Liechtenstein diventato un centro d’eventi esclusivi, tra gli stucchi e le decorazioni del XVII e del XVIII secolo si stava svolgendo una conferenza, convocata in occasione del bicentenario (con qualche mese d’anticipo) dell’inizio del Congresso di Vienna, che ridisegnò la mappa dell’Europa dopo che prima la Francia rivoluzionaria e poi Napoleone avevano sconvolto i vecchi regimi nel continente.

Il consesso, però, non aveva alcun carattere scientifico e men che meno aveva raccolto i discendenti di Metternich, Tayllerand o Wellington: organizzato su iniziativa della fondazione San Basilio Magno, basata in Russia, presieduta e animata dall’oligarca Konstantin Malofeev, a essere invitati erano stati esponenti politici, come l’allora giovane deputata Marion Marechal-Le Pen e il politologo Aymeric Chauprade a rappresentare il Fronte Nazionale francese; Sisto Enrico di Borbone-Parma, a capo dell’ala d’estrema destra del Carlismo spagnolo, noto per i suoi legami con Stefano Delle Chiaie e con il terrorismo internazionale neofascista; Volen Siderov, leader del partito nazionalista bulgaro Ataka; Heinz-Christian Strache, presidente del Partito della libertà austriaco, e il suo vice Johann Gudenus, entrambi successivamente coinvolti in uno scandalo di tentata corruzione con fondi russi. Per il mondo dell’aristocrazia russa dell’emigrazione successiva alle rivoluzioni del 1917 vi era Serge de Pahlen, discendente dell’omonimo casato e noto alle cronache rosa italiane come marito di Margherita Agnelli, mentre da Mosca erano arrivati il pittore Il’ja Glazunov, sin dagli anni Sessanta in contatto stretto con le organizzazioni d’estrema destra in Europa, e Aleksandr Dugin. Degli italiani, secondo la ricostruzione fornita dal giornalista investigativo austriaco Bernhard Odenhal, era presente lo storico Roberto de Mattei, presidente della Fondazione Lepanto e noto per le posizioni oltranziste in campo sociale e religioso, ma ben distante dalle visioni espresse da alcuni degli ospiti, come Dugin, definito “profeta del caos postmoderno”. 

L’appuntamento viennese, tenutosi a una settimana di distanza dalle elezioni europee, nelle quali in Francia il Front National si era affermato come primo partito con il 18,52%, mentre in Italia la Lega a guida salviniana aveva raggiunto il 6,5% e Fratelli d’Italia era restata sotto lo sbarramento con il 3,67%, sarebbe dovuto servire a coordinare gli sforzi di un nuovo blocco internazionale d’estrema destra, al cui interno vi sarebbero state tutte le sfumature presenti nel continente, legato a doppio filo con gli ambienti nazional-conservatori di Mosca. Una intesa che rispondeva agli interessi di quei circoli, di cui Malofeev e Dugin erano e sono espressione, di accreditarsi presso il Cremlino come mediatori con le forze politiche europee schierate a difesa dei valori tradizionali e con quest’ultime di presentarsi in qualità di emissari di Putin, in alcuni casi venendo descritti come consiglieri del presidente russo, soprattutto Dugin, descritto da titoli sensazionalistici come “il Rasputin” o il “filosofo” che ispirerebbe le politiche putiniane.

In Italia la Lega di Matteo Salvini ha a più riprese ospitato l’esponente neo-eurasista, intervenuto in varie occasioni, da corsi di formazione politica a presentazioni di libri, e il leader leghista è stato elogiato più volte da Dugin, che lo ha intervistato per il canale televisivo Tsargrad, di proprietà di Malofeev, nel 2016 e poi un anno e mezzo dopo, il 4 marzo 2018, per il proprio sito Geopolitika.ru. Le connessioni russe dell’estrema destra italiana, così come la figura di Dugin, sono state più volte affrontate su queste pagine; quel che è rilevante è come non si tratti di un caso isolato al Belpaese, ma di una serie di rapporti, alcuni dei quali iniziati parecchi decenni prima della caduta dell’Unione Sovietica, a livello europeo, e in cui gli ambienti politici francesi sono stati al centro.

