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Francia e Germania: le opposte strategie sull’energia che dividono l’Europa

17 Febbraio 2022 9 min lettura

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Francia e Germania: le opposte strategie sull’energia che dividono l’Europa

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di Elena Comelli

Il luogo più simbolico per le divisioni europee in materia di energia è un ridente borgo alsaziano, Fessenheim. Questa cittadina di duemila abitanti, sulla riva sinistra del Reno, ospita dai primi anni Settanta una centrale nucleare da 1.800 megawatt: un gigantesco blocco bianco formato dai due imponenti edifici di contenimento dei reattori ad acqua pressurizzata, che si erge lungo il fiume, ben schermato da un boschetto, a poche centinaia di metri dal confine con la Germania. La centrale, motivo di orgoglio e di sopravvivenza economica per il borgo alsaziano, è stata chiusa nel giugno del 2020, nell'ambito del programma di riduzione della quota di nucleare sul mix elettrico francese dal 75% al 50% entro il 2025, lanciato nel 2015 dall'allora ministra dell'Ecologia Ségolène Royal. Edf (Électricité de France, la maggiore azienda produttrice e distributrice di energia in Francia), che contava di tenerla accesa fino al 2041, è stata indennizzata con 400 milioni di euro dallo Stato e a partire dal 2025, dopo l'evacuazione dei rifiuti nucleari, dovrà accollarsi i costi di smantellamento. Con oltre 40 anni di onorato servizio, Fessenheim era la più vecchia centrale nucleare francese in esercizio e la sua chiusura rappresenta un colpo durissimo per gli abitanti del luogo: l'impianto, che contava 2mila occupati, era di gran lunga il più grande datore di lavoro della zona e le tasse pagate al Comune hanno contribuito al suo sviluppo, finanziando campi sportivi, scuole e un centro commerciale.

La gente di Fessenheim aveva appena iniziato a digerire la chiusura della “sua” centrale, quando è arrivato, il 9 novembre scorso, il famoso discorso alla nazione con cui il presidente Emmanuel Macron ha ridato fiato al programma nucleare francese. "Per la prima volta da decenni", ha detto Macron in televisione, la Francia "rilancerà la costruzione di reattori nucleari". Macron ha sostenuto che gli investimenti nel nucleare consentiranno alla Francia di contenere i costi energetici, di controllare le forniture e di raggiungere gli obiettivi climatici. 

La Francia è il secondo paese al mondo per numero di reattori nucleari operativi (56), dietro solo agli Stati Uniti, ma è il primo e un caso unico al mondo per il suo livello di dipendenza dall'energia nucleare (70% sulla produzione elettrica complessiva nel 2020). Con il suo discorso, Macron ha spazzato via dal tavolo il “Piano Royal” di ridurre questa dipendenza aumentando la quota di fonti rinnovabili, che ora in Francia generano appena il 24% dell'energia elettrica, ben al di sotto della media europea (43%). Non a caso il presidente francese, che in aprile ha buone probabilità di essere rieletto per un secondo mandato, è anche un forte sostenitore della cosiddetta “Force de frappe”, l'arsenale nucleare che la Francia, unico dei Paesi dell'Ue, mantiene in funzione dai tempi di De Gaulle. 

Solo altri otto paesi al mondo, per ora, possiedono “la bomba” e la Francia è il quarto ad averla sviluppata, dopo gli Stati Uniti, la Russia (allora Unione Sovietica) e il Regno Unito. Macron, come tutti i suoi predecessori, ha pronunciato nel 2020 un attesissimo discorso su questo tema, appena una settimana dopo l'uscita del Regno Unito dall'UE. Nel suo intervento, il presidente ha chiarito che la Force de frappe rimane una prerogativa nazionale, ma che la Francia sosterrà le sue responsabilità nel contribuire alla cultura strategica comune. Fedele al consolidato "metodo Macron", il discorso ha posto i partner europei davanti a un'opzione storica, aprendo per la prima volta a un dialogo strategico con coloro che fossero disposti a impegnarsi nelle esercitazioni condotte dalle forze nucleari francesi. La posizione di Macron è piaciuta molto all'industria nucleare francese, che vede nell'Unione Europea un potenziale mercato di espansione, così come Edf sta facendo con i suoi reattori. Non bisogna dimenticare, quando si parla di energia atomica, che il nucleare civile e quello militare sono strettamente legati nella visione dell'establishment francese.

