Non è vero che le fake news rischiano di condizionare il voto, come sostiene La Stampa
4 min letturaUn nuovo articolo pubblicato ieri da La Stampa arricchisce il filone del pericolo “fake news” sulle elezioni e, quindi, sulle nostre democrazie. “Le fake news rischiano di condizionare il voto: tre italiani su dieci ci credono” titolava il pezzo, facendo riferimento ai risultati di un sondaggio realizzato dall’Osservatorio Findomestic, società di credito al consumo del Gruppo BNP Paribas, in collaborazione con l’azienda di ricerche e analisi sul mercato, Doxa.
Le fake news rischiano di condizionare il voto: tre italiani su dieci ci credono https://t.co/RdKoDR4GjM
— La Stampa (@LaStampa) February 5, 2018
Nell’attacco del pezzo, si legge:
A meno di un mese dal voto del 4 marzo, il rischio che le fake news possano influenzare i comportamenti di voto resta molto alto. Un sondaggio realizzato da Doxa per Findomestic svela un aspetto che rischia di neutralizzare gli sforzi per smascherare le bufale che circolano soprattutto in rete. Tre persone su dieci, spiega Doxa, credono a notizie false anche se sono state palesemente certificate come tali.
Andando a leggere il report del sondaggio presentato all’interno dell’Osservatorio mensile di febbraio della società di credito, le cose non stanno in questo modo. Il rilevamento non mette in correlazione credere alle notizie false e come le persone votano (un passaggio questo tutto da dimostrare), ma si limita a registrare che per l’80% degli intervistati le “fake news” sono in grado di influenzare l’opinione pubblica, che il 50% del campione ha creduto ad almeno una bufala nell’ultimo anno e che una buona fetta non ha saputo riconoscere tre notizie rivelatesi non vere: il 30% è convinto che la presidente della Camera Laura Boldrini abbia una sorella che gestisce centinaia di cooperative che offrono assistenza ai migranti, il 63% crede alla notizia della bambina musulmana di 8 anni data in sposa a Padova a un uomo di 35 anni, il 26% che Donald Trump abbia effettivamente dichiarato che la Statua della Libertà incoraggia l’immigrazione.
Come questo possa influenzare i comportamenti di voto dei cittadini è tutto da dimostrare e, come detto, il report del sondaggio non vi fa riferimento. Inoltre, nella descrizione della composizione del campione, non c’è alcuna indicazione dell’orientamento di voto (ci sono solo i dati su fasce d’età, distribuzione territoriale e se laureati o no), come avviene in altri sondaggi e ricerche del genere, per cui non ci sono elementi per capire se chi ha creduto a notizie false siano indecisi o persone già polarizzate e ideologicamente schierate.
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Il titolo dell’articolo de La Stampa, dunque, è falso e la correlazione tra “fake news” e comportamenti di voto dei cittadini, suggerita nell’attacco del pezzo, è indimostrata e arbitraria.
Cosa dice il sondaggio
In collaborazione con Doxa, Findomestic ha sottoposto a un campione di 750 persone un sondaggio per sapere qual è la loro percezione del fenomeno “fake news”, quali media utilizzano per informarsi, se hanno creduto ad alcune notizie false nell’ultimo anno e quali accorgimenti usano per evitare di abboccare.
L’86% degli intervistati via CAWI (acronimo di Computer-Assisted Web Interview, cioè il questionario, pubblicato su internet, è stato compilato in autonomia dagli intervistati senza l’intervento dell’intervistatore) ha dichiarato di aver sentito parlare della questione delle “fake news” e per l’80% di loro si tratta di un fenomeno che può influenzare l’opinione pubblica. E, se per la metà del campione, un maggiore “controllo” (“meglio se a opera di un ente imparziale”, si legge nel report) che certifichi cosa è vero e cosa è falso può essere uno strumento utile a contrastare il dilagare delle notizie false, per il 39% devono essere i cittadini a saper distinguere le informazioni che leggono, senza l’intervento di soggetti terzi.
Nell’ultimo anno, il 50% degli intervistati ha ammesso di aver creduto a una bufala: di questi, il 10% una sola volta, il 27% tra le 2 e le 5 volte, il 13% più di 5.
Inoltre, è stato chiesto al campione di valutare 3 notizie “strane ma vere” e 3 “fake news” circolate negli ultimi mesi “per vedere quanti di loro erano in grado di riconoscere le vere notizie dalle bufale”. Le tre notizie vere (anziano muore e lascia in eredità 1 milione di euro ai suoi cani; negli Emirati Arabi Uniti un uomo ha chiesto il divorzio dopo aver visto per la prima volta la moglie senza trucco; nella provincia cinese di Shanxi è stata inaugurata una grande statua di un cane con le fattezze di Donald Trump) sono state individuate correttamente dal 76% del campione nel primo caso, dal 42% nel secondo e dal 15% nel terzo. Le tre notizie false (la sorella della presidente Laura Boldrini gestisce 340 cooperative che si occupano di assistenza ai migranti; a Padova una bambina mussulmana di 8 anni viene data in sposa a un uomo di 35 anni; Donald Trump ha dichiarato che la Statua della Libertà incoraggia l’immigrazione) sono state indicate come false dal 70% degli intervistati nel primo caso, da appena il 37% nel secondo (notizia diffusa da Il Messaggero e poi rilanciata da diverse testate giornalistiche mainstream) e dal 74% nel terzo.
Il 52% degli intervistati ha dichiarato di fidarsi di una notizia se riconosce la fonte come attendibile, il 44% ha sempre qualche dubbio sulla veridicità di quello che legge, appena il 3% ci crede senza verificare. Il 71% ha affermato di consultare anche altre fonti per verificare la credibilità di una notizia e di valutare in seconda battuta la fonte da cui proviene (67%). Nel 17% dei casi si presta attenzione ai titoli (se sono esagerati o meno) e nel 13% alla formattazione delle notizie, anche se va sottolineato che in diverse occasioni sono stati giornali di carte e testate giornaliste accreditate ad avere diffuso notizie false o contenuti fuorvianti.
Il campione ha, infine, dichiarato di consultare principalmente internet per informarsi (il 55% del campione: il 29% utilizza i siti delle testate giornalistiche, il 18% blog e forum online, l’8% i social network), il 27% la televisione, il 10% i quotidiani di carta.
Immagine in anteprima via pixabay.com