Negli anni Venti del Novecento la Francia diventa meta dell’emigrazione russa antibolscevica, che al proprio interno vede correnti e orientamenti di vario genere - liberali, socialisti, monarchici, nazionalisti – a cui si aggiungeranno nuove posizioni originate dagli sviluppi dell’allora neonata Unione Sovietica e dalla formazione dei fascismi europei. Parigi, in quell’epoca, è uno dei centri intellettuali di una comunità frastagliata e sparsa per il mondo, dalle rive della Senna a Shanghai, e alcune delle principali riviste politiche e culturali vengono pubblicate nella capitale francese. Durante l’occupazione tedesca nella Seconda guerra mondiale le autorità militari promossero la Direzione degli affari dell’emigrazione russa in Francia (Upravlenie delami russkoj emigracij vo Francii) come organismo di coordinamento e controllo degli esuli, coinvolgendo figure coinvolte già prima del conflitto nella galassia dell’estrema destra locale e poi attive sia nel paese che sul fronte orientale, nei territori sovietici presi dai nazisti nel corso dell’Operazione Barbarossa. 

Soprattutto la presenza degli attivisti dell’NTS, l’Unione nazionale del lavoro, organizzazione che raccoglieva gli emigrati russi di seconda generazione attorno a un programma ispirato ai fascismi europei, nell’ampia fascia occupata dalle forze dell’Asse durante la guerra aveva avuto come effetto la circolazione di idee e pubblicazioni difficilmente accessibili in Unione Sovietica, e vi erano state nuove reclute per la formazione, come ricordato anche nelle memorie dei suoi dirigenti, Arkadij Stolypin (figlio di Piotr, primo ministro di Nicola II) e Nikolaj Rutčenko-Rutyč. I contatti costruiti in quegli anni, interrotti dalla sconfitta dell’Asse, dalla detenzione o dalla fuga dei collaborazionisti russi, non vengono però del tutto persi, e trovano spesso modalità inaspettate per rinnovarsi, alle volte passando di generazione in generazione. Invece a rendere forte il legame tra i militanti di destra dell’emigrazione russa e francesi vi era anche l’esperienza della Légion des volontaires français contre le bolchévisme, l’unità di volontari anticomunisti inviata sul fronte orientale dalle formazioni fasciste del regime di Vichy e poi diventata parte delle Waffen SS: nelle riviste promosse dai reduci l’idea dell’Europa unita, bianca e neofascista, da Brest a Vladivostok rappresentò un importante elemento di aggregazione per gli attivisti europei dopo il crollo dei regimi fascisti europei.

Nel 1968 a Parigi è in visita il pittore sovietico Il’ja Glazunov: una mostra di sue opere si svolge nella primavera di quell’anno, in contemporanea alla contestazione studentesca, e nelle sue memorie, pubblicate quattro decenni dopo, racconta con toni apocalittici quel che aveva visto alla Sorbona occupata. Nonostante il passaporto, Glazunov si riteneva un nemico acerrimo del comunismo, colpevole di aver infranto “l’ordine naturale” della società dell’epoca imperiale; la sua famiglia non aveva accettato il regime sovietico, e se il padre, Boris, riuscì a scampare alle repressioni dell’epoca staliniana per poi morire durante l’assedio di Leningrado per fame assieme alla madre, lo zio Boris, ingegnere civile trovatosi nella zona d’occupazione attorno alla ex capitale dell’impero, era entrato a far parte dell’NTS e aveva collaborato con le autorità naziste, per poi finire in un gulag dopo la guerra. Rutčenko-Rutyč aveva conosciuto Boris Glazunov negli anni del conflitto e avevano preso parte insieme ad azioni nei territori occupati; più di vent’anni dopo incontrerà il nipote alla personale parigina. Durante una delle serate trascorse assieme ai nuovi amici “russi non sovietici” – come li definirà nelle memorie – si ascolta musica particolare, delle marce d’età zarista, e incuriosito il pittore chiede come sia possibile procurarsi quegli inni, le cui registrazioni ritiene praticamente impossibili da trovare e rischiose da ascoltare e diffondere in Unione Sovietica. Il disco in realtà era relativamente recente, pubblicato nel 1966 con il titolo Marches militaires de la Russie impériale da una casa discografica particolare, che nel suo catalogo aveva canti del Terzo Reich, discorsi di Hitler e del maresciallo Petain ma anche inni del movimento operaio e anarchico: la Société d’Études et de Relations Publiques, nota con l’acronimo SERP, animata da un ex ufficiale quarantenne dei parà, veterano della guerra d’Algeria e già deputato populista all’Assemblea Nazionale, Jean-Marie Le Pen.

