AfD ed elezioni europee: l’estrema destra che vince in Germania dell’Est potrebbe conquistare presto la Germania intera
|
Può apparire strano e magari deludere, visto il peso specifico della Germania in Europa e l’incisività delle istituzioni europee in tanti settori della vita pubblica, ma anche in Germania politici ed elettori, percepiscono le elezioni europee come un test di verifica della situazione politica nazionale. Nel cosiddetto anno "più elettorale" di sempre, come è stato definito il 2024 per la particolare densità di cruciali scadenze di voto, il rinnovo dell'europarlamento dello scorso 8-9 giugno è stato per i tedeschi in primo luogo un’occasione per sanzionare la politica del Governo Scholz, e in secondo uno snodo importante in vista delle elezioni che si terranno in autunno nei tre maggiori Länder della Germania orientale, bastioni dell'ultradestra AfD.
I risultati del voto non sono difficili da interpretare, erano in larga parte annunciati e presentano solo pochi elementi di novità o sorpresa rispetto ai pronostici che agitano la politica tedesca da inizio anno. Cominciamo dai fatti più evidenti: vincitori delle elezioni, se così si può dire, sono senza dubbio i cristiano-democratici (CDU/CSU), l’AfD e il nuovo partito di Sahra Wagenknecht (BSW), mentre escono chiaramente sconfitti dalle urne i Verdi e i socialdemocratici (SPD), dunque i due maggiori partiti della coalizione di governo “semaforo”, nonché la Sinistra (Die Linke). Il 30% dei consensi incassati dal CDU e il crollo dei Verdi insieme al ridimensionamento della SPD, che scivola sotto l’AfD, cedendo all’ultradestra il rango di secondo partito tedesco, è un messaggio piuttosto esplicito espresso dalla maggioranza dell’elettorato, che boccia la compagine di governo su clima, energia e migrazione, i tre temi principali della contesa politica attuale e non casualmente temi centrali dell’agenda politica dei Verdi.
Di cosa parliamo in questo articolo:
Le destre identitarie hanno consensi da partito di massa negli Stati fondatori dell’UE
Il CDU di Friedrich Merz si candida così a guidare il prossimo governo ma sbiadiscono le prospettive di un matrimonio coi Verdi a livello nazionale per la prossima legislatura. Intanto, si rafforzano i dubbi sull’adeguatezza della figura di Scholz in questo delicato momento politico, mentre cresce la concorrenza di Boris Pistorius, attuale ministro della Difesa e il socialdemocratico più popolare al momento, che si candiderebbe a guidare la SPD alle prossime elezioni per il rinnovo del Bundestag, in programma nel settembre 2025. In vista della prossima legislatura assisteremo dunque con tutta probabilità al definitivo esaurimento dell’esperienza di governo a tre SPD-Verdi-Liberali, con un verosimile ritorno dei socialdemocratici (salvo ulteriori e significative perdite di voti) come partner di minoranza in una maggioranza di Grande Coalizione. Almeno da qui al voto di autunno dei Länder dell’est, non c’è da aspettarsi particolare dinamismo. Scenari “drammatici” alla francese (elezioni anticipate, sfiducia, cambio del cancelliere) che rendano conto delle difficoltà dell’attuale governo sono altamente improbabili, dal momento che nella Repubblica federale, salvo rari casi, i governi arrivano a fine legislatura e i mandati si esauriscono alla scadenza naturale.
La sconfitta dei Verdi in concomitanza con la crescita dei partiti identitari e dell’ultradestra nei paesi più popolosi dell’UE (Francia, Germania, Italia e Spagna) avrà prevedibilmente un peso non indifferente anche sugli equilibri politici a Strasburgo, con effetti sulla centralità del Green Deal europeo per la neutralità climatica e un possibile spostamento dell’agenda politica dell’Unione verso altre priorità programmatiche. Il Rechtsruck (lett. sterzata a destra) in Europa, anche se non è un fatto nuovo, ma una tendenza da tempo consolidata, resta comunque un fatto epocale. Dal 1945 formazioni politiche nazionalpopuliste o partiti con una tradizione fascista appena mascherata non sono mai stati così al centro della scena politica come lo sono oggi. Per cogliere le dimensioni dell’avanzata delle forze della destra radicale e più o meno apertamente anti-europeiste non basta più guardare alle sue note roccaforti in Ungheria, Austria e Polonia. Il dato forse più interessate di queste elezioni europee, un poco trascurato dai commentatori, è che la destra identitaria ha raggiunto dimensioni di partito di massa o addirittura di maggioranza nel cuore dell’Europa, in Francia, Italia, Belgio, Paesi Bassi, insomma negli Stati fondatori dell’UE.
