La controversa prima prova dell’esame di maturità
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L’aspetto più paradossale per un esame di Stato è che proponga agli studenti una meta discussione dell'esame stesso. Il riferimento, ovviamente, è alla riflessione critica di carattere espositivo-argomentativo (definizione piuttosto grottesca) richiesta agli studenti riguardo la lettera aperta indirizzata nel dicembre 2021 a Patrizio Bianchi, allora ministro dell’Istruzione. Nella lettera, firmatari illustri esprimevano un loro punto di vista sull’esame di Stato, quello che un tempo si chiamava “esame di Maturità". La risposta dell’ex ministro non ha tardato ad arrivare: attraverso l’agenzia Adkronos, infatti, Bianchi ha rilasciato in mattinata la seguente dichiarazione:
Trovo inaudito che si faccia commentare ai ragazzi un testo che non si sa chi ha scritto, genericamente inviato nel dicembre del 2021 con una frase che dice 'abbiamo letto sui giornali che lei sarebbe intenzionato a.... '. Ma ci vogliamo attenere ai fatti? Gli esami di maturità senza la prova scritta sono quelli al tempo del Covid e abbiamo comunque garantito a tutti un esame – prosegue Bianchi – e l'anno successivo siamo stati noi a ripristinare gli esami scritti e tra l'altro con un testo su Pascoli, uno su Verga e soprattutto un testo bellissimo della senatrice Segre e un testo di Giorgio Parisi, premio Nobel, e ancora uno di Ferraioli sul pianeta Terra: tutti riferimenti grandi e solidi.
Va dato atto all’ex ministro che la prova del 2022 conteneva in effetti alcune tracce non del tutto disprezzabili, seppure con errori grossolani (ricordiamo la polemica causata da un indifendibile quesito su Verga). Quest’anno siamo invece nel complesso davanti a una prova di esame fortemente orientata dal punto di vista ideologico, in cui si riconoscono segnali conservatori. Ad esempio, il fatto che non sia stato menzionato un contributo intellettuale femminile contemporaneo, non solo in letteratura, ma nelle scienze e in tutti i settori a cui sia possibile attingere per compilare una traccia d’esame, su cui si possa riflettere criticamente in un’ottica attuale, è avvilente.
A nessuna scienziata, nessuna scrittrice, filosofa, storica, politica è stata data alcuna rilevanza, se escludiamo una scrittrice controversa. Delle sette tracce proposte, una sola fa riferimento a un testo scritto da una donna, un rapporto piuttosto umiliante per un paese convinto di giocare un ruolo centrale negli equilibri europei. Sul paradosso del primo presidente del consiglio donna dichiaratamente anti-femminista si è detto molto. Non stupisce che l’unica autrice selezionata sia una figura del passato, scomparsa ormai da quasi vent’anni, estremamente polemica e presenzialista da viva, ma di cui pochi conoscono davvero i testi, e che negli ultimi anni della sua vita espresse posizioni alquanto problematiche. Si chiede ai candidati di argomentare un suo scritto che data al 1977 e che propone una riflessione molto elementare sul contributo del singolo alla storia, il genere di tema che si può assegnare a una terza superiore, ma che andrebbe bene anche per un biennio.
Non si tratta dell’unico contenuto sconcertante. La scelta pur discutibile di Quasimodo è per lo meno giustificata dal fatto che il poeta fu insignito del premio Nobel per la letteratura nel 1959. Senza ombra di dubbio si tratta di una figura di primo piano, la cui opera tuttavia da tempo è oggetto di un ridimensionamento nel quadro delle innovazioni del Novecento letterario italiano. Era comunque possibile stabilire un paragone con Leopardi e volendo anche con Pascoli, giocandosi quindi conoscenze piuttosto scontate. Per quanto riguarda il testo argomentativo, la scelta di far convergere l’ormai tradizionale traccia dedicata alle nuove tecnologie sulle opinioni di Piero Angela, divulgatore del secolo scorso, invece che su una figura di ricercatore scientifico di questa nostra epoca può essere considerata come un omaggio alla nota figura scomparsa lo scorso anno, tuttavia lascia trasparire un atteggiamento conservatore, confermato dalla sostanziale assenza di pensatori contemporanei che risalta in questa prova.
