L’Etimacello: #Imposta
1 min letturaStravedo. Sono folle d’amore per le parole. Innamorata pazza, dedita, devota. Così delicate, ironiche, salate. Mi sono detta: usiamole, amiamole, impieghiamole tutte nelle loro infinite sfaccettature, ammiriamole da ogni loro scintillante angolazione, stuzzichiamole, spremiamole, mastichiamole. Piangiamole e ridiamole a crepapelle.
Interveniamo di fronte al macello dell’etimologia. Dove il giornalismo è paralitico, dove tecnicismi e inglesismi pietrificano significati e radici, giochiamole: per restituir loro fluidità, valore, potenza. Dignità.
Vivi in Italia? Allora sai (quasi) tutto di lei. Conosci le sue mille sfaccettature: impossibile impedire l’imposita in cambio di prestazioni impellenti. Imposte Imu e immondi importi dovuti, imbellettate bollette inducono insulsi impeti d’ira, perdita di equilibrio da Equitalia. Dal latino imponere, porre sopra, ciò che ci si vede imporre con taumaturgica irriverenza, un gravante dazio, una dannata gravezza gravida di grattacapi. Un canone dietro l’altro, un tributo assai temuto. A porre sopra è il caro Stato (carissimo di questi tempi): un carissimo enorme te stesso che pone una taglia sopra la tua testa, sopra il tuo lavoro, sopra il tuo tempo, come una tassa sul tasso fisso del tuo passo sul mondo. Diretta, indiretta, imposta sul patrimonio o sul pandemonio, imposta municipale, catastale, condominiale, di registro, di bollo, di controllo sul respiro. Aliquota ad alta quota, gettito d’ali, progressività e proporzionalità dell’apertura alare. Puoi volare. Lancio nel blu da una finestra dei piani alti. E sii lieto, allenta le tue catene mentali e rallegrati: il tuo denaro verrà speso per acquistare grandi aerei da guerra che magari, passando di là, ti prenderanno a bordo.