Il voto identitario è resistente a scandali e argomenti razionali
La tedesca AfD è giudicata una forza politica così a destra, xenofoba e antidemocratica che persino il Rassemblement National (RN) di Marine Le Pen rifiuta di collaborarci. Certo, la mossa di Le Pen è calcolata: usa l’AfD per accreditare RN come partito rispettabile presso fasce dell’elettorato francese che mira a conquistare, i conservatori più istruiti, che non darebbero il loro voto a chi banalizza i capitoli più bui della storia europea. Le accuse di spionaggio per Russia e Cina mosse contro esponenti dell’AfD, la condanna di Björn Höcke per il suo ricorso a slogan nazisti, la linea pro-Putin dell’AfD, infine le imbarazzanti uscite in difesa delle SS dell’eurocandidato di punta Maximilian Krah possono solo danneggiare la faticosa costruzione di un’immagine di partito credibile e moderato, di cui ha bisogno Le Pen per giungere al potere a Parigi.
L’AfD ha accusato il colpo e reagito di conseguenza. L’allontanamento di Krah dalla delegazione europarlamentare del partito dimostra che l’ultradestra tedesca teme l’isolamento in sede europea. La speranza che gli scandali provocati dal suo personale politico più scadente, dai rapporti che taluni di questi intrattengono con l’area del neonazismo militante, potessero frenare la sua avanzata elettorale sono andate deluse: l’eurovoto ha palesato ancora una volta che l’AfD viene votato non per i suoi candidati ma nonostante i suoi candidati, non per talune sue posizioni e proposte politiche ma nonostante queste. Il voto per l’ultradestra in Germania si conferma resistente agli argomenti razionali, a dati oggettivi e agli scandali. Perché è un voto ideologico e insieme emotivo, con una forte connotazione identitaria.
L’incognita Wagenknecht: sarà alleata “rossobruna” o puntello dell’argine anti-AfD?
L’unico vero successo elettorale oltre i pronostici di questa tornata è quello centrato dal nuovo partito della Wagenknecht BSW, sorto da una scissione della Linke, che ha sostanzialmente affossato gli ex compagni di partito. Quest’ultimo, partito dei post-comunisti erede della SED, il partito-Stato della DDR, sembra giunta ormai alla fine della sua parabola storica, mentre il 13% dei consensi raggiunto nei Länder orientali (6% il risultato nazionale, quasi 2 milioni e mezzo di voti) fanno ritenere probabile che il BSW non avrà difficoltà a superare lo sbarramento del 5% per entrare in un autunno nei parlamenti di Sassonia, Brandeburgo e Turingia.
All’indomani delle elezioni europee, la pattuglia di deputati capitanati dalla Wagenknecht ha subito dato esibizione delle sue velleità battagliere boicottando dimostrativamente il discorso del presidente ucraino Zelensky, ospite del Bundestag, insieme ai deputati dell’AfD, che hanno anche loro disertato l’aula. La contestazione del sostegno a Kiev nella guerra contro la Russia e l’ostilità alla NATO e all’Occidente mascherata da pacifismo strumentale sono stati i principali cavalli di battaglia della campagna elettorale della nuova formazione, etichettata dalla stampa tedesca e internazionale come “socialpopulista” o “rossobruna” per le posizioni euroscettiche e critiche rispetto alle politiche ecologiste e migratorie, talora convergenti con posizioni dell’ultradestra.