Ma entriamo nel dettaglio della traccia che ha offeso l’ex ministro Pietro Bianchi. Già il posizionamento del testo nella ambigua tipologia C, in cui si chiede ai candidati di riflettere criticamente invece che argomentare, suggerisce che la posizione del ministero è di adesione assoluta all’idea che la parte scritta dell’esame di stato sia fondamentale e che dagli studenti ci si aspetti un generico elogio dell’esame. Come si sostiene o confuta una idea? Lo si fa argomentando ovvero compilando un testo argomentativo, che in termini strettamente scolastici significa aderire a una serie di criteri alla base di questa tipologia testuale. Ridurre la consegna alla redazione di una esposizione ordinata ma priva di argomentazione significa né più né meno che chiedere una blanda riflessione su un testo che, come vedremo, contiene non poche criticità. Attenendosi alla traccia, il brano selezionato recita:
[…] che l’esame debba essere una verifica seria e impegnativa è nell’interesse di tutti, in quello dei ragazzi per cui deve costituire anche una porta di ingresso nell’età adulta perché li spinge a esercitarsi e a studiare, anche affrontando quel tanto di ansia che conferma l’importanza di questo passaggio. Solo così potranno uscirne con soddisfazione. È nell’interesse della collettività, alla quale è doveroso garantire che alla promozione corrisponda una reale preparazione. Infine la scuola, che delle promozioni si assume la responsabilità, riacquisterebbe un po’ di quella credibilità che ha perso proprio scegliendo la via dell’indulgenza a compenso della sua frequente inadeguatezza nel formare culturalmente e umanamente le nuove generazioni.
L’idea che lo scritto dell’Esame di Stato rappresenti una porta di ingresso nell’età adulta è smentita sostanzialmente da qualsiasi pedagogista si occupi di valutazione. L’età adulta è segnata da diverse tappe formative, da assunzioni di responsabilità concrete delle quali l’ingresso nel mondo del lavoro, che ricordiamolo, si compie ai sedici anni e non con la maggiore età, rappresenta quella fondamentale.
Per esempio, una vera porta di ingresso nell’età adulta sarebbe il riconoscimento economico del lavoro svolto attraverso i famigerati percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento (ex alternanza scuola-lavoro oggi appunto denominata dall’acronimo PCTO), dicitura con cui si intendono le prestazioni degli studenti fornite dalla scuola alle aziende. Con il sistema attuale non è altro che manodopera gratuita ed è costellata da incidenti sul lavoro che sono la vergogna di una democrazia avanzata. Che compilare in sei ore uno scritto su tracce del tutto casuali e per lo più pensate male da adulti fermi al Novecento sia “interesse della collettività”, poi, è surreale. L'interesse della collettività consiste nel contare nel suo seno soggetti adulti in grado di decifrare il presente, che siano quindi messi nella posizione di svolgere il compito fondamentale da sempre affidato alle nuove generazioni. Non si vede invece quale giovamento possa trarre la società da una formazione che addestra a memorizzare una selezione risibile e scarsamente rappresentativa del passato, cioè quello compreso nelle tristi programmazioni scolastiche (in cui peraltro Quasimodo entra ormai di rado).
Come si possa poi certificare che alla promozione “corrisponda una reale preparazione” chiedendo ai poveri candidati di compilare riflessioni sul pensiero di Piero Angela o Oriana Fallaci rimane un mistero la cui soluzione affideremo ai posteri. Infine, questa idea retriva che “formare culturalmente e umanamente le nuove generazioni” corrisponda a metterli in grado di improvvisare letteralmente un testo di carattere argomentativo o una “riflessione critica”, definizione piuttosto sibillina della attuale tipologia C, equivale semmai all’esatto contrario della formazione umana e culturale, la quale si dovrebbe una buona volta valutare in base a parametri adatti a questa nostra società e non a quella degli anni ’50 del secolo scorso.
