Fedez e l’inconscio classista del nostro paese
8 min letturaPer decifrare ciò che è accaduto in questi giorni sarebbe stato sufficiente prestare attenzione a quello che scrive un certo giro ormai sfaldato di artisti al crocevia fra trap e pop almeno dal 2016.
Roma, primo maggio 2018, Sfera Ebbasta sale sul palco del concertone con due Rolex al polso. Chi è stato attento coglie al volo l’allusione; chi, invece, ripone la propria fiducia nella cultura di centrosinistra e ignora o disprezza il fenomeno trap, se la fa spiegare dai nipotini. Sfera apre con uno dei brani che ha segnato musicalmente questo paese più di quanto chiunque sia disposto ad ammettere, un canto malinconico sulla povertà e sulla rivalsa, sull’epica di chi ce l’ha fatta contando solo su di sé, sulla scuola classista che mette da parte i più deboli, su una società che non ama chi non scende a compromessi. Il riferimento è al primo verso di Comunisti col Rolex (Al borghese viene rabbia quando il proletario sbanca), un brano che ha fatto imbestialire la sinistra benpensante del paese.
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Ma sono ragazzi. Sono esterni a qualsiasi meccanismo di potere, perché il potere sta altrove, il potere regola i rapporti del servizio pubblico, non entra in Instagram, non si cura dei dischi di platino.
Intanto questi ragazzi fanno i soldi, e ne fanno a palate, rivolgendosi a un segmento di mercato a cui nessuno presta attenzione e che coincide invece con un preciso profilo di elettore: antirazzista, anticlassista e avverso a ogni discriminazione di genere, ma soprattutto in cerca di una rappresentanza politica che non riesce a trovare. Questo segmento non è composto dai figli della buona borghesia di sinistra, ma in massima parte dai proletari del paese, quelli che non vogliono più finire la propria vita a vent’anni schiacciati da una macchina nella fabbrica.
Roma, primo maggio 2021. Fedez sale sul palco del concertone. Il suo discorso assume da subito una sfumatura polemica, dice di aver dovuto sottoporre il testo al vaglio della politica prima di pronunciarlo, sostiene che la vicedirettrice di Rai 3 trova inopportuno il contenuto. Cosa contiene di così inopportuno questo discorso? Elenca una serie di dichiarazioni di stampo nazifascista contro gli omosessuali, dichiarazioni gravissime e anticostituzionali rilasciate in sedi istituzionali, in eventi pubblici, a mezzo stampa e sui social da esponenti politici di destra. Fa anche nomi e cognomi: questi esponenti appartengono alla Lega, sono vicini a Salvini. Fedez attacca da anni la Lega nelle sue canzoni. Nulla di nuovo sotto il sole quindi. Chi lo ha invitato sa benissimo che Fedez proviene dall’hinterland, che l’humus in cui è cresciuto è multietnico, che molti dei suoi amici, quelli con cui collabora e con cui ha fatto pezzi di strada, sono figli di immigrati. Non c’è nulla nel percorso personale e umano di Fedez che sia in contraddizione con ciò che ha detto e fatto sul palco del Primo Maggio. La sua estrazione è troppo nota, il suo personaggio troppo in vista, perché da queste dichiarazioni emerga qualcosa di anomalo rispetto al suo percorso artistico. In Vorrei ma non posto (del 2016) cantava “Salvini sul suo blog ha scritto un post | Dice che se il mattino ha l'oro in bocca si tratta di un Rom”. La figura di Salvini nei testi e nelle retoriche social di Fedez è ridicolizzata in continuazione.
E quindi cos’è accaduto in questi giorni? Se la posizione anti-salviniana di Fedez è cosa arcinota, ciò che era davvero inopportuno era dare dei razzisti agli esponenti leghisti dal palco del primo maggio, oppure è qualcos’altro che infastidisce, qualcosa che appartiene alla sfera dell’inconscio, all’immagine consolidata che la sinistra ha di se stessa, a porzioni del proprio terreno che non è disposta a cedere?