La protesta contro Zelensky ha subito richiamato alla memoria lo spettro dell’alleanza tra estremisti agitato circa un anno fa da un articolo pubblicato dal Washington Post, che rivelava, citando da documenti di un servizio segreto europeo, l’esistenza di piani russi per destabilizzare il centro del fronte occidentale che sostiene l’Ucraina attraverso misure di guerra ibrida come il sostegno in Germania di una saldatura fra forze illiberali di destra e sinistra. L’ingerenza esterna (russa) nella politica tedesca, data la situazione internazionale, non è affatto da escludere, ma è spiegazione che non va sufficientemente in profondità. Friedrich Merz si è precipitato a invocare nei confronti della Wagenknecht l’erezione di un secondo firewall che impedisce ai cristiano-democratici di collaborare non solo coi populisti di destra, ma anche con quelli di sinistra. Il presidente federale del CDU è stato subito contraddetto dai capi regionali del partito nei Länder dell’Est, che gli hanno ricordato come in autunno, in caso di un non improbabile trionfo dell’AfD in Brandeburgo, Sassoni e Turingia, ci sarà bisogno anche dei voti della Wagenknecht per mantenere in piedi la conventio ad excludendum che ancora tiene l’ultradestra fuori dalle coalizioni di governo.
Il cosiddetto “rossobrunismo” ha una lunga tradizione in Germania, risalente ai turbolenti anni della Repubblica di Weimar, dal nazionalbolscevismo degli anni Venti al nazista Georg Strasser, che predicava la necessità di collaborare con i marxisti per una svolta anticapitalistica, fino passando per il Reichstag usato da nazisti e comunisti come palcoscenico della loro politica antidemocratica. Più di recente si è parlato di nuovo Querfront in occasione delle mobilitazioni di protesta contro la cosiddetta “dittatura sanitaria”, la “guerra della NATO”. Va precisato che il corteggiamento viene dagli agitatori di estrema destra, dal leader dell’AfD in Turingia Björn Höcke al caporedattore della rivista complottista Compact e attivista antisemita Jürgen Elsässer, Sahra Wagenknecht ha sempre nettamente respinto le avances.
L’esito delle elezioni europee ci dice che nell’Est tedesco AfD e BSW non si fanno concorrenza: i voti alla Wagenknecht provengono principalmente da sinistra, elettori delusi della SPD e della Linke, e solo in piccola parte dall’AfD, che non teme la concorrenza del BSW e ha compensato col voto dei giovanissimi (fascia 16-24 anni) e allargando il proprio bacino di consensi alle città. È normale che l’evidente complementarità antisistema delle due forze politiche risvegli in alcuni i fantasmi di Weimar, non sono dimenticati in Germania i casi di cooperazione tra KPD e NSDAP nel 1931-32, mentre per le strade i militanti delle rispettive organizzazioni paramilitari si uccidevano a coltellate. In autunno sapremo se per crescere e consolidarsi come nuova sinistra di popolo Wagenknecht accetterà (e a quali condizioni) di collaborare a compattare l’argine anti-AfD.
L’Est tedesco, laboratorio della globalizzazione, abbandonato all’ultradestra
L’evoluzione del quadro politico nei Länder orientali della Germania non è solo preoccupante. Si sono commessi fatali errori negli ultimi decenni, ai quali è ora difficile rimediare: a questo punto qualsiasi discussione sull’opportunità di mettere fuori legge e sciogliere l’AfD, il secondo partito tedesco, il primo nell’Est, arriva fuori tempo massimo, il danno per la credibilità del sistema democratico sarebbe immenso, probabilmente irreparabile. L’ultradestra deve essere combattuta politicamente, ma l’establishment repubblicano appare incapace di mettere da parte la propria sufficienza, riconoscere i propri sbagli e apprendere la lezione.
