Dopo il caso di Gisèle Pelicot, la Francia adotterà nuove misure contro la violenza di genere e le droghe da stupro
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Lunedì 25 novembre, Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Violenza Contro le Donne, il primo ministro francese Michel Barnier ha scelto l'ospedale Hôtel-Dieu a Parigi come sede per annunciare una serie di nuove misure che il suo governo ha messo insieme per fronteggiare la violenza di genere. Il luogo non è casuale: la casa delle donne dell'Hôtel-Dieu, la cui struttura fa parte del servizio pubblico di Parigie e Ile de France (Assistance publique-Hôpitaux de Paris), permette alle vittime di aggressioni sessuali che ricevono soccorso di raccogliere le prove di una violenza e poi conservarle per un periodo fino a 3 anni. Questo vuol dire che anche chi, per qualsiasi ragione, sul momento non denuncia avrà poi la possibilità di farlo più avanti, prove alla mano. E una delle misure annunciate è proprio l'estensione del sistema che consente alle donne vittime di violenza sessuale di sporgere denuncia in un ospedale dotato di un servizio di pronto soccorso o ginecologico. Entro la fine del 2025, infatti, verrà esteso a 377 strutture il protocollo secondo cui spetterà all'ospedale contattare un commissariato o gendarmeria affinché qualcuno si rechi sul posto per raccogliere un'eventuale denuncia. Sempre entro la fine del prossimo anno, ogni dipartimento dovrà dotarsi di una Maison des femmes.
Particolari misure, poi, sono rivolte alla questione della cosiddetta “sottomissione chimica”, ovvero degli stupri avvenuti in seguito a somministrazione di sostanze all'insaputa della vittima. Questo, in un paese che si è stretto addosso a Gisèle Pelicot e che sta seguendo le ultime battute del processo ai cosiddetti “Cinquanta di Mazan”, è un tema caldissimo. Secondo il premier Barnier c'è “un prima e un dopo Mazan” e il riferimento è proprio all'impatto sociale che sta avendo questo processo, non solo perché la sua eco mediatica e risonanza internazionale hanno dato ulteriore spinta al dibattito su patriarcato e rapporti uomo-donna, ma soprattutto perché ha portato in primo piano la questione della sottomissione chimica.
Di cosa parliamo in questo articolo:
I kit per rilevare la somministrazione di sostanze
Un'altra novità introdotta dal governo francese sono proprio i cosiddetti kit per individuare una sottomissione chimica, una sorta di "kit del giorno dopo" da acquistare in farmacia e che comprenderebbe flaconi per raccogliere l'urina, indicazioni su come procedere e indirizzi a cui rivolgersi: il capo del governo ha annunciato che verranno rimborsati a titolo sperimentale "in diversi dipartimenti", secondo un calendario ancora da definire.
Della necessità di introdurre questi kit e, in generale, di prendere misure severe contro questa specifica tipologia di abuso aveva già parlato la deputata Sandrine Josso, che sarebbe stata a sua volta vittima di sottomissione chimica: circa un anno fa ha denunciato il collega Joël Guerriau di avere abusato di lei dopo averle somministrato dell'ecstasy (il procedimento giudiziario è ancora in corso) e in un recente intervento in parlamento ha definito la sottomissione chimica “un crimine perfetto che annienta e distrugge la vita di migliaia di donne e uomini francesi”.
Parallelamente, sarà lanciata una campagna di educazione e sensibilizzazione sul tema, su iniziativa della piattaforma di ascolto del CRAFS (Centro di riferimento sulle aggressioni facilitate da sostanze) e dell'associazione M'endors pas, co-fondata dalla figlia di Gisèle Pelicot, Caroline Darian. Quest'ultima, che a differenza della madre ha scelto di abbandonare il cognome Pelicot, è diventata a sua volta una figura molto discussa e complessa, perché incarna la difficoltà a sapere con certezza e a dimostrare che una sottomissione chimica abbia effettivamente avuto luogo. Darian, 47 anni, ha dichiarato di sentirsi “la grande dimenticata” nel processo di Mazan ed è convinta di essere stata anche lei drogata e abusata da Dominique Pelicot (suo padre), il principale indiziato del processo di Mazan, l'uomo che per dieci anni ha drogato la moglie per poi violentarla, introdurre individui reclutati sul sito di annunci coco.fr e filmare il tutto. Nel materiale informatico sequestrato a Pelicot, infatti, sono state trovate anche diverse foto della figlia addormentata e spogliata. Non è tuttavia presente alcun filmato che proverebbe degli abusi. Proprio questo fa sì che, a differenza della madre le cui violenze sono dimostrate da un'impressionante quantità di video, Caroline Darian non abbia prove in mano a sostenere i propri sospetti.