A Fessenheim, invece, è piaciuto molto il discorso di Macron sul nucleare civile. Il suo annuncio sui nuovi reattori ha riacceso la speranza che il paese possa avere una seconda possibilità. "Non vogliamo essere quelli sacrificati e dimenticati", ha detto il sindaco Claude Bender, salutando il discorso di Macron come una "bella sorpresa". Il presidente della regione, Frédéric Bierry, ha esortato Macron a considerare Fessenheim come un sito possibile, definendo la chiusura del vecchio impianto uno scandalo “sociale, ambientale ed economico" di fronte all'emergenza climatica. Il presidente nel suo annuncio non ha rivelato alcun dettaglio sui nuovi reattori, ma ha chiarito il suo pensiero qualche giorno fa. L'idea è di costruire altri sei reattori simili all'Epr, il grande reattore di terza generazione che Edf sta cercando di completare a Flamanville in Normandia, con 10 anni di ritardo e un costo mostruoso di 19 miliardi di euro dai 5 previsti inizialmente. Malgrado la débâcle, il colosso energetico francese ha presentato al governo uno studio di fattibilità per costruire sei nuovi reattori di questo tipo su tre siti già identificati. Con questo progetto Edf sta cercando di salvare in extremis una tecnologia in cui il colosso pubblico ha investito decenni e che molti danno ormai per spacciata, visti i ritardi nella realizzazione. In parallelo, Edf lavora anche a una nuova generazione di reattori nucleari più economici e più piccoli, noti come piccoli reattori modulari o Smr, che stanno risvegliando l'interesse di alcuni paesi europei e degli Stati Uniti. Le speranze di esportazione della Francia, a questo punto, si basano in gran parte sui piccoli modelli, che sarebbero in concorrenza con gli Smr sviluppati negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e in Canada. Ma uno dei maggiori ostacoli – per Fessenheim e per i piani più ampi di Macron – si trova a cinquecento metri dalla centrale nucleare dismessa. È lì che finisce la Francia e inizia la Germania.

Oltre il confine, il Land del Baden-Württemberg è stata la culla del movimento antinucleare tedesco: le proteste di uno dei più longevi movimenti europei, da cui si sono poi sviluppati i Verdi tedeschi, oggi al governo, cominciarono proprio a Wyhl, dall'altra parte del Reno, dove nei primi anni Settanta riuscirono a impedire la costruzione di una centrale nucleare simile a quella di Fessenheim. Si può immaginare la loro delusione quando la videro sorgere sull'altra riva del fiume, pochi chilometri più a Sud. Ma gli antinuclearisti non si diedero per vinti. Quando una nuvola radioattiva si alzò da Chernobyl il 26 aprile dell'1986 e si spostò verso l'Europa occidentale, Fessenheim divenne rapidamente il loro punto di raccolta privilegiato. Gli attivisti lanciarono l'allarme a ogni problema di sicurezza nell'impianto: crepe nel coperchio di un reattore, una perdita di vapore che colpì dei lavoratori, allagamenti interni che portarono a uno spegnimento di emergenza e altri ancora. 

Il disastro di Fukushima, l'11 marzo del 2011, aggravò le preoccupazioni. Nelle settimane successive, il governo tedesco sotto la guida di Angela Merkel decise di chiudere definitivamente quasi la metà delle sue centrali nucleari e di ridurre gli anni di vita delle altre. In parallelo, sull'onda dell'Energiewende, la Germania si è concentrata sulla realizzazione di un imponente parco di generazione da fonti rinnovabili, ancora più notevole se si considera che partiva quasi da zero, avendo pochissimo idroelettrico, contrariamente alla Francia e all'Italia che fin dall'800 hanno sfruttato a piene mani i salti d'acqua delle Alpi. In Francia, la reazione è stata ben più debole, ma Hollande, durante la campagna elettorale del 2012, promise di chiudere Fessenheim se fosse stato eletto, promessa mantenuta da un altro presidente e solo otto anni dopo. 

Quando la centrale di Fessenheim è stata tolta dalla rete, nel giugno 2020, mentre i vicini francesi piangevano gli attivisti tedeschi hanno festeggiato. A soli 10 minuti di macchina dai due reattori, oltre un confine che non si vede più ma esiste sempre, i vecchi combattenti degli anni Settanta si sono radunati su un ponte sul Reno, sventolando striscioni con il sole che ride. Festa grande anche a fine 2021, quando la Germania ha chiuso, come da programma, tre delle sue ultime sei centrali atomiche. Le tre rimaste saranno spente entro la fine del 2022, segnando così la fine di sessant'anni di nucleare civile in Germania. 

