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Fluorescenza e noia

10 Novembre 2011 3 min lettura

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Fluorescenza e noia

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Mi hanno raccontato che mentre me la dormivo della grossa, sono stata rivoltata come un calzino. TAC, Pet, ecografie, prelievi, insomma, una cavia da laboratorio. Ve lo assicuro, non ricordo nulla, nada, nisba.
Il primo esame al quale ho “assistito” è stato una specie di film. La sera prima mi si presenta un’infermiera per avvisarmi che al mattino, verso le 9, avrei dovuto sottopormi alla scintigrafia ossea. Bene. Perfetto.
La mattina in questione, la mia ganzissima e giovanilissima zietta, in previsione di questa uscita in società, tenta di darmi una parvenza umana pettinandomi i miei allora lunghi e fluenti capelli, poi si presenta la dietista per l’ordine dei pasti del giorno dopo (ebbene sì, succede pure questo, c’è il menù a la carte) e contemporaneamente l’inserviente per le pulizie, nonché, tanto per non farci mancare nulla, gli OSS (che non è una parolaccia, ma sta per Operatori Socio Sanitari) con la colazione. Ed ecco che mentre ho il pettine tra i capelli, tento di decidere se prendere la pastina in brodo o il riso al burro oppure il te con i biscotti – ero un po’ confusa, capirete bene – arrivano i paramedici della pubblica assistenza per prelevarmi e portarmi in ambulanza a fare il fatidico esame. E così che pettinata a metà, per la somma irritazione della zietta, e a stomaco vuoto, per la somma irritazione mia, vengo caricata in ambulanza per percorrere si e no 150 metri…
Arrivata al reparto di Medicina nucleare, vengo lasciata dai gentilissimi e coccolosissimi paramedici in una stanza gelida e vuota, di fronte al banco accettazione, dove vengo raggiunta da un infermiere altrettanto gentile che mi spiega quanto mi accadrà di lì a poco. Mi verrà iniettato un liquido di contrasto e dovrò stare tre ore in attesa che tale liquido raggiunga ogni recondito angoletto del mio corpicino dopodiché verrò sottoposta all’esame, nel frattempo mi devo bere mezzo litro di acqua. Ora, niente da dire sul fatto di bere acqua, ma… Tre ore? No, dico, io me ne devo stare tre ore tre sdraiata a guardare il soffitto, impossibilitata ad avere incontri ravvicinati causa il liquido di contrasto che risulta essere radioattivo… Pazienza, mi dico, dormirò, sono una specialista del settore. E se mi scappa? Ah, giusto, ho il catetere.
Evidentemente, però, la specializzazione in sonni profondi e repentini lì non viene considerata valida, perché sono rimasta tre ore tre con gli occhi sbarrati a farmi gli affari altrui, cioè ad ascoltare le disavventure dei vecchietti che si lamentano della difficoltà a raggiungere il reparto, i farfugliamenti del tizio in TSO che non ne vuole sapere di stare fermo e che gironzola per tutte le stanze e gli ambulatori inseguito dall’infermiere che lo ha in custodia, le chiacchiere degli impiegati che si raccontano delle prossime ferie…
Insomma, una noia mortale, una noia cosmica, due cabbasisi che non vi dico. Poi il pensiero vaga nei meandri dell’assurdo e mi immagino fluorescente nella notte, a causa del liquido di contrasto e comincio a valutare i vantaggi di una simile condizione: risparmio energetico, non avrò bisogno di luci per leggere, potrei quasi propormi per illuminare feste, occasioni mondane, mi si sta aprendo un mondo, ho già in mente uno spot pubblicitario quando arriva il momento dell’esame…
Avrei voluto protestare, non si interrompe così un’emozione.
Lia Bencivenni
@valigiablu - riproduzione consigliata

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16 Comments
  1. Paolo

    La capisco, ho passato un anno e mezzo dentro e fuori da un ospedale e in quel momento ho capito il vero significato di "paziente", perché fondamentalmente tutto ciò che fai è aspettare che il tempo passi. Che siano le 4 ore di coda per la TAC (mai farsi ricoverare poco prima di Natale), l'ora e mezza di scintigrafia distesi su un lettino al buio o che altro, uno aspetta. e aspetta. e aspetta. Ero diventato una specie d'asceta, e gli amici da fuori che venivano a trovarmi e mi parlavano dei loro problemi mi parevano così frenetici! Credo di non avere mai letto così tanto come in quel periodo, mi leggevo pure le etichette delle sedie, una a una, pur di passar eil tempo.

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