In aula Dominique Pélicot, che ha ammesso tutti gli stupri sulla moglie, continua invece a negare risolutamente di avere molestato la figlia. Verso la fine delle udienze, in uno dei diversi momenti di tensione che hanno visto protagonista Darian, la donna ha abbandonato l'aula dopo avere gridato tutto il suo odio verso il padre. Ma lo status di ambiguità (dal punto di vista legale) che avvolge il crimine che avrebbe come vittima la figlia di Pelicot, autrice anche del libro Et j'ai cessé de t'appeller papa, quand la soumission chimique devient l'arme du viol (“E ho smesso di chiamarti papà. Quando la sottomissione chimica diventa l'arma di stupro” in uscita in Italia a febbraio), non è certo l'eccezione. È anzi la regola, in un tipo di abuso in cui le modalità con cui questo viene perpetrato (alterazione o cancellazione della coscienza) è proprio ciò che lo rende difficile da individuare, riconoscere e ricordare. In pratica, gli abusi sessuali a seguito di somministrazione di droga all'insaputa della vittima, che il premier francese ha definito essere una nuova emergenza, creano dubbi e confusione nella vittima stessa, che non riesce ad avere un'idea chiara dell'accaduto, né tanto meno a dimostrarlo.
Un problema non solo francese
La sottomissione chimica non è certo un problema confinato alla Francia. Uno dei casi più eclatanti riguarda l’attore Bill Cosby. Un tempo popolarissimo interprete della sit com anni '80 I Robinson, è stato accusato da oltre 60 donne di averle drogate per poi abusare di loro. Le testimonianze, relative ad eventi precedenti e occorsi fin dai tempi del suo successo televisivo, hanno iniziato ad arrivare agli inizi degli anni Duemila, e già nel 2005 l'attore ha ammesso nel corso di una causa civile di avere utilizzato un barbiturico per abusare sessualmente di giovani donne. Tuttavia, dopo una serie di processi, ricorsi e annullamenti, solo nel 2019 Cosby è stato condannato e rinchiuso in un carcere di massima sicurezza, per poi venire scarcerato due anni dopo con l'annullamento della sua condanna da parte della Corte Suprema della Pennsylvania.
Nel 2020 l'attrice e showrunner britannica Michaela Coel ha trattato il tema nella miniserie I may destroy you, durissimo diario del giorno dopo in cui una giovane scrittrice londinese, dopo una notte per locali, si risveglia dolorante e bombardata da una serie di flashback frammentati che la vedono vittima di sesso non consensuale nel bagno di un locale. Ma, appunto, la protagonista della serie non ha idea di chi abbia drogato il suo drink, di quando questo sia avvenuto, né di come siano andati esattamente i fatti. Coel ha raccontato di avere scritto la serie per elaborare quanto accaduto a lei stessa quando, durante una pausa nella scrittura della sua precedente serie Chewingum, è uscita con un amico per poi ritrovarsi, la mattina dopo, con dei flashback che le hanno fatto capire di essere stata drogata e aggredita sessualmente.
Un recente articolo del Guardian fa il punto sulla situazione nel Regno Unito della sottomissione chimica ricordando, tra gli altri, il caso eclatante di Raynhard Sinaga, studente dell'università di Manchester e stupratore seriale, condannato all'ergastolo con un minimo di 20 anni di carcere da scontare per avere abusato di oltre duecento uomini dopo averli drogati a loro insaputa, per poi filmare il tutto. Anche in questo caso, la presenza di filmati ha fatto la differenza nell'individuare il crimine e processare il colpevole. Nella maggior parte dei casi di sottomissione chimica, però, dopo la violenza restano memorie confuse e, soprattutto, la parola della vittima contro quella del carnefice, che può ovviamente negare tutto e parlare sia di sesso consensuale, sia di volontaria assunzione di sostanze.
Sempre nella giornata internazionale per la lotta alla violenza sulle donne, il premier britannico Keir Starmer ha annunciato nuove misure che vanno a colpire l'emergenza sottomissione chimica, annunciando che il “drink spiking” diventerà un reato a sé, nell'ambito della stretta del governo contro la violenza su donne e ragazze (VAWG, acronimo di violence against women and girls).
Il governo di Downing Street sta anche incoraggiando una collaborazione tra lavoratori della forze dell'ordine, dei mezzi di trasporto e dei locali notturni per mettere in campo una sorta di sorveglianza attiva. Da dicembre fino alla primavera, circa 10.000 baristi e dipendenti della cosiddetta “economia notturna” saranno formati all'interno di un programma sperimentale per sviluppare le competenze necessarie a prevenire gli incidenti, fornire supporto alle vittime e aiutare la polizia a raccogliere prove. Ai microfoni del programma BBC Radio 4's Today Jess Phillips, parlamentare laburista e sottosegretaria di stato per la salvaguardia della violenza contro le donne, ha invitato tutti gli avventori dei locali a sentirsi in diritto di intervenire se notano qualcosa di strano attorno a sé o qualcuno in difficoltà.