Jean-Marie Le Pen, il Front National e l’estrema destra russa

Ancora oggi il ritratto eseguito da Glazunov, ricordato con grande affetto da Le Pen nel secondo volume della sua autobiografia, ‘Tribun du peuple’, è esposto nella tenuta familiare di Saint-Cloud: in divisa della Legione straniera l’allora quarantenne veterano forse ancora non sapeva che avrebbe rivisto più volte il pittore, visitando la sua accademia d’arti figurative e il museo aperti dopo la fine del regime sovietico. 

Nell’estrema destra francese degli anni Sessanta, dal cui ambiente spesso diviso in gruppi e formazioni di ogni genere nascerà in seguito il Front National, l’idea di un’Europa da costruire, ovviamente bianca e neofascista, da Lisbona a Vladivostok, era diventata un assunto programmatico, definito un cuore che pulsa a Johannesburg e nel Quebec, a Sydney e Budapest, a bordo di bianche caravelle e astronavi, su tutti i mari e in tutti i deserti del mondo, come si legge sulle pagine della rivista Europe-Action diretta da Dominique Venner, figura fondamentale della Nouvelle Droite e noto al grande pubblico per essersi suicidato nella cattedrale di Notre Dame il 21 maggio 2013 in segno di protesta con la legge Taubira, che ha introdotto i matrimoni tra persone dello stesso sesso in Francia. 

L’Unione Sovietica, nelle visioni diverse presenti in questo pensiero europeista neofascista, avrebbe dovuto far parte del continente una volta decomunistizzata, un processo che sarebbe dovuto avvenire in contemporanea con lo scioglimento del Patto di Varsavia e dell’Alleanza Atlantica. Nel 1969, come ricostruito dallo storico Nicolas Lebourg, il Mouvement Jeune Révolution (MJR), sorto dalla rete giovanile di sostegno all’OAS, l’organizzazione militare segreta nata per mantenere il dominio coloniale in Algeria e artefice di numerosi attentati, lancia assieme all’NTS il Front de Libération de l’Europe de l’Est, a cui aderirà anche il movimento italiano di Europa Civiltà, su posizioni d’estrema destra cattolica: il leader dell’MJR (nel frattempo diventato Mouvement Solidariste, testimonianza dell’influenza dell’emigrazione russa sulla formazione) Jean-Pierre Stirbois, dopo la confluenza nel Front National nel 1978 diventò coordinatore della segreteria di Jean-Marie Le Pen fino alla sua morte dieci anni dopo.  

Anche all’assise di fondazione di Ordre Nouveau, movimento neofascista precedente la nascita del partito di Le Pen, era presente, in rappresentanza di una non meglio precisata organizzazione anticomunista, un “dottor Okolovitch”, identificato da Lebourg con Grigorij Okolovič, all’epoca presidente dell’NTS. E le connessioni nel FN dell’epoca sono anche di natura personale: Jean-François Chiappe, collaboratore di Le Pen, giornalista radiofonico e autore della rivista negazionista e antisemita Rivarol, figlio del prefetto collaborazionista Angelo (fucilato per alto tradimento), aveva sposato nel 1961 Marina Denikina (nota con lo pseudonimo di Marina Grey), figlia del generale Anton, a capo dei Bianchi nella Guerra civile russa. Tali contatti hanno permesso al leader storico del Front National di poter costruire una rete informale, ancor prima del crollo del sistema sovietico, in Russia, un “album di famiglia”, come è stato recentemente definito dalla rivista francese Le Grand Continent.