Ascoltando l'audio integrale della telefonata ciò che colpisce non è quello che si dice ma il sottotesto mai esplicitato. La chiusa del testo di Fedez fa riferimento agli investimenti del Vaticano nel settore farmaceutico, non una grande novità a dire il vero. Fra gli obiettivi polemici della musica di Fedez c’è sempre stato anche il Vaticano (“L'esclusiva all'incoerenza è solo della Santa Sede | Che può fare l'elemosina girando col Mercedes”, da Comunisti col rolex). Bersaglio piuttosto facile, si potrebbe obiettare. Tuttavia, per tutto il corso della chiamata sembra che il problema principale sia quello del contraddittorio con i pochi e peraltro oscuri consiglieri leghisti citati da Fedez nel suo discorso, quando in realtà non si fa mai menzione dell'elefante nella stanza, ovvero il Vaticano a cui in Rai da sempre si preferisce non pestare i piedi.
Ma ormai il bubbone è scoppiato. Sui social si scatena la solita gazzarra, e le critiche all’artista assumono connotazioni varie che spaziano dal suo essere un neoliberista digitale, e quindi non autorizzato a fare discorsi di sinistra, all’avere sfruttato il momento propizio per fare del personal branding – come se Fedez avesse bisogno del palco del Primo Maggio per fare autopromozione, e non fosse al contrario arrivato su quel palco e in generale sui media grazie alla sua incessante operazione autopromozionale. Gli si imputa persino di avere approfittato dello spazio concessogli dai sindacati per pubblicizzare la sua nuova marca di smalto, di essere pagato dalla Nike per esibire il cappellino. Quello che non è chiaro a chi si affretta a comunicare la propria opinione su Twitter è l’entità dell’indotto che ruota attorno alla coppia di imprenditori digitali composta dai coniugi Lucia-Ferragni. Si esclude che Fedez possa avere manifestato una presa di posizione e un pensiero genuino, che peraltro esprime sempre nelle sue canzoni e nelle sue storie, e che può apparire ingenuo ma è comunque politico. Il tentativo di screditarlo passa per la divulgazione di un riferimento omofobo in una sua canzone. A Fedez si imputa persino di poter parlare perché ricco, come se i poveri dovessero per forza tacere. Si avverte in questa ultima accusa un pensiero cupo, che manifesta un asservimento introiettato e la certezza che la libertà di pensiero e parola non siano diritti costituzionali ma privilegi, ovvero il retropensiero su cui la destra populista costruisce il suo consenso. In ciò si riflettono molte delle distorsioni nel rapporto fra gli italiani e il sistema mediatico. Le responsabilità di queste distorsioni sono dei media, e in massima parte dei quotidiani e dei telegiornali che hanno ridotto l’informazione italiana a opinionismo destrorso.
Risulta in buona sostanza inaccettabile che un ragazzo di periferia senza cultura né legami politici abbia raggiunto quello che un tempo era il cuore della cultura sindacale di questo paese, e che da anni non rappresenta più nulla se non una tradizione svuotata di significato. La giornalista vaticana Costanza Miriano, ad esempio, lo definisce un signore con la terza media e vestito in modo discutibile. Perché il livello del dibattito si riduce al titolo di studio di Fedez e al modo, piuttosto mainstream peraltro, in cui si presenta al pubblico. La sua requisitoria contro le posizioni neonaziste degli esponenti politici che cita con nome e cognome viene declassata a esibizionismo, perché non ha un diploma di liceo da esibire e un modo di esporsi adeguato, una giacca dal taglio sobrio, un taglio di capelli borghese. In breve, non si conforma al sistema simbolico della sinistra borghese, da cui si possono eventualmente accettare critiche, ma a quello delle classi popolari che sono solo un serbatoio di voti.
