Facebook protegge la libertà di espressione di Trump, ma non quella di attivisti e giornalisti palestinesi, siriani e tunisini
6 min letturaQuando il mese scorso il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha implicitamente suggerito di aprire il fuoco contro i manifestanti per fermare i saccheggi (citando la frase usata dalle forze dell'ordine segregazioniste negli anni Sessanta "When the looting starts, the shooting starts"), durante le proteste per la morte di George Floyd, Facebook decise di non intervenire in alcun modo, nonostante quel post violasse le policy del social network in materia di incitamento all'odio e alla violenza. La decisione di non intervenire ha suscitato polemiche, anche all'interno dell'impresa, ed è stata motivata da Mark Zuckerberg come parte dell'impegno di Facebook per difendere la libertà di parola.
A quanto pare, però, gli stessi standard non sono garantiti ad attivisti e giornalisti tunisini, siriani, palestinesi, o di altre parti del mondo, che utilizzano la piattaforma per documentare le violazioni dei diritti umani nei loro paesi. Molti dei loro account sono stati disattivati nelle ultime settimane, secondo un'inchiesta pubblicata sul sito della NBC.
I ban sono arrivati proprio quando Mark Zuckerberg si è rifiutato di prendere provvedimenti per il post del presidente Trump. Zuckerberg ha difeso la decisione dell'azienda di adottare un approccio pragmatico rispetto alle dichiarazioni dei politici. In un post pubblicato il 29 maggio ha dichiarato di non essere d'accordo con il modo in cui si è espresso Trump, ma che è necessario che tali esternazioni restino pubbliche se vogliamo che i politici possano essere chiamati a rispondere delle proprie azioni e dichiarazioni.
This has been an incredibly tough week after a string of tough weeks. The killing of George Floyd showed yet again that...
Pubblicato da Mark Zuckerberg su Venerdì 29 maggio 2020
Ma questo controllo pubblico, fondato sull'accountability, è possibile solamente se Facebook si impegna a non censurare le voci di coloro che non ricoprono una posizione di potere come quella di Trump, ha precisato sempre a NBC David Kaye, relatore speciale delle Nazioni Unite per la libertà di opinione e di espressione.
La posizione adottata da Zuckerberg assimila concetti come la "libertà di parola" o il "dibattito politico" a dichiarazioni fatte solo da politici, spiega Kaye. “Il dibattito pubblico significa offrire uno spazio in cui tutti possano parlare. Tutta l'attenzione su Trump ha dimostrato che non capisce cosa significhi davvero la libertà di espressione ", ha dichiarato Kaye.
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Negli ultimi due mesi Facebook ha cancellato almeno 35 account di giornalisti e attivisti siriani. A quanto pare, Facebook sta classificando erroneamente i loro account come collegati al terrorismo. "Nessuno dei giornalisti è collegato a gruppi elencati come organizzazioni terroristiche dal governo degli Stati Uniti", ha dichiarato sempre a NBC Hadi Al Khatib, fondatore e direttore di Syrian Archive, un'organizzazione no profit, con sede a Berlino, che raccoglie prove documentali (provenienti principalmente dai social media) di violazioni dei diritti umani e altri crimini commessi da tutte le parti coinvolte nel conflitto in Siria.
"Il mio compito è documentare il rapimento di bambini, le incursioni nelle case di civili innocenti e gli attentati perpetrati dal regime siriano", ha dichiarato il giornalista siriano Mohammed Asakra, il cui account personale su Facebook è stato cancellato all'inizio di maggio, insieme a dozzine di altri. "A Facebook non importa. Chiude i nostri account con l'accusa di incitare il terrorismo. Ma noi siamo contro il terrorismo e la violenza".
Abdel Aziz Qetaz è un fotografo freelance che nell'ultimo anno ha documentato le violazioni sui civili in Siria, includendo attacchi aerei su strutture civili come ospedali e mercati. Ha collaborato con diverse agenzie, tra cui Agence France-Presse e ha documentato i crimini commessi sia dalle organizzazioni terroriste che dal proprio governo e i suoi alleati. I suoi account Facebook e Instagram sono stati disabilitati.
Alcune delle persone colpite dalle decisioni di Facebook, hanno lanciato una campagna su Twitter, chiamata #FBFightsSyrianRevolution, accusando la compagnia di censura.
Al Khatib ritiene che la rimozione di questi account potrebbe essere dovuta al maggiore uso dell'intelligenza artificiale e dell'apprendimento automatico di Facebook per analizzare i contenuti durante la crisi del COVID-19. Non sarebbe la prima volta che la compagnia commette un errore simile per questo motivo. Come misura precauzionale durante la pandemia, Facebook ha infatti mandato a casa molti dei suoi moderatori di contenuti e ha fatto maggior affidamento sull'automatizzazione.