Negli anni Ottanta Eduard Limonov, scrittore andato via dall’Unione Sovietica nel 1974, si era stabilito in Francia, dove i suoi romanzi avevano ricevuto un importante riscontro di critica e pubblico. Figura sospesa tra la controcultura e il voler essere ad ogni costo controcorrente, Limonov in quel decennio stringe rapporti a sinistra come a destra, ed è lui a introdurre, nel 1992, Vladimir Zhirinovsky, leader dell’LDPR, il partito liberaldemocratico russo in realtà dal carattere personalistico ed estremista, a Jean-Marie Le Pen. Anton Shekhovtsov, nel suo Tango noir: Russia and the Western Far Right, ha evidenziato i tentativi dei due leader di costruire un’alleanza pan-europea d’estrema destra, che coinvolgesse partiti e organizzazioni al di là dei confini dell’allora Comunità Europea, mai però realizzatasi. 

Le visite di Le Pen, accolto a Mosca nel 1996 da Zhirinovsky, spesso definito l’equivalente russo del ben più scafato capo del Front National, non si limitano però a stringere accordi con l’LDPR o, ancor prima, a essere intervistato da Aleksandr Dugin per il settimanale Den’ diretto dallo scrittore Aleksandr Prochanov, ma anche a cercare ulteriori entrature nel mondo del potere post-sovietico, in alcuni casi con situazioni surreali, come l’incontro avuto  con l’ex direttore del KGB Vladimir Krjučkov, tra i protagonisti del tentato colpo di stato dell’agosto 1991. L’ultima visita di Jean-Marie Le Pen a Mosca, in una sorta di passaggio delle consegne di cui, forse, vista la successiva estromissione dal partito da lui fondato, si sarà pentito, è dell’ottobre del 2014, dove afferma che la Crimea era, è e sempre sarà russa: nello stesso periodo la testata giornalistica d’inchiesta Mediapart inizia a rivelare possibili finanziamenti provenienti da una banca russa, la VEB Capital, alla società di raccolta fondi del patriarca del Front National. 

Un altro istituto bancario, sconosciuto ai più, la Pervyj češko-russkij bank (Prima banca ceco-russa), accorda al partito ormai guidato da Marine Le Pen un prestito di 9,4 milioni di euro, le cui tracce si perdono in un turbinio di fallimenti, spostamenti di capitali, che portano la Banca centrale russa a ritirare la licenza alla Pervyj, il cui credito nei confronti del Front National viene ereditato da un’azienda di ricambi aeronautici, la Aviazapchast. La holding fa parte del complesso militar-industriale russo e, secondo l’annuncio del portavoce del Rassemblement National (la nuova denominazione dell’FN) del 19 settembre 2023, il debito del partito francese sarebbe stato ripagato in pieno, dopo un contenzioso (rientrato) aperto dalla Aviazapchat nel 2020. I problemi finanziari dell’RN sono noti, così come gli scandali di corruzione: soltanto pochi giorni fa Mediapart ha avuto accesso a vare email in cui l’eurodeputato Jean-Luc Schaffhauser, negoziatore dell’intricato prestito russo per il partito, attraverso la sua fondazione ha ottenuto decine di migliaia di euro provenienti da ambienti di Mosca per interventi favorevoli alle posizioni espresse dal Cremlino.

Non pochi tra i consiglieri di Marine Le Pen, alla testa del Front National poi Rassemblement, hanno avuto legami con ambienti dell’estrema destra russa: il politologo Aymeric Chauprade, figura chiave per la politica internazionale dell’FN nei primi anni Dieci e tra i promotori di un orientamento in sostegno al Cremlino per poi rompere con la leader, ha assunto nel 2018 Elizaveta Peskova, figlia del portavoce di Putin Dmitrij Peskov, come collaboratrice alla fine del proprio mandato al Parlamento europeo; Emmanuel Leroy, già stretto collaboratore di Marine, è attivo nell’Alliance France – Europe – Russie, struttura capitanata da Fabrice Sorlin, già candidato per l’FN alle legislative del 2007 e poi promotore del gruppo fondamentalista cattolico Dies Irae. Thierry Mariani, eurodeputato riconfermato e volto televisivo dell’RN, a capo del Dialogue franco-russe, ha visitato la Crimea più volte a partire dal 2015 e, nonostante la condanna dell’invasione russa, è stato oggetto  d’indagine di una commissione parlamentare d’inchiesta promossa dall’Assemblea Nazionale sulle attività del partito con la Russia. Tamara Volokhova, già assistente di Chauprade e Mariani per poi diventare consigliera politica dei deputati dell’RN all’Europarlamento, nata a Rostov sul Don e trasferitasi in Francia nel 2007 a soli 17 anni, è da mesi segnalata dai media francesi come possibile agente d’influenza all’interno del partito e in contatto diretto con Aleksandr Babakov, vicepresidente della Duma.

