“Fammi vedere la luna”: un videogioco per capire la vita nel carcere minorile
|
Aquila04 sta cercando un compagno con cui giocare a un videogioco multiplayer online, uno di quelli a squadre in collegamento via internet. Dopo la prima partita vi trovate tutte le sere. La conversazione non è troppo personale. Parlare con uno sconosciuto online richiede una sorta di equilibrio tra fiducia e rischio, ma il gioco è un’esperienza di socializzazione e vi sentite sempre più vicini. Col passare dei giorni, il tempo di gioco si riduce e lascia spazio alla conversazione. Una sera scopri che Aquila04 è in un carcere minorile. Ha 16 anni, lavorava come pizzaiolo e durante il COVID ha perso il lavoro, così si è messo a commettere furti con un gruppo di amici del quartiere. Il videogioco riesce così ad avvicinare il tuo mondo e quello di Aquila04, dentro e fuori dal carcere, mondi che altrimenti non si sarebbero potuti incontrare. Ti immergi in una realtà a te sconosciuta, che ti passa accanto tutti i giorni invisibile.
Questa è la storia al centro di Fammi vedere la Luna, un videogioco per browser condotto dall’Associazione Mediterraneo Comune da un’idea di Guido Lavorgna e Raffaella Vitelli, realizzato da Scostumat (Claudia Zampella e Anna Baldassarri) e coprogettato insieme ai ragazzi detenuti presso l’Istituto Penale Minorile (IPM) di Airola, in provincia di Benevento. Si tratta di un racconto interattivo, in cui il videogiocatore parla con Aquila04 mentre i due giocano a un videogioco multiplayer online. L’interazione tra i due è basata sulla scelta multipla fra varie opzioni di dialogo disponibili. Le scelte del videogiocatore determineranno il percorso del detenuto, tra vari finali possibili.
Raffaella Vitelli dirige progetti culturali di innovazione sociale ed educativa per l’Associazione Mediterraneo. L’associazione nasce nel 2017 a San Salvatore Telesino ed è costituita da un gruppo di operatori del terzo settore, ma nel tempo ha accolto anche giovani volontari. “Il territorio è soggetto a spopolamento e impoverimento” racconta Vitelli a Valigia Blu. “Non c’è cinema, teatro, punti di aggregazione, attività sportive. C’è una povertà educativa legata alla mancanza di opportunità e a una scuola che ha pochissimi mezzi”.
Durante lo sviluppo di Fammi vedere la Luna - tra il 2019 e il 2022 - i giovani detenuti hanno partecipato a tavoli di co-progettazione, laboratori di narrazione, attività teatrali e interviste. L’integrazione di queste attività si è dimostrata una modalità educativa trasformativa all’interno del carcere. Tutti i testi del gioco sono nati dalle interazioni tra gli operatori di Mediterraneo Comune e i ragazzi nel corso dello sviluppo del progetto. “Il gioco si è rivelato una chiave per accedere a loro, un modo per staccarli da quell’ambiente sospeso di spazio-tempo dove costantemente si trovano e per trasportarli in un altro ambiente nel quale si sentono più liberi e possono esprimersi” racconta Vitelli, aggiungendo che l’esperienza di gioco ha migliorato le relazioni tra i ragazzi all’interno dell’istituto - attraverso la collaborazione - e alleggerito le tensioni tra i ragazzi e gli agenti penitenziari.
Il gioco ha distolto i ragazzi dalla noia e dalla ripetitività della vita quotidiana in carcere. La giornata tipo nell’IPM di Airola inizia con la sveglia alle 7.30, seguita poi dalla colazione e dai lavori domestici. Scuola e attività alternative iniziano alle 10.30, con un’interruzione per il pranzo e la ripresa di corsi scolastici e attività alle 14.30. Alle 17.00 è previsto il cosiddetto “passeggio”, un’ora all’aperto, spesso dedicata alle attività sportive. Dopo cena si torna in cella dove è possibile vedere la tv in camera. “Spesso il diritto al gioco, al divertimento non è per nulla concepito. È come se la punizione dovesse essere l’unica cosa che deve occupare la loro vita, ma sono giovani alcuni di quattordici anni. Parliamo ragazzi che magari hanno giocato anche poco nella loro vita” - aggiunge Vitelli.