La battaglia dei Verdi, però, è tutt'altro che finita. Nel resto d'Europa, anzi, soffiano venti contrari. La Francia guida un gruppo di paesi, perlopiù dell'Europa centrale e orientale, che hanno spinto l'Unione Europea a concedere il bollino di "attività economica ecosostenibile" anche all'energia nucleare, malgrado la strenua opposizione di molti paesi membri. Per i politici e gli attivisti tedeschi l'idea che l'energia nucleare sia verde o sostenibile è un anatema, considerando il potenziale di incidenti con conseguenze ambientali catastrofiche e i problemi associati allo stoccaggio a lungo termine delle scorie radioattive, che nemmeno la stessa Francia è ancora riuscita a risolvere. Per non parlare del fatto che le centrali francesi cominciano a mostrare i segni dell'età e hanno sempre più bisogno di fermarsi per lavori di manutenzione, com'è successo nelle ultime settimane con tre dei quattro più grandi reattori, costringendo il paese a incrementare il ricorso al carbone.

Il nuovo ministro tedesco all'Economia e al Clima, Robert Habeck, è il capo dei Verdi ed è stato fra i politici che hanno firmato una dichiarazione di fuoco per celebrare la chiusura dell'impianto di Fessenheim. È logico che si sia battuto contro l'inserimento del nucleare nella tassonomia verde europea, sostenendo che le centrali nucleari sono troppo costose e troppo lente da costruire per rappresentare una soluzione alla crisi climatica. La Germania guida dunque il gruppo dei paesi antinuclearisti, che vorrebbero chiudere i reattori europei e si sono opposti fermamente a un'inclusione dell'energia atomica nell'elenco delle attività economiche sostenibili, che apre al nucleare i finanziamenti degli investitori verdi e li distoglie dalle rinnovabili. Grazie ai forti investimenti di questi anni, oggi la Germania produce il 44% della sua energia elettrica da fonti rinnovabili, contro il 24% della Francia, e nell'ultimo decennio ha ridotto l'intensità di carbonio del suo sistema elettrico da quasi 500 grammi di CO2 per kilowattora del 2011 ai 301 del 2020, mentre la Francia è rimasta quasi costante, passando da 65 a 55 grammi. 

Resta il fatto che la Germania emette quasi il doppio di anidride carbonica pro capite rispetto alla Francia (7,69 tonnellate contro 4,24) e quando spegnerà le sue ultime centrali nucleari sarà costretta a fare affidamento sulle fonti fossili, compreso il carbone, per colmare parte del divario, prima di riuscire a chiudere completamente il gap con l'energia pulita da fonti rinnovabili. Gli attivisti ambientali in Germania riconoscono che la dipendenza dalle fossili è un problema anche a medio termine, ma sono ottimisti sulla rapidità con cui il paese può aumentare la quota di energie alternative. Nel programma di governo appena varato si prevede di alimentare con le fonti rinnovabili l'80% della generazione elettrica al 2030, rispetto al 44% attuale, e di chiudere entro quella data tutte le centrali a carbone, oggi al 24%. Questo raddoppio delle rinnovabili comporterà un enorme aumento degli investimenti nell'energia pulita, di cui i Verdi al governo si fanno garanti. 

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A Friburgo in Brisgovia, capitale europea del fotovoltaico, sul lato tedesco del confine vicino a Fessenheim, la battaglia del governo francese per l'inserimento del nucleare nella tassonomia verde europea, invece, ha deluso un po' tutti. Qui si sperava che la chiusura della centrale avrebbe aperto la strada a progetti congiunti franco-tedeschi di energia rinnovabile. Ma se il nucleare diventa un asset “verde” e Fessenheim continua a perseguire la sua idea di risvegliare la centrale spenta, questo processo franco-tedesco all'insegna delle fonti pulite non andrà a parare da nessuna parte e i finanziamenti francesi resteranno sul nucleare, mentre quelli tedeschi andranno verso le rinnovabili. Il gas è stato inserito a sua volta nella tassonomia verde europea come fonte di transizione, ma con dei tali limiti di emissione che ne potrà approfittare ben poco.

I tedeschi sperano ancora che il nuovo slancio nucleare della Francia possa essere una manovra elettorale di breve durata, in vista delle presidenziali di aprile. Ma un recente sondaggio ha segnalato che la maggioranza dei francesi resta a favore dell'energia nucleare e i più seri sfidanti di Macron per la presidenza - tutti di destra o di estrema destra - sostengono una dipendenza dall'atomo ancora più pesante. La candidata di estrema destra Marine Le Pen ha chiesto la pronta riapertura di Fessenheim e il suo concorrente Éric Zemmour ha incluso le immagini dei due reattori nel video che ha dato il via alla sua campagna presidenziale. L'unico che si è convertito all'energia pulita è il padrone del ristorante più centrale di Fessenheim, Laurent Schwein, che spesso ospitava a pranzo gli operai della centrale. In attesa di salutare gli ultimi clienti dopo la chiusura definitiva dei reattori, ha installato sul tetto una serie di pannelli fotovoltaici.

Immagine in anteprima: Florival fr, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons

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