Esponenti che testimoniano un orientamento chiaro sia nella direzione che nella base della formazione della famiglia Le Pen, ora nell’agone elettorale con il volto di Jordan Bardella, origini italiane, sin da ragazzo militante dell’allora Front National e legato a Nolwenn Olivier, figlia di Marie-Caroline Le Pen, sorella di Marine, presentato anche con l’intenzione di svecchiare un partito molto legato alle sue radici.

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Più che il denaro, poté l’ideologia?

Quando si esaminano i rapporti tra le forze d’estrema destra in Europa e in Occidente e la politica russa, si commettono spesso due errori di prospettiva, il ritenere queste formazioni semplici marionette al servizio degli ambienti vicini al Cremlino o direttamente di Putin ed evidenziare i legami finanziari più che la comunanza ideologica, la visione del mondo proposta basata sulla promozione dei valori tradizionali, del ruolo della famiglia, dell’ordine sociale come gerarchia naturale, elementi ideali e programmatici in Russia sostenuti da Konstantin Malofeev, Aleksandr Dugin e altri esponenti di uno schieramento che include il clero ortodosso, associazioni e fondazioni di beneficenza in realtà con una propria agenda politica, attivisti e militanti, combattenti, un insieme di forze che assieme alla fedeltà proclamata al presidente russo, persegue propri obiettivi. 

L’intesa con partiti quali il Rassemblement National (Malofeev è ritenuto il contatto tra la famiglia Le Pen e il Cremlino), Alternative fur Deutschland, la Lega è ritenuta strategica, perché consente di evidenziare come nell’Occidente decadente, prono ai disvalori promossi dal liberalismo, dal marxismo culturale e dall’ideologia ‘woke’ (non sono termini presi da qualche quotidiano italiano, ma dagli articoli pubblicati da Tsargrad, il media dell’omonima holding), vi siano alleati a cui ispirarsi e fare affidamento nella lotta iniziata dalla Russia contro i “satanisti” in Ucraina e nel mondo. In alcuni casi, come le posizioni assunte riguardo alla pandemia da coronavirus e ai vaccini, l’estrema destra russa ha seguito i pattern dei propri sodali nell’Unione Europea, rilanciando teorie del complotto già sentite qui, dal controllo della popolazione all’inesistenza del covid. 

Per il Rassemblement National (così come, con le dovute differenze, la Lega) l’idealizzazione del regime di Vladimir Putin è vista come alternativa programmatica e valoriale, prospettiva da vagheggiare e perseguire una volta giunti al governo, e più che i posizionamenti geopolitici dichiarati da Marine Le Pen in occasione dell’invasione russa dell’Ucraina o la denuncia come provocazione del tweet di sostegno ai candidati dell’RN al secondo turno delle elezioni politiche francesi, le questioni da porsi sono sull’agibilità degli spazi democratici, sull’adozione di misure contro le opposizioni, sulle restrizioni nei confronti dei media, su possibili leggi omofobe e xenofobe: l’adesione, più o meno convinta, all’Unione Europea (ovviamente da riformare) e all’Alleanza Atlantica rivendicata per tranquillizzare i mercati e attirare quei segmenti dell’elettorato macroniano ostile al sostegno ai candidati del Nouveau Front Populaire può essere compatibile con una svolta autoritaria, nazional-conservatrice, all’insegna dei valori tradizionali, e in questo restando fedele all’essenza politica di quel che è il sistema politico russo oggi, un’ispirazione per la costruzione di un proprio modello ademocratico.

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