Secondo l’Art. 31 della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza,
“Gli Stati parti riconoscono al fanciullo il diritto a dedicarsi al gioco e ad attività ricreative proprie della sua età” e “incoraggiano l'organizzazione, in condizioni di uguaglianza, di mezzi appropriati di divertimento e di attività ricreative, artistiche e culturali.”
I ragazzi dell’IPM di Airola hanno ideato il gioco per i coetanei tra i 12 e i 15 anni che vivono fuori dal carcere. L’esperienza di gioco consente al giocatore di comprendere il vissuto di Aquila04. Il protagonista entra a far parte del mondo personale del giocatore e quando confida di essere in carcere ormai si è creato un legame tra i due che ha reso muri e sbarre invisibili. L’obiettivo del gioco è infatti quello di superare i pregiudizi verso i ragazzi che si trovano in carcere, lottare contro lo stigma della persona che ha commesso un reato per il quale sta scontando una pena. La persona detenuta è prima di tutto persona e la reclusione è una parte della sua storia, ma non rappresenta la sua identità.
Realizzare il progetto non è stato semplice, soprattutto nei suoi aspetti pratici. Vitelli ha reso possibile l’acquisto di tablet necessari per lo sviluppo, ma l’accesso al digitale in carcere è un diritto negato e questo ha interferito con il flusso di lavoro che è stato effettuato offline. Eppure, secondo la Circolare del 2 Novembre 2015 sulla “Possibilità di accesso ad Internet da parte dei detenuti”, il Ministero della Giustizia riconosce l’importanza dell’utilizzo degli strumenti informatici da parte delle persone detenute ai fini di: crescita personale, trattamenti, lavoro, istruzione e formazione. Pur nella consapevolezza dei problemi per la sicurezza, si riconosce che “l’esclusione dalla conoscenza e dall’utilizzo delle tecnologie informatiche potrebbe costituire un ulteriore elemento di marginalizzazione”. Dal documento, la navigazione su internet risulta consentita solo verso siti selezionati, in funzione delle esigenze legate a percorsi di trattamento. La circolare si chiude poi riportando il sostegno del Ministero all’uso della rete per sostenere il diritto all’affettività in carcere e favorire le relazioni famigliari.
Accesso al digitale nelle carceri: i dati a disposizione
Il lavoro dell’Associazione Antigone può fornire informazioni precise sull’accesso al digitale negli istituti penitenziari. Dal 1998, l’associazione ha ottenuto l’autorizzazione del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria a visitare gli istituti penitenziari per compilare un rapporto sulle condizioni di detenzione delle carceri per adulti e degli IPM. Per quanto riguarda gli adulti, al 31 Gennaio 2024 si registravano 60.637 presenze nelle carceri italiane.
Per quanto riguarda i minori, il 20 Febbraio 2024 è stato pubblicato l’ultimo rapporto di Antigone sulla Giustizia Minorile. All’inizio del 2024 le persone detenute nei 17 Istituti penali per minorenni del nostro paese erano 496. La fascia d’età più rappresentata è quella dei 16 e 17 anni. I reati più frequenti sono quelli contro il patrimonio: rapina e furto. La maggior parte dei ragazzi detenuti in IPM non ha una sentenza definitiva. L’istituto penitenziario è una tappa generalmente breve di un percorso, che si svolge soprattutto nelle comunità, che ospitano nel complesso un migliaio di ragazzi sottoposti a misure penali. Il rapporto descrive negli IPM interventi scolastici, di formazione professionale e attività ricreative improntate soprattutto al teatro e allo sport. Non ci sono censimenti sull’uso del digitale nelle carceri italiane e negli IPM.
