Dal caso Ferragni al Ddl “Beneficenza”: serviva una nuova legge?
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La regolazione non dovrebbe seguire la scia degli impatti emozionali che episodi di attualità suscitano nell’opinione pubblica. Ma a volte è proprio così che si legifera in Italia. Il disegno di legge “Beneficenza” – volto a disciplinare le ipotesi di iniziative benefiche connesse alla vendita di prodotti – pare esserne l’ultimo esempio. Il testo trae origine dal noto “caso pandoro” che ha coinvolto l’azienda dolciaria Balocco e l’imprenditrice e influencer Chiara Ferragni. Ma c’era proprio bisogno di queste nuove regole?
Di cosa parliamo in questo articolo:
I fatti: la multa dell'Antitrust a Chiara Ferragni e Balocco
Nel dicembre 2023, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Antitrust) – che ha competenza in tema di tutela del consumatore contro pratiche commerciali scorrette – ha sanzionato due aziende facenti capo a Chiara Ferragni (Fenice e The Blonde Salad TBS Crew) e l’azienda dolciaria Balocco. Nel 2022, Ferragni aveva partecipato alla campagna promozionale di una linea di pandori Balocco (il “Pandoro Pink Christmas”), presentata come iniziativa di beneficenza per l’ospedale Regina Margherita di Torino. L’ammontare della donazione all’ospedale era stato determinato in precedenza e già versato da Balocco, quindi non era collegato al numero di prodotti venduti. Ma il contenuto della campagna pubblicitaria, secondo l’Autorità, induceva a credere che la vendita di ciascun pandoro contribuisse a tale donazione.
Nel comunicato stampa relativo al provvedimento si legge che il prezzo del pandoro griffato – il cui costo era di circa tre volte superiore a quello del pandoro normale – ha “contribuito a indurre in errore i consumatori rafforzando la loro percezione di poter contribuire alla donazione acquistando il ‘Pandoro Pink Christmas’”. Ciò “ha limitato considerevolmente la libertà di scelta dei consumatori facendo leva sulla loro sensibilità verso iniziative benefiche, in particolare quelle in aiuto di bambini affetti da gravi malattie”.
Il quadro delle regole vigenti a tutela dei consumatori
La normativa di riferimento è innanzitutto il Codice del consumo (d.lgs. n. 206/2005, da ultimo modificato dalla l. n. 214/2023), che si occupa di pratiche commerciali scorrette. Per “pratica commerciale” si intende qualsiasi azione, omissione, condotta, dichiarazione o comunicazione commerciale, compresa la pubblicità diffusa con ogni mezzo e il marketing, relativa alla promozione, vendita o fornitura di beni o servizi ai consumatori. La pratica commerciale è scorretta quando è in contrasto con il principio della diligenza professionale, è falsa o è idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico del consumatore medio che raggiunge o al quale è diretta.
Il Codice del consumo considera specificamente le pratiche commerciali ingannevoli, vale a dire quelle idonee a indurre in errore il consumatore medio, distorcendone il processo decisionale. L’induzione in errore può riguardare il prezzo, la disponibilità sul mercato del prodotto, le sue caratteristiche, i rischi connessi al suo impiego.
Alle norme del codice del consumo si aggiunge il Codice di autodisciplina della comunicazione commerciale elaborato dall’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria (IAP). Si tratta di regole di soft law, vincolanti soltanto per i soggetti che hanno aderito al sistema autodisciplinare, considerate come best practices da osservare nel settore della pubblicità.
Oltre a questo complesso di regole vanno considerate le recenti linee guida dell’AGCOM relativamente agli influencer “professionali”, vale a dire quelli con un numero di follower pari ad almeno 1 milione, tra le diverse piattaforme e social media su cui operano, e che raggiungono determinati livelli di diffusione dei propri contenuti tra il pubblico. Le linee guida rendono direttamente applicabili a questi influencer una serie di disposizioni del Testo unico dei servizi di media audiovisivi (TUSMA), equiparandoli di fatto agli editori.
Il disegno di legge “Beneficenza”
La nuova normativa pone una serie di obblighi di trasparenza per le iniziative benefiche connesse alla vendita di prodotti, sancendo il corrispondente diritto dei consumatori di ricevere un’adeguata informazione. L’obiettivo del ddl è quello di fare in modo che le scelte di acquisto connesse a operazioni di beneficenza siano quanto più consapevoli.
La trasparenza sarà realizzata riportando sulle confezioni dei prodotti – anche con una targhetta cartacea o adesiva - l’indicazione dei beneficiari, tra quelli indicati dalla legge; delle finalità dell’iniziativa di beneficenza; della quota percentuale del prezzo di vendita o l’importo destinati ai beneficiari, per ogni unità venduta. Tali informazioni dovranno essere fornite anche nelle comunicazioni commerciali e nella pubblicità del prodotto, e l’obbligo graverà anche su coloro che lo pubblicizzano.
Tutte le informazioni relative alla beneficenza legata alla commercializzazione andranno comunicate all’Antitrust, unitamente al termine entro cui sarà effettuato il versamento dei fondi. Entro tre mesi dalla scadenza di tale termine, inoltre, si dovrà comunicare all’Autorità l’effettiva esecuzione del versamento. «Salvo che il fatto costituisca reato o una pratica commerciale scorretta» ai sensi del Codice del consumo, chiunque violi gli obblighi di trasparenza previsti è soggetto alla sanzione amministrativa pecuniaria da 5 mila a 50 mila euro.
