Le elezioni di metà mandato negli Stati Uniti e le conseguenze sulle politiche climatiche e la guerra in Ucraina
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Il prossimo 8 novembre gli Stati Uniti tornano alle urne per le elezioni di metà mandato e sebbene espressioni come “elezioni storiche” o “gravide di conseguenze” si usino a quasi ogni tornata elettorale, questa volta forse si tratta di formule appropriate.
Come in ogni midterm, gli americani voteranno per tutta la Camera dei rappresentanti, un terzo dei senatori (35) e poi per 36 governatori. Ciascun risultato avrà conseguenze importanti. Non parliamo della guerra in Ucraina, seppure l’ala più smaccatamente trumpiana del Partito Repubblicano tenda a ripescare la vicenda di Hunter Biden, il figlio di Joe ed ex consulente della compagnia ucraina Burisma, o sia critica verso il sostegno fornito a Kiev.
Un tweet poi cancellato del CPAC, l’organizzazione conservatrice più visibile e forte che ha ospitato Giorgia Meloni come speaker alla convention dello scorso febbraio, recitava più o meno:
“La Russia si annette i territori occupati dall’Ucraina mentre Biden e i Democratici continuano a mandare miliardi dei contribuenti a Kiev e viviamo un’invasione al confine Sud. Quando la smetteremo di fare regali all’Ucraina e metteremo #AmericaFirst?”
Se si eccettua questa pur cospicua ala ultra nazionalista/isolazionista, il Partito Repubblicano ha fino a oggi sostenuto il presidente nell'approccio alla guerra in Ucraina. Anche se l’opinione pubblica, specie quella repubblicana, comincia a nutrire dei dubbi: se a marzo gli elettori del "Grand Old Party" (GOP) che ritenevano che gli USA stessero facendo troppo per Kiev erano il 9%, a settembre erano diventati uno su tre. Per gli USA e Biden è anche vitale mostrare di avere la capacità di tenere assieme gli alleati in una fase tanto complicata. Su questo insiste Trump a ogni uscita pubblica: nei suoi anni al potere ha flirtato con gli avversari e martellato gli alleati, ottenendo in cambio un atteggiamento meno esplicitamente aggressivo da parte cinese o russa. Una pattuglia nutrita di trumpiani, parte di una maggioranza repubblicana alla Camera, potrebbe rendere anche la partita ucraina più complicata di quanto non sia già. Tanto più che una trentina di eletti della sinistra democratica ha scritto una lettera a Biden chiedendo di assumere un ruolo diplomatico più assertivo perché, sostengono, il ruolo americano è tale per cui non si può solo pensare di aspettare che qualcuno vinca o immaginare un tavolo negoziale senza la presenza statunitense. La lettera, che forse sarebbe stato il caso di rendere pubblica dopo il voto di metà mandato, è stata ritirata per il timore della sinistra di essere usata dal Partito Repubblicano per mostrare che il posizionamento di Biden non funziona.
Ma fino a oggi non è l’Ucraina il centro della campagna elettorale, nei comizi e negli spot TV si parla di criminalità, economia, diritti civili, natura della democrazia. Tradotto in cose: i Repubblicani parlano di inflazione, economia che singhiozza, aumento della piccola criminalità e invasione di migranti - c'è un problema reale di gestione dei flussi di irregolari alle frontiere, ma nessuna invasione. Obiettivo è segnalare che "le cose non vanno bene", anche se non è esattamente così: l'inflazione sembra essere figlia di un eccesso di domanda e nell'ultimo mese il PIL è cresciuto in maniera soddisfacente. I Democratici segnalano come e quanto siano pericolose alcune crociate e teorie del tutto infondate sul "furto delle elezioni" portate avanti dalla maggioranza del Partito Repubblicano anche dopo le violenze dell'assalto al Congresso del 6 gennaio e su cui alcuni tra loro fanno campagna elettorale anche nel 2022 rifiutandosi di dire se concederanno la vittoria al loro avversario in caso di sconfitta nell'urna.
Nell'ultima settimana sia il presidente Biden che il suo ex capo Barack Obama sono scesi in campo con un nuovo argomento: badate che una maggioranza repubblicana è pronta a tagliare la social security e Medicare - le pensioni e la sanità pubblica per gli anziani. Un messaggio rivolto a lavoratori e minoranze, per mobilitarli, ricordare loro perché è importante andare al voto.