Alessio Scandurra coordina per Antigone l’Osservatorio sulle condizioni di detenzione, e descrive a Valigia Blu la situazione generale dell’accesso alle tecnologia e a internet negli istituti penitenziari, sia per adulti che per minori. La rassegna comincia con le conversazioni telefoniche: in carcere resiste ancora il telefono con cornetta e filo. La durata delle chiamate è di dieci minuti alla settimana. La norma risale agli anni 70’. “Oggi quei 10 minuti della telefonata significano un radicale isolamento della persona se confrontato alla vita che facciamo fuori”, dice Scandurra. L’uso delle videochiamate era già consentito, ma è stato sdoganato da un punto di vista culturale solo nel 2020, in seguito all’epidemia di COVID.
È evidente da subito che l’uso del cellulare e di internet sono grandi tabù in carcere. La posta elettronica esiste in pochissimi istituti, come servizio a pagamento fornito da una cooperativa esterna. Il collegamento a internet in carcere è disponibile solo agli insegnanti per l’attività didattica. Anche quando i detenuti possono usare un computer personale a fini di studio, il dispositivo deve avere i requisiti richiesti dall’istituto penitenziario, ad esempio non deve avere la scheda di rete wi-fi. Non è possibile utilizzare un vecchio modello portatile. Il computer va acquistato ex-novo, ma i modelli disponibili in commercio non hanno i requisiti adeguati, quindi l’istituto penale stringe una convenzione con un negozio che effettua le modifiche secondo i requisiti richiesti. In sintesi, un computer con un costo vantaggioso in negozio, finisce per costare il doppio al detenuto.
La circolare del ministero suona dunque come una dichiarazione d’intenti rispetto alla realtà. Scandurra commenta così: “un istituto è un’isola, o arriva un pacchetto dal ministero della Giustizia per cui tutti gli operatori di quell’istituto sono esonerati dalle responsabilità che resta al ministero, oppure devono avere le capacità e le conoscenze tecniche per stabilire se quella tecnologia è pericolosa o no, e c’è una carenza enorme di personale tecnico, amministrativo. Il carcere è fatto quasi solo di polizia penitenziaria e non è previsto che abbia questo genere di competenze, quindi diventa veramente quasi impossibile perché la sicurezza è la cosa più importante.”
Per quanto riguarda l’accesso ai videogiochi in carcere, a fini di divertimento o di trattamento, non ci sono dati. Scandurra riporta che qualche dispositivo è sicuramente disponibile in alcuni istituti, negli spazi comuni, ma chiaramente offline. Si tratta principalmente di vecchie console prive di accesso a internet e questo riduce ulteriormente il parco titoli accessibile ai giocatori in carcere, tagliandoli fuori da una parte delle opportunità ricreative (vedi sopra diritto al divertimento) o di intervento attraverso i videogiochi.
Digitale ed internet rappresentano una risorsa con un potenziale importante per la rieducazione in carcere, ma restano una via intentata, in Italia. In Germania, il MaxPlanck Institute ha sviluppato un’esperienza digitale per consentire ai detenuti di immaginarsi proiettati nel futuro. Il progetto si chiama FutureU (il tuo sé futuro) ed è finalizzato al contrasto dei reati. Le nuove tecnologie consentono ai soggetti a rischio di visualizzare le conseguenze delle proprie decisioni e delle proprie azioni. I ricercatori utilizzano un’app per smartphone per far interagire i soggetti a rischio con il proprio sé futuro (un avatar invecchiato), facilitando così un comportamento più lungimirante.
I ragazzi che sono in IPM perlopiù sono cresciuti in un territorio senza opportunità, pensando che il crimine non fosse una scelta, ma l’unica via percorribile. Una volta “dentro” si sentono senza speranza, faticano ad immaginare un futuro, in parte a causa dello svantaggio sociale di partenza, in parte a causa dello stigma intorno al carcere. Sono in affidamento allo Stato sociale in un percorso di rieducazione ai fini del reinserimento sociale, ma se lo Stato nega alle persone detenute l’accesso a nuove tecnologie ed internet che oggi sono risorse lungo quel percorso, non farà invece che rinforzare lo svantaggio di partenza.
Immagine di Scostumat* per Mediterraneo Comune