Chiediamoci cosa significa, oggi in Italia, essere individui formati in grado di affrontare la vita in un paese caotico, in cui la burocrazia offusca ancora la comprensione di alcune gravi falle di sistema, come ad esempio una normativa sul lavoro che spinge i neolaureati a fuggire all’estero. Oppure cosa significa avere vent’anni in un paese in cui le donne devono ancora scegliere fra maternità e carriera, in cui un governo di destra chiede alle donne di mettere al mondo figli senza fornire un sostegno economico adeguato attraverso politiche di parità salariale e di affiancamento delle madri lavoratrici. Ecco cosa accompagna davvero nell’età adulta: il pensiero critico, ovvero tutto ciò che la scuola non coltiva, troppo impegnata com’è a seguire linee guida ministeriali bizantine, a impegnare un monte orario inverosimile in progetti senza capo né coda, impedendo agli insegnanti dell’area umanistica nel triennio di coltivare quella formazione culturale e umana che davvero prepara ad affrontare il mondo.
Ma la prova che questo esame scritto è disastroso da ogni punto di vista è sotto gli occhi di tutti: siamo nel pieno di un conflitto epocale, ma non molti maturandi italiani sarebbero stati in grado di argomentare la situazione internazionale attuale se non scrivendo un generico panegirico della pace, o abbandonandosi al pensiero malinconico di non contare nulla ispirata dal brano di Fallaci. Da un anno non si discute d’altro che di intelligenza artificiale: eppure ai maturandi non è stata offerta l’opportunità di esprimersi su un tema di cui forse avrebbero saputo a sufficienza. In compenso abbiamo un estratto dal testamento intellettuale di un anziano divulgatore che non ha fatto in tempo a vedere la diffusione di questo fenomeno e a studiarne le peculiarità (mentre sull’argomento abbiamo già pubblicazioni molto serie anche in italiano). Dal punto di vista letterario, l’orientamento attuale è fortemente rivolto verso l’eco-critica: la rosa di testi che si sarebbero potuti proporre agli studenti è vasta (basterebbe citare Zanzotto, ma anche Rigoni Stern per la prosa), invece si è preferita una poesia mediocre sul progresso e un brano da un romanzo sinceramente così demodé che si fatica a commentarne la presenza in un esame nel 2023.
Insomma, si può rispondere alla lettera aperta che l’unica “verifica seria e impegnativa” che conta è quella in itinere, attraverso la quale i docenti delle materie culturali mettono in atto competenze (per usare una parola tanto odiata quanto, forse, mal interpretata) fondamentali e costruiscono ogni giorno nelle aule un dialogo educativo che è alla base della formazione culturale e umana dei futuri adulti italiani. E lo fanno attraverso l’analisi di una miriade di testi, non solo letterari, ma scientifici, speculativi e tanto altro, attingendo a quell’archivio infinito che è la produzione culturale globale, in un’ottica spesso comparata, interdisciplinare e ancorata al presente, anche quando si interpretano i testi della tradizione. Lo si può verificare entrando nelle aule, se i ministri ne sentono il bisogno, visitando le scuole e testando attraverso il dialogo la preparazione e la maturità dei nostri allievi, e soprattutto senza fermarsi alla cronaca che riporta casi limite, per ognuno dei quali esistono centinaia di successi educativi.
Questa idea di scuola normativa, punitiva, limitata a una concezione mnemonica della cultura, ferma a una didattica stantia non fa bene a nessuno. Non è eternando questo rituale, proponendo tracce scollegate dal presente che si testano conoscenze e competenze. Lo si fa curando ogni giorno la formazione degli alunni in gruppi-classe piccoli, situati dentro scuole a norma di legge, con laboratori attrezzati e all’avanguardia, investendo denaro pubblico sulla formazione dei docenti, creando occasioni di scambio con scuole estere. Questo è avere cura delle nuove generazioni, e non somministrare ridicole ordalie fuori tempo massimo.
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