In Italia, invece, non sembra esserci la stessa spinta a raffinare gli strumenti di studio e prevenzione, o a intensificare le misure di contrasto alle violenze sessuali e al fenomeno della sottomissione chimica. Per il presidente del consiglio Giorgia Meloni, il 25 novembre ha coinciso una lunga intervista (25 minuti di video, rilanciati sul canale Youtube della Premier) a Donna Moderna, in cui ha esordito dichiarando che “le norme non mancano, gli strumenti non mancano”, per poi puntare il dito contro “l’immigrazione di massa”, affermando: “C’è un’incidenza maggiore, purtroppo, nei casi di violenza sessuale da parte di persone immigrate, soprattutto illegalmente, perché quando non hai niente si produce una degenerazione che può portare da ogni parte”. Una posizione perfettamente in linea con quella del ministro dell’istruzione e del merito Valditara, che pochi giorni prima, in occasione della presentazione alla Camera della Fondazione Giulia Cecchettin, aveva parlato di legame tra ’incremento di fenomeni di violenza sessuale e “forme di marginalità e devianza in qualche modo discendenti da una immigrazione illegale”. Questo subito dopo aver affermato che “il patriarcato, come fenomeno giuridico, è finito con la riforma del diritto di famiglia nel 1975”.
L’unico cenno di azione nel contrasto alla violenza sulle donne, per ora, sembrerebbe essere un generico rafforzamento dell’uso del braccialetto elettronico, citato all’interno del decreto Giustizia appena varato (il 29 novembre) dal Consiglio dei Ministri. “Da un lato - ha dichiarato Eugenia Roccella, ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità - sono state esplicitate le procedure di accertamento che la polizia giudiziaria deve compiere per verificare il corretto funzionamento dello strumento per ogni singolo caso, imprimendo peraltro un'accelerazione con la fissazione a 48 ore del termine entro cui questi accertamenti devono essere compiuti. Dall'altro, sono state inasprite le conseguenze in caso di comportamenti che artatamente determinino un malfunzionamento del braccialetto”.
A differenza che nei paesi citati, poi, in Italia la conversazione intorno alla sottomissione chimica non sembra al centro di alcuna campagna di sensibilizzazione o azione governativa mirata. Benché se ne sia parlato a livello mediatico, sempre come riflesso del caso Pelicot, non si registrano iniziative di rilievo. Se sul sito del Dipartimento delle Politiche Antidroga si inserisce “droga dello stupro” nel motore di ricerca interna, si ottiene un solo risultato: una breve menzione in un intervento del 2022 del sottosegretario di Stato Alfredo Mantovano in cui si parla di droghe in generale, nell’ambito di una conferenza sulle dipendenze da sostanze. Provando a cambiare keyword e inserendo nella ricerca “sottomissione chimica” o “GHB” (acido cido γ-idrossiburritico, la droga dello stupro più nota), non si ottiene alcun risultato.
L’importanza della collaborazione tra varie figure professionali
Tornando alla Francia, quello che già accade nella casa delle donne dell'Hôtel-Dieu e in altre Maison des Femmes destinate ad aumentare è proprio l'incontro tempestivo di diverse professionalità al servizio di denunce, immediate o tardive che siano. Quando una donna che ha subito violenza si reca in pronto soccorso, riceve un trattamento anti-HIV, una contraccezione d'emergenza e, se desidera sporgere denuncia, viene indirizzata a un commissariato.
Solo dopo la denuncia le forze dell'ordine organizzeranno successivamente una visita con un medico legale per raccogliere prove. Se però la vittima non desidera sporgere denuncia immediatamente, le Maison des femmes come quella dell'Hôtel-Dieu (per le donne residenti o aggredite a Parigi) mettono a disposizione (fino a 5 giorni dopo l'aggressione) un medico legale dell'Unità medico-giudiziaria (UMJ) che raccoglie comunque elementi che possono essere di supporto a un'eventuale futura procedura giudiziaria (tracce di DNA dell'aggressore, campioni tossicologici, eventuali residui seminali, frammenti di vestiti, segni di lesioni), dopo di che la struttura li conserverà fino a 3 anni.
Si tratta di personale specializzato e a lavorare per i tribunali, in grado di prestare "particolare attenzione alla ricerca di lesioni in aree che a volte vengono poco esaminate nei trattamenti di emergenza, come il collo e le braccia, che avranno grande rilevanza in un procedimento penale", come spiega a BFMTV la dottoressa Charlotte Gorgiard, direttrice dell'Unità Medico-Giudiziaria (UMJ) dell'Hôtel-Dieu. Questo tipo di protocollo, sperimentato dalla fine del 2022 in diverse città, è stato reso permanente a ottobre a Parigi ed è diventato il modello a cui si ispirano le misure appena lanciate dal governo francese. Un ulteriore passo verso il riconoscimento di reati che continuano ad essere denunciati con difficoltà e paura. In tutto il mondo.
Il 1522 è il numero gratuito da tutti i telefoni, attivo 24 ore su 24, che accoglie con operatrici specializzate le richieste di aiuto e sostegno delle vittime di violenza e stalking. Per avere aiuto o anche solo un consiglio chiama il 1522 oppure apri la chat da qui.
(Immagine in anteprima via FMT)