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La casa è diventata un lusso per pochi: l’emergenza abitativa in Italia

4 Aprile 2023 8 min lettura

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La casa è diventata un lusso per pochi: l’emergenza abitativa in Italia

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Inflazione, caro bollette, calo del potere d’acquisto dei salari. E mancanza di alloggi a prezzo accessibile. Sono questi gli ingredienti dell’emergenza abitativa che si sta verificando oggi in Italia: sono sempre di più le famiglie sotto la soglia di povertà, sotto sfratto o in attesa di una casa popolare. Negli ultimi anni, trovare un’abitazione in affitto è sempre più difficile: la domanda cresce mentre l’offerta fatica a tenere il passo, anche a causa dell’aumento degli affitti turistici e della finanziarizzazione del mercato immobiliare. Soprattutto nelle grandi città, i prezzi sono sempre più alti, spesso non giustificati dallo stato degli immobili. Nel frattempo, nel nostro paese manca ancora un piano casa strutturato, con politiche in grado di rispondere alle necessità delle persone e ai problemi dei centri storici. 

Guardando i numeri, l’emergenza abitativa risulta ancora più evidente. Secondo un’analisi della società di intermediazione e servizi immobiliari specializzata sulle nuove residenze, Abitare Co, condotta nelle otto principali città italiane (Milano, Roma, Bologna, Firenze, Genova, Napoli, Palermo, Torino), per affittare un bilocale di 70 mq oggi si spendono in media 945 euro al mese, escluse le spese condominiali, anche se il prezzo varia molto in base alla zona: si parte da 580 euro nelle aree periferiche per arrivare a 1.070 euro in centro. Anche tra le città ci sono differenze marcate: ai primi posti troviamo Roma e Milano, con una media rispettivamente di 1.365 e 1.300 euro, mentre le città meno care sono Palermo (625 euro), Torino (715) e Genova (750). Mentre i prezzi delle case crescono, i salari invece calano: nel 2021 le famiglie avevano un reddito netto medio annuo di 32.812 euro (circa 2.700 euro al mese), sceso quasi del 2% rispetto all’anno precedente. Anche qui le differenze territoriali sono marcate: si va dai 36.418 euro del nord-est ai 27.053 euro di sud e isole.

Il ministro delle infrastrutture Matteo Salvini qualche mese fa ha annunciato un nuovo piano casa, che dovrebbe coinvolgere Comuni, Regioni ed enti locali. Ma per ora non c’è niente di concreto. “La strada da seguire sarebbe quella di calmierare il mercato degli affitti”, commenta il sindacato degli inquilini Asia-USB. Come? “Sia attraverso una nuova legge che vincoli i canoni a un massimale sul salario reale dei nuclei familiari, sia per mezzo dell’immissione massiccia di nuova edilizia residenziale pubblica da destinare alla tutela del diritto alla casa”.

Affitto versus proprietà

Secondo gli ultimi dati Istat, 18,2 milioni di famiglie italiane (il 70,8% del totale) sono proprietarie della casa in cui vivono, mentre 5,2 milioni (20,5%) sono in affitto e 2,2 milioni (8,7%) hanno un’abitazione in usufrutto o a titolo gratuito. Chi paga un mutuo rappresenta il 12,8% (circa 3,3 milioni di famiglie). Fin dal dopoguerra, in Italia si è registrata una particolare propensione all’acquisto: la percentuale di persone che vivono in affitto o a titolo gratuito è molto inferiore alla media dei paesi europei, che si attesta al 30% secondo i più recenti dati Eurostat. L’affitto è più diffuso tra le famiglie meno abbienti: nel quinto di famiglie più povero, la percentuale di quelle in affitto è del 31,8%, mentre scende all’11,3% tra i nuclei più benestanti. A vivere in affitto sono soprattutto gli stranieri (in questo gruppo la percentuale sale al 68,5%), le persone sole con meno di 35 anni (47,8%) e le giovani coppie senza figli (39,9%).

In che condizioni abitative vivono queste famiglie? Un indicatore rilevante è il tasso di sovraffollamento, che indica la percentuale di nuclei che non dispongono di un numero di stanze adeguato alla loro composizione. In Italia, il tasso di sovraffollamento medio è del 20,2% (superiore rispetto alla media europea del 17,5%), e la percentuale sale al 35,6% per le famiglie in affitto. Un’altra questione da considerare sono le spese per l’abitazione (affitto o interessi passivi sul mutuo, ma anche bollette e condominio): le famiglie in affitto spendono mediamente 579 euro al mese, contro i 263 euro di quelle proprietarie. Questi costi rappresentano una parte significativa del bilancio familiare: le famiglie più povere spendono per la casa il 32,3% delle loro entrate, contro il 6,6% di quelle più abbienti. 

