Emma e le nostre gambe importanti
4 min letturaIl giornalista Davide Maggio commenta il look di Emma Marrone durante la serata finale di Sanremo: «Se hai una gamba importante, eviti di mettere la calza a rete». Emma, una carriera che definire brillante è poco, pervasa di impegno sociale e battaglie di inclusività, il desiderio di farsi rappresentante di donne e ragazze imperfette, risponde con un video sul body shaming rivolgendosi non tanto all'autore del commento quanto alle giovanissime colpite da critiche simili, perché non si lascino influenzare. Segue ulteriore replica di Maggio, il commento di personaggi famosi a sostegno di Emma, il trend sui social network e l'interessantissima discussione avente come oggetto domande di rito come “ma non si può dire più niente?”.
Nel frattempo, io, che proprio giovanissima non sono, guardo le gambe di Emma e guardo le mie. Penso: se le gambe di questa cantante attrice di 37 anni sono importanti, le mie cosa sono, illustrissime? Dov'è che ho imparato questa regola assurda, e cioè che se la mia coscia ha una circonferenza di tot centimetri è meglio evitare di mostrarla e che, quando e se decido di farlo perché sono “coraggiosa”, be', meglio scegliere una calza a denari pesanti, magari total black che sfina? Mai fantasie, mai rombi, mai colori squillanti, figuriamoci la calza a rete: perché nella mia testa di donna vengono fuori tutte le associazioni possibili tra gli arti inferiori e gli insaccati, chi l'ha deciso per me? Come mai so che anche se le mie gambe rientrassero in un presunto standard, dovrei comunque e sempre accertarmi che siano depilatissime, liscissime, privissime di adipe, cellulite, buccia d'arancia, ma provviste di thigh gap? Da quanto tempo mi interesso di ritenzione idrica, circolazione, creme, fanghi, bibitoni, elettrostimolazioni? E infine, per chiudere con le domande che rasentano il metafisico, perché tutti questi problemi per un'operazione che ad andar male prende 10 minuti - indossare un paio di collant, quelli che mi piacciono oggi, metterci sopra una gonna, anche quella a mio piacere?
Canta Siwan Clark in The armpit song: «A volte penso che potrei conquistare il mondo, ma prima... Oddio, devo sfoltire le sopracciglia e, oddio, devo depilarmi le gambe, e poi fare la pulizia del viso, tonificare la pelle, imbottire il reggiseno». Intanto, l'articolo Women's body image and BMI: 100 years in the US mostra come, nel corso di un secolo, gli standard di bellezza abbiano sempre più coinciso con la magrezza: negli anni 80 circa il 60% delle modelle di Playboy pesava il 15% in meno rispetto alla norma per la loro taglia, proponendo un indice di massa corporea irrealistico; negli anni 90 e 2000 la situazione è peggiorata, poiché mentre la taglia della donna media ha continuato ad aumentare, lo standard promosso si è fatto sempre più esile. Il fenomeno, come scrive Katelyn J. Gaffney in Negative affects that social media causes on body imaging, oggi è amplificato dai social network con ulteriori distorsioni: i trend cambiano velocemente, quando non è la magrezza sono le curve, anche abbondanti ma solo in particolari punti, oppure i fianchi larghi, il culo, il seno, la vita sottilissima, il già menzionato spazio tra le cosce e via dicendo.
Esempi ne potrei fare a centinaia, ma si tratta sempre della stessa cosa: l'imposizione non solo della gradevolezza estetica alle donne, ma dell'approvazione sociale del loro aspetto, una convalida che ha spesso implicazioni sessuali più o meno esplicite. A quante cose devono pensare le donne? Perché, per chi? La possibilità negata costantemente è vivere il proprio corpo, imparare a conoscerlo e rispettarlo senza prendere in considerazione l'idea di dover aggiustare qualcosa, togliere o aggiungere a cadenza quotidiana, settimanale, mensile, annuale, per piacere a terzi, essere accettate o quanto meno non criticate. In quest'ottica, non ci si chiede quali calze sia lecito indossare: lo sappiamo già tutte, indottrinate sin da ragazzine.
Avevo 18 anni quando ricevetti in regalo dei massaggi per le gambe. Fino ad allora, della conformazione “a pera” del mio corpo, passata di generazione in generazione a tutte le donne della mia famiglia, m'ero curata poco. Cresciuta tra riviste, pubblicità, vari ed eventuali opinionisti della vita reale, sapevo di dover snellire, drenare, nascondere, ma non mi interessava granché. Invece, quella volta, forse ci restai male, forse sentii che chi indicava le mie cosce strabuzzando gli occhi aveva ragione, a ogni modo m'affidai alla massaggiatrice come se chiedessi un miracolo a Santa Rita. L'esperta in linfodrenaggio era una donna piccolissima, molto somigliante a Michelle Pfeiffer, i cui occhi sembravano vetri mal fissati nella cornice di una finestra. Massaggiava e intanto raccontava del marito che se ne era andato, dei problemi di soldi che erano rimasti, del fatto che in 5 sedute non avrei risolto niente. Aveva ragione, conclusi che niente c'era da risolvere. Negli anni, il più grande risultato è stato ritrovarmi coi polpacci di un centravanti del Napoli.
Le mie cosce, la mie gambe, le ho sempre sentite definire buone o forti, mai belle. Ma belle per chi, per cosa? Non me lo chiedo più, ho smesso di ribellarmi alla natura di queste salde, bianchissime colonne che mi portano in giro, mezzo di locomozione più affidabile della metropolitana. Hanno vinto su tisane drenanti e cremine e palestre, su fanghi e bendaggi, su sogni di caviglie sottili e stacchi di coscia, su giudizi, critiche e commenti, hanno vinto su tutto. La questione calze – di qualunque foggia e colore – è solo una e immagino che anche Emma Marrone la pensi così: mi staranno comode sì o no. I signori uomini, intanto, che di solito le calze non le indossano, staranno ancora e ancora lì, a dire a me e ad altre come me cosa dovremmo indossare, come dovremmo mostrarci, quale atteggiamento tenere, cosa fare del nostro corpo per risultare gradevoli alla loro vista.