La morale che deriviamo da questo squallido capitolo del sistema dell’informazione italiano è che arricchirsi con la libertà di espressione è inconcepibile, perché comunque vada bisogna stare nei ranghi, bisogna piegarsi a obbedienza, servilismo, rapporti di potere. Solo così un’opinione peraltro largamente condivisa può essere bene accetta fra le fila della sinistra bene del paese. E soprattutto è proibito esibire simboli di arricchimento come il Rolex e la Lamborghini, perché il sistema simbolico prevede che per essere di sinistra è necessario sembrare poveri e apparire sobri, anche quando si posseggono proprietà immobiliari da capogiro. Molto più accettabile di Fedez, infatti, è Ghali, che si espone in modo rassicurante (la Panda e non la Lamborghini) e che secondo questo schema è buono innanzitutto perché figlio di immigrati e poi perché schivo, sempre ironico, mai sopra le righe. Poco importa che Ghali sia l’autore di queste barre: No grazie, non mangio prosciutto | Ma siamo in mano a dei maiali | Un buco in testa come Tuco Salamanca | Grosso da farci entrare un bruco, una salamandra | Respirare bene è il trucco. Se le avesse scritte Fedez verrebbe accusato anche di sedizione a mano armata.
Le figure di Fedez e dei suoi più o meno sodali dell’ambiente musicale indipendente da anni mettono in luce l'inconscio classista di questo paese. Non si tollera che un qualsiasi proletario della periferia milanese si sia arricchito usando media e linguaggi tuttora incompresi persino dai vertici dei media generalisti. Ci si chiede come sia possibile che i vertici di uno dei più importanti canali del servizio pubblico non siano in grado di interagire con chi si muove e prospera nella comunicazione social. Come è possibile che i due mondi non si parlino al punto da generare un cortocircuito come quello a cui abbiamo assistito? Forse la ragione è insita nelle modalità di reclutamento dei vertici degli apparati di comunicazione legati alla politica, un “sistema”, come è stato definito nella famigerata telefonata, che è appunto politico, gerarchico, basato sulla opportunità: “inopportuno” viene infatti definito dai vertici RAI il discorso di Fedez. Non volgare, ingenuo, scorretto o sbagliato, ma semplicemente inopportuno.
I detrattori di Fedez sostanzialmente incapaci di ammettere il proprio analfabetismo digitale non comprendono né l'abitudine comunicativa (riprendo tutto ciò che faccio perché potrei ricavarne una storia) né il segmento di mercato a cui si rivolge, che come abbiamo visto coincide con un gruppo sociale, il quale è anche soggetto politico privo di rappresentanza. Questi media e questi linguaggi (Instagram, le storie) sono associati alla massa, additati come espressioni del degrado della cultura. Tuttavia, forse avendo finalmente annusato il potenziale elettorale del target a cui si rivolge Fedez (la diretta Instagram con Zan del Partito Democratico – relatore della proposta di legge sull’omotransfobia, sintesi di cinque disegni di legge presentati da diversi partiti: Boldrini, Zan, Scalfarotto, oltre a Perantoni del Movimento 5 Stelle e Bartolozzi di Forza Italia – ha totalizzato oltre quattro milioni di visualizzazioni), il centrosinistra lo ha sostenuto cogliendo l’opportunità del momento. Ma vedere i partiti che da sempre lottizzano la Rai e "ora si accapigliano sulla vicenda Fedez è il trionfo dell'ipocrisia", come scrive il sindacato Usigrai in un comunicato: "Noi un 'sistema' in Rai lo denunciamo da anni: ed è esattamente quello della partitocrazia, che – a partiti alterni – occupa il Servizio Pubblico. Come del resto accadrà ancora una volta nelle prossime settimane con il rinnovo del CdA". Il segretario del PD, Enrico Letta, prova a cavalcare l'onda: nelle imminenti nomine RAI dei componenti del consiglio di amministrazione vanno lasciati fuori parlamentari in carica o ex.
Il problema, quindi, non è né il contenuto del discorso di Fedez, né la qualità della sua musica e neppure il suo talento per l’autopromozione. Il problema a questo punto è che risulta difficile scardinare il sistema culturale italiano, anche attraverso l’approvazione di un disegno di legge che traghetti finalmente questo paese nel nuovo millennio, perché chi dovrebbe muoversi perché si giunga finalmente a tutelare i diritti dei gruppi sociali più sottorappresentati ed esposti, si occupa invece di mantenere lo status quo.
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Immagine in anteprima: Greta, CC BY-SA 2.0, via Wikimedia Commons