In Italia le famiglie proprietarie sono spesso favorite anche dalle politiche: tra le ultime ad accendere il dibattito c’è stato il Superbonus 110%. Come gli altri bonus edilizi, infatti, anche questa misura ha finito per favorire le imprese edili e chi possiede una casa, dunque indirettamente le fasce più ricche della popolazione. 

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Stop al contributo affitto e al fondo morosità incolpevole

Nel 2023, il governo ha deciso di non rifinanziare il contributo all’affitto né il fondo per la morosità incolpevole, gli unici ammortizzatori sociali che erano rimasti nel settore delle locazioni per tamponare l’emergenza abitativa. Il contributo all’affitto era stato introdotto nel 1998 dalla legge 431, con l’obiettivo di permettere a un’ampia fascia di popolazione di accedere alla casa attraverso una integrazione al canone di locazione: per capire man mano quale fosse la somma necessaria da stanziare, il governo avrebbe dovuto istituire un Osservatorio pubblico presso il Ministero. Eppure questo Osservatorio è stato creato solo l’anno scorso, e ancora non risulta operativo.

Anche per questo, gli stanziamenti per il contributo all’affitto sono stati sempre discontinui e non legati alle reali necessità delle famiglie, ma piuttosto alle esigenze di spesa dei governi. Di anno in anno, si è assistito a una progressiva riduzione della somma erogata: dai 362 milioni di euro del 2000 si è passati ai 9 milioni del 2011, fino ad arrivare a un azzeramento completo nel 2012. Dal 2020, sulla spinta della crisi pandemica, il contributo all’affitto era tornato a livelli elevati, e nel 2022 si era arrivati a 300 milioni di euro: una cifra cospicua, anche se non sufficiente a soddisfare le necessità delle Regioni, che avevano chiesto 500 milioni. Per l’anno 2023, invece, il contributo all’affitto non è stato rifinanziato, così come il Fondo morosità incolpevole, istituito dal decreto legge 102/2013 per sostenere le famiglie che hanno un’ingiunzione di sfratto per morosità, dopo aver smesso di pagare l’affitto a causa della perdita o della consistente riduzione del reddito familiare. 

“Gli inquilini in difficoltà nel pagare il costo sempre più oneroso degli affitti, o sotto procedura di rilascio immobile, non avranno a loro sostegno nemmeno questa misura”, afferma Asia-USB. Eppure su questi strumenti c’erano già opinioni discordanti: lo stesso sindacato degli inquilini li definisce “un regalo alla proprietà immobiliare, vista la portata finanziaria: circa 4 miliardi stanziati da quando è stato istituito il fondo per il contributo all'affitto che, se investiti in nuova edilizia pubblica, avrebbero dato risposte all’emergenza abitativa in modo strutturale, cioè creando almeno 90-100 mila nuovi alloggi pubblici”. Secondo Asia, la scelta di non rifinanziare questi due strumenti lascerà tutti scontenti: “I proprietari non incasseranno più un euro in aiuti indiretti, e gli inquilini non avranno più accesso a fondi per tamponare un eventuale sfratto per morosità incolpevole”.

L’edilizia popolare è al palo

Oggi il patrimonio italiano conta circa 760mila alloggi di edilizia residenziale pubblica. Sono i dati della Federazione italiana per le case popolari e l’edilizia sociale (Federcasa): molti di questi però sono in vendita, anche se mancano i numeri esatti, non essendoci un Osservatorio che monitora la situazione delle case popolari sul territorio nazionale. Per Federcasa, però, servirebbero almeno 300mila alloggi in più. “In Italia servono più case popolari e una nuova idea di edilizia residenziale pubblica”, afferma il presidente di Federcasa, Luca Talluri. “Al tempo stesso occorre investire risorse importanti sul piano periferie, per consentire una riqualificazione vera delle aree ad alta densità abitativa, in termine di vita di quartiere e di qualità dell’abitare, elementi che contraddistinguono la nostra quotidianità. […] La risposta a un disagio abitativo crescente ha inizio nella rigenerazione urbana delle periferie, attraverso la costruzione di nuove abitazioni e talvolta con la demolizione e la ricostruzione degli edifici esistenti”.