Il primo e più grave errore commesso è stato trascurare la serietà di ciò che andava maturando nei territori della ex DDR, stigmatizzando milioni di tedeschi come incapaci di apprezzare il valore della democrazia perché estranei al processo di maturazione di una società civile consapevole nella “vecchia” Germania Ovest. La rituale e sterile esegesi della mentalità tedesco-orientale non ha fatto che accrescere incomprensione e straniamento reciproco fra tedeschi, e più si è attribuita la postulata disaffezione alla democrazia dei tedeschi orientali alla socializzazione nel realsocialismo, alle scorie dell’indottrinamento comunista ricevuto nei decenni trascorsi dietro il Muro, trascurando gli effetti traumatici del processo di riunificazione, più è andata rafforzandosi all’Est un acido sentimento di un revanscismo antioccidentale, accompagnato dalla costruzione di un’identità tedesco-orientale contrapposto a quella occidentale e anche da una grottesca idealizzazione della DDR come paradiso sociale e modello di società ordinata, armonica, di uno stato sociale autoritario che garantiva una vita pacifica, pianificabile e risolta dalla forza compattante e integrativa di un’ideologia coerente e vincolante per tutti.
Mentre a Ovest la dittatura nazista e la sua eredità sono state elaborate nella società, a Est un dogmatico e formale antifascismo non ha impedito che strutture di pensiero e tradizioni della società nazista venissero trasmesse e continuassero ad avere effetto. Nazionalismo, razzismo e idee reazionarie, il desiderio di ripristino di una società etnicamente omogenea, governata da uno Stato forte, hanno origine nel non avere potuto fare adeguatamente i conti con il passato sotto l’egida paternalistica e deresponsabilizzante della dittatura comunista.
Oltre a queste correnti sotterranee, i drastici stravolgimenti post-riunificazione coincisero con l’instaurazione dell’ordine socio-economico neoliberista. La Germania Est fu utilizzata come una sorta di laboratorio della globalizzazione. La società del lavoro lasciava il posto alla società dei consumi e dei servizi, l’edonista e liquida società postmoderna. I tedeschi orientali non vi giunsero progressivamente come gli occidentali, non venivano dalla modernità occidentale, in evoluzione dagli anni Sessanta. I tedeschi dell'Est si trovarono letteralmente catapultati dall'economia pianificata alla società aperta, al mondo globalizzato alla vigilia dell’era digitale. Fra le conseguenze a lungo termine di questo trauma, che viene trasmesso alle generazioni successive, ci sono una sfiducia nelle istituzioni più pronunciata tra i cittadini dell'Est rispetto a quelli dell'Ovest, una forte insofferenza ai cambiamenti e un ancoraggio più profondo di valori quali la sicurezza e la stabilità.
La strategia della collera per una rivoluzione culturale da destra
Un altro errore molto grave che la politica ha commesso nei decenni post-riunificazione è stato lasciare che paure, rabbia e frustrazioni, riccamente presenti nei territori dell’Est tedesco, venissero monopolizzati e strumentalizzati per realizzare un progetto tanto ambizioso quanto eversivo. Facendo propri concetti dell’analisi marxista come quello di egemonia culturale di Gramsci e le riflessioni sull’ideologia e gli apparati ideologici dello Stato di Althusser, gli ideologi della nuova destra (Götz Kubitschek e Martin Sellner) hanno elaborato le basi teoriche per un’ambiziosa strategia politica che parte dal presupposto che la conquista del potere attraverso la via parlamentare, la politica partitica e la militanza organizzata, siano modelli inefficaci, perché il sistema liberaldemocratico è in grado di neutralizzarli.
Concependo il potere non come istituzioni ma come apparato ideologico che guida il sistema politico, si vuole incidere sulla realtà attraverso la cosiddetta metapolitica, intervenendo cioè sull’immaginario, le narrazioni e i concetti che animano l’attività politica. Per abbattere il “dominio” liberaldemocratico, che eserciterebbe il suo “totalitarismo morbido” attraverso la manipolazione mediatica e la disinformazione, la distrazione delle masse e il controllo delle opinioni, si è preso a modello il Sessantotto come esempio di riuscita infiltrazione ideologica del potere al di fuori della sfera politica e istituzionale, maturando il proposito di attaccare i pilastri del sistema democratico, che non sono i poteri costituiti bensì i media, le scuole, le università, le chiese, le associazioni sociali e sindacali, l’industria culturale.
