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Fare il giornalista a Londra in tempo di crisi

20 Dicembre 2012 2 min lettura

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Fare il giornalista a Londra in tempo di crisi

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di Chiara Albanese

La più lunga settimana per il mio fegato è iniziata un venerdì pre-natalizio come molti altri. Mandato in stampa l’ultimo numero dell’anno, la direttrice della rivista per cui lavoro, Investment Europe, ci ha chiamato in riunione. «Lunedì ci saranno novità strategiche. Siate pronti a tutto», ha detto senza riuscire a guardarci negli occhi. «Ora, andate pure a casa».

Erano le 3 di pomeriggio. Quasi buio a Londra. Momento perfetto per iniziare la maratona alcolica. «Cosa ci diranno lunedì?”, ci siamo chiesti con i miei colleghi per la durata di 3 pinte di birra. Anche perché fino ad allora, il mio giornale era sembrato immune a crisi economica e purghe redazionali. I responsabili delle risorse umane queste cose le sanno e il week-end di tensione in fondo ha aiutato.

Il lunedì eravamo pronti al peggio, tutti a casa con 2 settimane di preavviso e 2 di disoccupazione, il bello e il brutto del mercato del lavoro inglese. Quando ci hanno detto che il giornale deve tagliare i costi, e che il team di giornalisti deve passare da 5 a 2, l’abbiamo presa con sportività e con humor inglese. Simpatici mimi di pistola alla tempia. Riferimenti alla profezia Maya. «Niente stipendio? Una scusa per non fare i regali di Natale...», ha osato qualcuno.

Il resto è stato molto veloce. Una specie di speed-dating del licenziamento. O roulette russa. Uno dopo l’altro a colloquio col manager, «tu stai, tu vai». Io sto.

Poi, ovviamente, tutti al pub.

Ora siamo rimasti in 2, a bordo di una barca che affonda, e neanche troppo lentamente. Giochiamo a carte scoperte: il primo che andrà via farà imbarcare altra acqua. Eppure, meraviglie del mercato inglese, l’atmosfera è di cinico ottimismo. Lavoriamo in un mercato dinamico, e tutti, chi va, chi sta, sperano di trovare presto una nuova bandiera sulla quale giurare fedeltà.

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Meno speranza, al momento, sembra averla il mio fegato.

Gli inglesi, in questi casi, ci bevono su. E sono giorni ormai, che dopo pranzo la redazione si trasferisce al pub, dove lo stesso mantra («... programmi per le feste? riorganizzazione, nuova strategia, capodanno? no, nessuna possibilità di restare...») viene ripetuto senza variazioni sostanziali a colleghi, PR, potenziali datori di lavoro.

Non resta che mandare giù bagel assorbi-alcool, e sperare che un nuovo lavoro, altrettanto precario, bussi presto alla mia porta.

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