Dall’inizio del Novecento, lo Stato italiano ha direttamente finanziato la costruzione di alloggi pubblici: si è cominciato nel 1903 con la legge Luzzati, che ha istituito l’Istituto case popolari (ICP). Nel dopoguerra il piano INA-Casa (o piano Fanfani) ha dato avvio alla realizzazione di alloggi in nuovi quartieri, offrendo la possibilità a migliaia di famiglie di migliorare le proprie condizioni abitative. Nel 1962 la legge 167 ha introdotto i PEEP (Piani per l’edilizia economica e popolare), e l’anno successivo è nata la Gescal (acronimo di Gestione case per i lavoratori), un fondo destinato alla costruzione e assegnazione di case, subentrato al piano INA-Casa.

Negli anni Novanta si apre invece la stagione delle dismissioni degli alloggi popolari, con l’obiettivo di far entrare liquidità nelle casse dello stato e risanare così il debito pubblico: nel 1993 la legge 560 prevede piani di vendita fino al 75% del patrimonio abitativo pubblico. Nel 2014 la legge 80 (nota anche come Piano casa Renzi – Lupi) stabilisce un nuovo piano di dismissioni destinato a operare ad ampio raggio, anche in deroga alla legge del 1993. L’interesse si sposta gradualmente dall’ERP (edilizia residenziale pubblica) all’ERS (edilizia residenziale sociale o social housing): il ruolo dell’attore pubblico diventa quello di promuovere interventi “socialmente orientati” da parte di attori privati, attraverso incentivi e detrazioni fiscali; contemporaneamente, i privati sono sempre più coinvolti nella definizione delle politiche abitative.

Turistificazione e finanziarizzazione del mercato immobiliare

Tra le cause dell’attuale crisi abitativa ci sono anche due fenomeni di dimensione globale, le cui ripercussioni colpiscono in primis le comunità locali: la turistificazione e la finanziarizzazione del mercato immobiliare. Con turistificazione si intende un processo che cambia il volto delle città e progressivamente favorisce gli interessi dei turisti a discapito delle esigenze degli abitanti stabili: questa tendenza ha visto un’accelerazione dopo il 2017, quando la legge 96 ha liberalizzato gli affitti brevi. 

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“Oltre a essere lo strumento con cui le città riorganizzano spazi, politiche ed economie urbane attorno alle istanze di viaggiatori con una disponibilità economica e alla ricerca di esperienze, l’ideologia del turismo è anche la convinzione che lo spazio urbano debba essere trasformato secondo questi fini e che le esigenze dei turisti debbano essere prioritarie rispetto a quelle di qualsiasi altro utente presente o potenziale della città”, scrive Samuel Stein, autore di Capital City: Gentrification and the Real Estate State. “Oltre alla costruzione di nuovi hotel o alla ristrutturazione di quelli vecchi, le città hanno assistito alla trasformazione – spesso facilitandola – delle case in hotel attraverso siti web come Airbnb. Sia attraverso la promozione attiva della “condivisione della casa” che attraverso l’applicazione molto lassista di norme che dovrebbero frenare la trasformazione di affitti a lungo termine per residenti in alloggi a breve termine per turisti, molte città hanno incoraggiato il ripensamento della funzione delle case. Per gli affittuari, questo significa fare propria la mentalità del locatore e trasformare la propria abitazione in una macchina da soldi”.

Parallelamente, il processo di finanziarizzazione del mercato immobiliare ha trasformato la casa in un asset finanziario come tanti altri, rendendola oggetto di compravendita in borsa come altri tipi di merce. “Il pericolo è che in questi processi, dove i grandi investitori hanno grandi expertise e grandi fondi, il pubblico non assuma il ruolo di guida e gli attori finanziari abbiano un impatto molto forte sulla governance del territorio, che potrebbe perdere di vista il bene comune”, ha spiegato l’esperta di mercato immobiliare, governance e politiche di sviluppo del territorio Veronica Conte, ricercatrice della Research Foundation Flanders in Belgio, a Irpi media. “I processi di finanziarizzazione portano infatti a una decontestualizzazione della pianificazione urbana, che risponde sempre più a bisogni globali e sempre meno alle necessità della comunità”.

Immagine in anteprima via Roma Today

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