Finlandia, cosa dicono davvero i primi risultati sul reddito di base
5 min letturaNon aumenta i livelli di occupazione nell'immediato ma migliora la propria sensazione di sicurezza sociale ed economica che si traduce in meno stress, maggiore concentrazione, maggiore fiducia nel futuro e più convinzione nelle proprie capacità e nella possibilità di incidere sulla propria condizione professionale e di vita.
Ieri sono stati presentati i risultati del monitoraggio del primo anno di sperimentazione del reddito di base in Finlandia. Dal gennaio 2017 il governo finlandese ha avviato un progetto pilota di reddito di base che prevedeva il pagamento di 560 euro al mese a 2000 persone di età compresa tra i 25 e i 58 anni che già ricevevano un sussidio di disoccupazione, selezionati nel dicembre 2016 da un campione casuale. I cittadini finlandesi prescelti avrebbero ricevuto il denaro “in maniera automatica, senza ostacoli burocratici né penalità se avessero guadagnato altri soldi” e non avrebbero dovuto rendere conto di come avrebbero speso i 560 euro mensili. In altre parole si trattava della sperimentazione di un vero e proprio reddito di base incondizionato (misura diversa da quella approvata in Italia dal governo Conte).
Per l’esperimento il governo aveva predisposto una spesa di 20 milioni di euro con l’obiettivo di: creare i presupposti perché i cittadini finlandesi non accettassero condizioni di lavoro sfavorevoli o stipendi troppo bassi, provare a semplificare il complesso sistema di welfare finlandese (che prevedeva diverse tipologie di sussidio a seconda dello status di ciascun cittadino), capire se la distribuzione di denaro favorisse la creazione di nuovi posti di lavoro, visto che i partecipanti al progetto avrebbero continuato a beneficiare dell’erogazione del denaro anche in caso di impieghi part-time, cosa non prevista con il sussidio di disoccupazione.
Leggi anche >> La vera storia del reddito di base “bocciato” in Finlandia
Tuttavia, lo scorso anno il governo finlandese ha deciso a sorpresa di sospendere il progetto dopo soli due anni, orientandosi verso altre tipologie di riforma del welfare e senza attendere nemmeno l’analisi dei risultati del primo biennio, e di non avviare la seconda fase di sperimentazione che prevedeva di coinvolgere non solo i disoccupati ma anche persone con redditi bassi e giovani anche al di sotto dei 25 anni. Il direttore scientifico dell’esperimento, Olli Kangas, aveva duramente criticato questa decisione spiegando che il governo aveva respinto la richiesta di un ulteriore finanziamento di 40-70 milioni di euro per estendere la sperimentazione a un gruppo di finlandesi attualmente occupati in modo tale da avere più dati a disposizione per valutare l’efficacia del progetto e che, senza l’inclusione di queste figure, non c’erano elementi sufficienti a disposizione per valutare l’effettivo impatto del reddito di base, se incentiva i beneficiari a trovare un nuovo lavoro, a migliorare la propria posizione lavorativa o a iniziare un percorso di formazione.
Cosa dicono i dati
I responsabili del progetto hanno studiato gli effetti della sperimentazione sullo stato di occupazione, reddito e benessere dei partecipanti. Si tratta, tuttavia, di dati ancora preliminari, relativi al solo primo anno dell’esperimento, il 2017. Analisi più approfondite, si legge sul sito del progetto, saranno presentate in primavera mentre per i risultati definitivi sull’intero ciclo progettuale bisognerà attendere i primi mesi del 2020. Solo con i dati definitivi, spiegano i ricercatori del Kela, l’agenzia governativa finlandese che ha curato il progetto, potranno essere fatte valutazioni attendibili sui possibili effetti dell’introduzione di un reddito di base in Finlandia.
Leggi anche >> Il reddito di base è una cosa seria
Per quanto riguarda l’occupazione, il pagamento di 560 euro mensili non ha aiutato a trovare un lavoro. Dopo un anno di sperimentazione, non è stata riscontrata alcuna differenza nelle possibilità di trovare un impiego tra chi ha partecipato al progetto e chi invece ne è stato escluso. La situazione tra beneficiari del reddito di base e cittadini che si trovavano in una condizione di “mercato aperto” è stata praticamente identica.
Chi aveva percepito nel 2017 un reddito di base ha lavorato in media 0,5 giorni in più rispetto a chi non faceva parte del campione selezionato e ha guadagnato in media 21 euro in meno in un anno.
Tuttavia, proseguono i responsabili del progetto, i beneficiari del reddito di base, contattati attraverso un sondaggio telefonico alla conclusione della sperimentazione, hanno mostrato di avere minori sintomi da stress, minore difficoltà di concentrazione e minori problemi di salute rispetto al campione di cittadini che esclusi dalla sperimentazione. In sintesi, ricevere un reddito di base sembra ridurre la sensazione di insicurezza.
Secondo i dati, il 55% dei beneficiari del reddito di base ha dichiarato di stare meglio dopo un anno di sperimentazione (nel campione di chi non ha partecipato al progetto, il 46% ha risposto di percepire il proprio stato di salute come buono o molto buono) e solo il 17% (il 25% tra gli esclusi dal progetto) ha manifestato un livello elevato o molto alto di stress.
Inoltre, chi ha percepito il reddito di base ha dichiarato di essere più fiducioso nella possibilità di trovare un impiego perché riteneva di dover fronteggiare meno burocrazia, di poter beneficiare di una maggiore sicurezza sociale e di sentirsi in condizioni di maggiore serenità nel valutare se accettare o meno un’offerta di lavoro o prendere in considerazione di avviare un’impresa. Nello specifico, il 56% dei percettori del reddito pensava di trovare un impiego entro l'anno successivo (il 45% nel campione selezionato tra gli esclusi del progetto). Si tratta, si legge nel rapporto presentato dal Kela, di un dato statistico significativo che testimonia che i beneficiari del reddito di base hanno una maggiore fiducia nelle loro possibilità di trovare lavoro rispetto agli altri.
Non si può parlare, dunque, di un flop o di una misura inutile che non incoraggia a trovare un nuovo lavoro, come riportato da alcune testate giornalistiche. «È fuorviante parlare di fallimento o successo. Sono dati di fatto che ci forniscono nuove informazioni che non avevamo prima di questo esperimento», ha spiegato alla BBC Miska Simanainen, uno dei ricercatori del Kela.
Più in generale, spiegano i responsabili del progetto, i beneficiari del reddito di base hanno enfatizzato nelle loro risposte la natura emancipatoria della misura. Questa percezione emerge in maniera statisticamente significativa nella valutazione della propria condizione economica. Chi percepisce un reddito di base ha sentito di trovarsi in una situazione economicamente più confortevole con effetti benefici sulle proprie condizioni di salute. Si ritiene, si legge nel rapporto, che la prevedibilità del reddito di base riduca il livello di stress grazie a una minore burocrazia da fronteggiare e alla percezione di un guadagno più sicuro.
«I risultati degli effetti del reddito di base sulla possibilità di trovare un impiego e quelli sulla percezione del proprio benessere non sono in contraddizione, anche se può sembrare il contrario», ha concluso Minna Ylikännö, capo ricercatore del Kela. «Il reddito di base può avere un effetto positivo sul benessere del beneficiario, anche se a breve termine non migliora le prospettive di occupazione».
In ogni caso i dati di quest'esperimento non confermano quello che sostengono molti critici della misura e cioè che chi percepisce il reddito di base tende a lavorare meno.
Foto in anteprima: Kimmo Brandt via New Europe