La sovrapposizione
“Sono lieta che il governo abbia voluto velocemente riempire un vuoto legislativo”, ha affermato Chiara Ferragni riguardo al nuovo ddl “Beneficenza”. Ma è proprio vero che colma lacune normative?
Il vigente Codice del consumo sancisce il divieto di pratiche commerciali ingannevoli. Il divieto comporta, tra le altre cose, che deve esserci chiarezza su ogni elemento connesso alla vendita. Se le società di Ferragni e l’azienda Balocco sono state sanzionate per la vicenda del pandoro - e sono state sanzionate proprio perché la chiarezza è mancata - significa che sotto tale profilo non c’è un vuoto legislativo.
Il ddl in esame esplicita i singoli elementi su cui va fatta trasparenza in occasione di iniziative benefiche connesse alle vendite di prodotti. Ma la conseguenza dell’emanazione di questo ennesimo testo normativo in un ambito che, come visto, è già corposamente disciplinato, sarà una parziale sovrapposizione tra la nuova legge e il Codice del consumo. Infatti, l’assenza di informazioni precise sulle confezioni o nelle comunicazioni pubblicitarie circa le iniziative benefiche connesse alla vendita di un prodotto sarà di certo una violazione del testo sulla beneficenza, ma al contempo anche una pratica commerciale scorretta, come la è stata finora, ai sensi del Codice del consumo. Insomma, la medesima condotta sarà oggetto di entrambe le normative.
Di questo margine di sovrapposizione si è reso conto anche il legislatore, il quale – per scongiurare il pasticcio interpretativo e applicativo che ciò avrebbe determinato in concreto - ha disposto che le sanzioni previste dal ddl potranno essere irrogate solo se non siano contemporaneamente irrogabili quelle sancite dal Codice, le quali prevalgono in ogni caso. Allora ci si chiede per quale motivo il legislatore, anziché ricorrere a questo criterio di prevalenza per porre rimedio alla sovrapposizione, non l’abbia evitata a monte. Gli sarebbe bastato inserire espressamente nell’elenco delle pratiche commerciali ingannevoli, indicato dal Codice del consumo, la condotta di chi viola gli obblighi di trasparenza verso i consumatori per iniziative benefiche, anziché farne oggetto di un autonomo provvedimento.
Inoltre, la proposta di legge punisce con un importo irrisorio (50 mila euro euro) una condotta che ai sensi del Codice del consumo può essere sanzionata in modo molto più severo (fino a 10 milioni di euro). Anche per questo motivo sarebbe stato meglio configurare espressamente la violazione degli obblighi di trasparenza tra le pratiche ingannevoli individuate dal Codice stesso.
Nessuna sovrapposizione, invece, per la parte del ddl che riguarda la comunicazione, preventiva e successiva, all’Antitrust: se la pratica commerciale è corretta, e manca solo l’informativa all’Autorità, si applicherà esclusivamente il ddl beneficenza. Ma una sola previsione non giustifica l’emanazione di una nuova legge, tanto più che pure tale previsione avrebbe potuto essere collocata nel Codice del consumo.
Incongruenze
La formulazione del testo di legge solleva dubbi, specie in alcuni passaggi. Ad esempio, non è chiaro come sarebbe trattata, secondo il ddl, l’ipotesi in cui un’impresa destini propri fondi a una certa iniziativa benefica, ma senza collegarla al ricavato delle vendite di uno specifico prodotto. In altri termini, un’impresa potrebbe pubblicizzare il proprio sostegno finanziario a un’associazione che si occupi di tutela paesaggistica o di ricerca su determinate malattie oppure di altre nobili finalità, ma senza correlare l’ammontare di tale sostegno al numero di vendite di un certo prodotto. Stando all’interpretazione letterale delle norme del ddl, queste ultime non si applicherebbero al caso appena descritto, mancando la precisa correlazione tra la vendita di uno specifico prodotto e l’atto di beneficenza. Tuttavia solleva perplessità il fatto che un’impresa possa giovarsi sul piano reputazionale, e quindi anche su quello commerciale, della destinazione di risorse a una buona causa, senza dover sottostare agli obblighi di trasparenza previsti dalla nuova normativa.
Suscita perplessità anche la parte del testo che disciplina “la pubblicità e gli obblighi di informazione che i produttori e i professionisti devono adempiere in relazione alla promozione, alla vendita o alla fornitura ai consumatori di prodotti” i cui proventi siano destinati a iniziative benefiche. Con questa formulazione rischiano di essere soggetti all’obbligo di comunicazione anche coloro i quali destinano parte del ricavato della vendita a opere di beneficenza, ma per qualunque legittimo motivo non ne vogliano dare pubblicità. La norma, se interpretata alla lettera, imporrebbe loro di renderle pubbliche.
Questi rilievi denotano il fatto che la proposta legislativa sia stata adottata sull’onda di un caso di attualità, con norme modellate su quel caso, e non elaborate invece in modo da tenere conto di più ampie e generali esigenze.
Ora il progetto di legge inizierà il percorso parlamentare. Oltre a sanare le incongruenze rilevate, si dovrebbe evitare per l’ennesima volta una moltiplicazione di testi di legge e riportare le nuove norme in un corpus unitario, il Codice del consumo. Si parla sempre di qualità della regolazione. Sarebbe il caso di cominciare a realizzarla.
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