"Facebook e le altre piattaforme di social media sono molto utili per sensibilizzare su questioni legate alle ingiustizie, in particolare nei paesi oppressi sotto regimi autoritari in cui la situazione non permette media indipendenti e libertà di parola", ha affermato Al Khadib. L'impressione è che Facebook sia più preoccupato per la libertà di parola dei leader politici che per quella degli attivisti per i diritti umani o dei giornalisti.
Facebook ha inoltre disattivato almeno 52 account appartenenti a giornalisti e attivisti palestinesi in un solo giorno all'inizio di maggio, secondo un report pubblicato dal sito Middle East Eye.
La rimozione di massa di questi account è solamente l'ultima di una serie di rimozioni ingiustificate di profili palestinesi da parte della piattaforma negli ultimi anni. In alcuni casi, la traduzione automatica di Facebook è responsabile di tali errori, come quella volta che il social network ha tradotto il post di un uomo palestinese che diceva "buongiorno" in "attaccateli", portando all'arresto dell'uomo da parte della polizia israeliana nel 2017.
In seguito alla pubblicazione di questi resoconti siriani e palestinesi, un portavoce di Facebook ha affermato che il personale con competenze regionali e linguistiche stava esaminando l'accaduto.
Più di 60 account appartenenti a giornalisti, attivisti e cittadini tunisini sono stati cancellati alla fine di maggio senza alcuna spiegazione. Tra questi c'erano persone che hanno avuto un ruolo di primo piano durante la primavera araba in Tunisia, tra cui Haythem El Mekki, Sarah Ben Hamadi e Baryem Kilani. L'elenco includeva anche un DJ e un artista.
In questo caso Facebook ha avvisato gli utenti con un messaggio: "Abbiamo stabilito che non sei idoneo a utilizzare Facebook. Questa decisione è definitiva. Purtroppo, per motivi di sicurezza, non possiamo fornirti ulteriori informazioni sul motivo per cui il tuo account è stato disattivato".
Facebook in genere invia questo messaggio se si ritiene che un account abbia legami con un'organizzazione terroristica straniera presente nella lista ufficiale del Dipartimento di Stato USA, o se è coinvolto in un "comportamento non autentico coordinato", un termine che la società usa per riferirsi ai gruppi organizzati che cercano di diffondere disinformazione ed esercitare influenza politica.
Il responsabile della policy in materia di sicurezza informatica di Facebook, Nathaniel Gleicher, ha affermato che molti dei 60 account tunisini sono stati eliminati per il loro ruolo in una campagna di "comportamento non autentico coordinato", che aveva come obiettivo i paesi di lingua francese nell'Africa sub-sahariana e coinvolgeva una rete di centinaia di account tunisini e pagine, riporta ancora NBC.
Purtroppo, un "errore tecnico" ha causato che circa 20 account, inclusi quelli di El Mekki e Kilani, siano stati cancellati per errore. Facebook ha ripristinato quegli account nel giro di poche ore. "Sappiamo che non siamo perfetti e sappiamo che faremo errori", ha detto Gleicher.
Degli account che sono ancora offline, almeno tre persone - il dj Hamdi Ryder, l'organizzatore di eventi Guediri Mohamed e l'artista Jawher Soudani - hanno dichiarato di non capire come fossero collegati alla campagna di influenza.
“Il mio account Instagram conteneva solo foto mie e alcuni scatti naturali. L'altro mio account - per un locale artistico - lo uso per solo per pubblicare dettagli sugli eventi ”, ha detto Mohamed.
Gli esperti di diritti umani temono che Facebook non stia facendo abbastanza per proteggere la libertà di parola di coloro che non sono al potere.
"Sono preoccupata per la cancellazione delle voci dei movimenti", ha dichiarato Jillian York, direttore della non-profit per la libertà di espressione e i diritti digitali Electronic Frontier Foundation (EFF). “Lo squilibrio di potere è già inclinato a favore dei politici. Che l'account di un politico resti online o no è meno importante perché può sempre parlare in TV. Gli attivisti invece hanno solo queste piattaforme per farsi sentire. Non hanno le pagine del New York Times ".
Gli account sono spesso sospesi o disattivati senza preavviso o motivo, ha affermato Rima Sghaier, ricercatrice tunisina che si occupa di tecnologia e diritti umani. Ciò è in violazione dei Principi di Santa Clara sulla trasparenza e la responsabilità nella moderazione dei contenuti, che i gruppi della società civile vorrebbero far rispettare ai social media.
"Sogno un mondo in cui i leader politici non ottengano un'immunità solo per via della loro posizione e del potere che hanno", ha detto Sghaier. "Le piattaforme devono sviluppare ulteriormente le loro policy per proteggere gli attivisti e la libertà di parola contro chi detiene il potere".
L'attenzione di Facebook per proteggere la libertà d'espressione di Trump sulla piattaforma distoglie l'attenzione dalle decisioni sulla moderazione dei contenuti che si svolgono al di fuori degli Stati Uniti, dove la posta in gioco può essere molto più alta. In alcuni casi, la rimozione ingiustificata di un account cancella prove di violazioni dei diritti umani.