L’aspirazione a una rivoluzione culturale da destra, chiamata Reconquista, non è una chimera intellettuale. Attraverso l’AfD, un’organizzazione politica priva di espliciti riferimenti al nazismo, ormai partito di massa, i presupposti teorici e strategici sono stati tradotti in concreta pratica politica. Si è diffusa e radicata nella popolazione l’idea che lo Stato tedesco sia segretamente governato da un potere cospirativo e che la democrazia parlamentare, la partecipazione, sia solo simulazione di democrazia, si è stimolata la “coscienza” di una condizione di minorità e subordinazione nel sistema liberale, “smascherato” come repressivo e dal quale urge liberarsi. La democrazia è percepita come vuoto e disordine, incapace di soddisfare il bisogno di identità avvertito dall’uomo orfano delle ideologie come sistemi ideali e valoriali di riferimento. La narrazione complottista della società ingannata, che denuncia il dominio illegittimo delle cosiddette élite globaliste, rappresentate come avide e separate dal “popolo”, contro il quale governano attraverso lo strumento delle crisi (la pandemia, le migrazioni di massa, i cambiamenti climatici, la crisi energetica, tutto è interpretato come macchinazioni del potere), è un surrogato ideologico.
Armate di questi strumenti interpretativi, le masse costringono l’establishment politico a fare propri gli obiettivi della destra radicale. Mettendo sistematicamente in dubbio la legittimità dei principi liberali, si contende l’interpretazione della realtà sociale. Non serve proporre alcuna visione alternativa della società, modelli positivi o proposte per risolvere i problemi reali, basta normalizzare concetti tabuizzati, mobilitare agitando, dipingendo un quadro catastrofico della situazione, esacerbare le tensioni e le divisioni e canalizzare la collera, promettendo il ripristino della ragionevolezza ovvero il tranquillizzante ritorno a un ordine naturale (conservatore).
La Germania del futuro?
La campagna metapolitica della Nuova destra tedesca è da tempo operativa nella realtà: nell’Est tedesco la delegittimazione del sistema liberale come sistema che inganna il cittadino con falsa tolleranza e liberalità è profondamente entrata nel sentire comune, la propaganda politica dell’AfD ( qui convergente con quella della Wagenknecht) non fa altro che raccogliere e alimentare le emozioni che scaturiscono da frustrazioni e insicurezze diffuse, minando le basi del consenso sociale attorno al sistema liberaldemocratico nato in Germania dalla sconfitta del nazismo. Si fa leva sulle paure di declassamento sociale della classe media, che all’Est vede il proprio benessere faticosamente raggiunto minacciato dalle rapide trasformazioni del mondo contemporaneo e ha memoria fresca dell’esperienze traumatiche degli anni Novanta, la disoccupazione di massa prima sconosciuta, la deindustrializzazione dei territori della ex DDR.
La cartina, che in questi giorni circola e impressiona, di una Germania di nuovo divisa (all’Ovest tutta nera, colore del CDU, all’Est tutta blu, colore dell’AfD), è però ingannevole. L’AfD non è più solo il partito dell’Est, perché ha messo radici robuste anche all’Ovest, nella maggior parte dei Länder occidentali, nelle aree più ricche e moderne del paese, ha migliaia di iscritti e si è assestata oltre il 10% dei consensi. La verità che si profila all’orizzonte è che l’Est, campo di prova della globalizzazione, abbia solo anticipato condizioni che si sono ormai estese a tutta la Germania. Le inquietudini dei tedeschi orientali sono oggi molto simili a quelle di tanti tedeschi cresciuti e formati nella Repubblica federale.
Tutte le società occidentali, non solo quelle post-sovietiche, conoscono il senso di insicurezza generato dalla perdita di benessere provocato dalla delocalizzazione dei siti produttivi e lo stesso vale per gli effetti delle epocali trasformazioni causate dall’evoluzione tecnologica, dalla digitalizzazione e dall’urgenza di gestire gli effetti del cambiamento climatico.
Le narrazioni complottiste e di delegittimazione della democrazia liberale attecchiscono ormai ovunque. La rivoluzione culturale da destra non è un progetto solo tedesco e la strisciante erosione della democrazia non è più solo una minaccia. La prospettiva in un futuro non troppo distante è che la Germania orientale di oggi, con le sue insofferenze e i suoi umori, sia esattamente ciò che potrebbe diventare la Germania intera domani.
Immagine in anteprima: frame video DW