Secondo Gallup, le priorità dell'opinione pubblica sono l'economia, l'aborto, il crimine e le regole per il possesso di armi. La preoccupazione per l'economia è leggermente scesa, ma resta il tema largamente più importante, l'aborto rimane stabile. Il Pew research center segnala preoccupazioni e priorità simili.
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Dopo che la Corte Suprema ha ribaltato la propria stessa sentenza in materia di diritto di aborto, le assemblee legislative in mano repubblicana hanno preso ad approvare leggi statali che lo cancellano e allo stesso modo hanno lavorato per restringere il diritto di voto o attribuire nuovi poteri ai funzionari eletti che hanno mandato di soprassedere alle operazioni elettorali. A tutto questo si aggiungono poi le battaglie su cosa e come si insegna nelle scuole, sul divieto di "libri gender" per bambini. I Democratici, insomma, si battono per combattere questi pericoli reali (si vedano i numeri sul trumpismo dei candidati, più avanti) e segnalano alcune iniziative dell'amministrazione Biden: la cancellazione del debito studentesco, la grazia ai detenuti per possesso di marijuana, l'iniziativa per abbassare il prezzo dei medicinali, le infrastrutture. I Repubblicani puntano tutto sul galvanizzare il proprio elettorato (in questo la sentenza anti aborto è un pezzo importante per mobilitare gli evangelici) e sul malessere percepito.
Un voto in bilico
Al momento la maggioranza in entrambi i rami del Congresso è in mano democratica, i sondaggi indicano che è molto probabile che il Partito Repubblicano torni maggioranza alla Camera perché in leggero vantaggio e perché hanno ridisegnato i distretti in maniera vantaggiosa, in alcuni casi dividendo il voto delle minoranze per farlo pesare meno, in altre concentrandolo per perdere un seggio e guadagnarne un altro.
Per il Senato è più difficile prevedere come andrà a finire, i seggi dove i sondaggi indicano una forbice molto stretta sono diversi, in alcuni è il senatore uscente repubblicano a essere in difficoltà, in altri il democratico, diversi sono i seggi dove il senatore uscente va in pensione. I seggi in mano ai Repubblicani sono 21 e una parte di questi vinti per un soffio, perciò è più probabile che sia il partito di Trump a perderne alcuni, i 14 Stati dove i senatori sulla scheda sono Democratici hanno anche votato per Biden due anni fa. Ma siccome il voto di maggioranza è uno solo, basta un leggero spostamento o un giorno di pioggia violenta in una contea per cambiare le cose.
Elenchiamo i seggi in bilico sapendo che i sondaggi sono cambiati nel tempo e sono destinati a cambiare ancora: Florida, Ohio, North Carolina, Nevada, Georgia, Wisconsin, Pennsylvania, Arizona, New Hampshire, Colorado - in una scala dove la Florida è il più probabile repubblicano e il Colorado il più democratico. Allo stato, Wisconsin, Ohio e conferma in Georgia sarebbero colpi per i Democratici, il Nevada per i Repubblicani. Nel cosiddetto generic ballot (ossia chi voteresti in astratto) i Repubblicani sono in leggero vantaggio, ma in un sistema uninominale maggioritario non si tratta di un indicatore particolarmente efficace: molto dipende da chi sono i candidati e diversi tra quelli scelti nelle primarie del Partito Repubblicano sono oggettivamente estremisti e potrebbero spaventare un elettore moderato. Questa almeno è una delle scommesse degli strateghi democratici. Al Senato le cose sono diverse rispetto alla Camera perché il candidato “estremo” si confronta con l’elettorato di tutto lo Stato e non in un distretto elettorale molto più piccolo e omogeneo che magari vota a larghissima maggioranza per un partito o l’altro – un caso famoso: nel 2018 per Ocasio Cortez il vero ostacolo fu vincere le primarie, non il seggio, stesso discorso vale per tanti candidati trumpiani oggi. Se la sentenza della Corte Suprema sull'aborto aveva dato un qualche slancio ai candidati democratici al Senato, a fine ottobre le cose sono tornate molto incerte.
Le elezioni di metà mandato tendono a premiare il partito che non siede alla Casa Bianca: nel dopoguerra solo due volte su diciannove il partito che esprime il presidente ha guadagnato rappresentanti e solo in tre occasioni dei senatori. Se l’esito di questo 2022 appariva scontato alcuni mesi fa, a partire dalla sentenza della Corte Suprema che ribalta Roe vs Wade, cancellando il diritto all’interruzione di gravidanza come diritto federale, le cose sono divenute più incerte.
Le competenze statali rendono importante la partita dei governatori: nel 2020 i responsabili repubblicani delle commissioni elettorali certificarono la vittoria di Biden, ma diverse figure che oggi corrono per il partito di Trump, se elette, potrebbero comportarsi in maniera diversa nel 2024. Chiunque vinca la maggioranza, siamo certi che a Washington sbarcheranno più rappresentanti che utilizzano in maniera cinica la teoria fasulla in ogni suo aspetto e smentita da decine di funzionari elettorali, anche repubblicani, e da decine di tribunali secondo la quale Trump avrebbe vinto le elezioni - teoria che l’ex presidente continua a sostenere nelle sue apparizioni pubbliche.
Un’analisi del Washington Post segnala che 299 candidati a cariche nazionali o statali hanno scelto di sostenere le accuse di furto elettorale portate da Trump al sistema democratico USA o almeno accennato a dubbi sul voto del 2020, 173 tra questi verranno quasi certamente eletti, il che pone più di un problema di tenuta delle istituzioni democratiche in caso di maggioranza repubblicana alla Camera e voto contestato nel 2024. Il candidato Segretario di Stato in Arizona vorrebbe il diritto statale a negare il risultato di un’elezione e se eletto presiederebbe alla riscrittura delle regole prevista, il potenziale governatore della Pennsylvania, Mastriano, ha partecipato all’assalto a Capitol Hill.
La figura di Trump e la vicinanza o distanza dall’ex presidente da parte dei candidati Repubblicani è un aspetto centrale di questa campagna. Spesso l’essere vicini all’ex presidente è indispensabile per vincere primarie alle quali partecipa la base più motivata del partito, ma può essere un handicap nel voto generale. I Repubblicani avevano maggiori chance di prendere la maggioranza in Senato, ma una serie di scelte pessime rendono questa impresa difficile. In Georgia e Pennsylvania per citare i casi più clamorosi, i candidati sono l'ex giocatore di football Herschel Walker, un passato di violenze familiari che avrebbe pagato l'aborto a una ex compagna e oggi è paladino anti abortista, e Mehmet Oz, medico televisivo che vive in New Jersey e durante il picco dell'epidemia ha consigliato cure improbabili.
Cosa dicono i sondaggi
Quanto e se peseranno questi candidati nel voto generale? Non molto, e molto. Nonostante il passaggio di alcune leggi importanti ottenute mediando con i Repubblicani o con l’ala destra democratica in Senato, i risultati dei pacchetti infrastrutture o clima non sono tangibili in pochi mesi, l’inflazione e il clima di incertezza economica e generale rendono alcune parole d’ordine repubblicane accattivanti.
Si tratta di temi che non favoriscono i Democratici che infatti, secondo Gallup, perdono il primato di approvazione che tendono ad avere da molto tempo. Al contempo, per i Repubblicani le chance di riprendersi la maggioranza in Senato sono minate soprattutto da alcune figure disastrose sostenute da Trump e avversate dal leader Mitch McConnell. Non certo un moderato, ma si tratta della figura che oggi incarna il nemico numero uno dell’ex presidente, perché non lo ha sostenuto dopo il 6 gennaio e perché è convinto che con candidati “normali” il partito dell’elefante avrebbe ottenuto la maggioranza senza problemi in entrambi i rami del Congresso.
I sondaggi e le rilevazioni sui temi cari agli americani sono in relativa contraddizione con il panorama politico sociale USA che ha rigettato in maniera inequivoca gli anni di Trump e che, come abbiamo visto, potrebbe bocciare molti candidati trumpiani (che pure sono la maggioranza). Paradossalmente un presidente visto dalla sinistra democratica come moderato non riesce a garantirsi il consenso di un’America che si dice stanca della polarizzazione eccessiva e della guerra di posizione permanente tra i due partiti.
L’altro paradosso è che la polarizzazione, la trasformazione dei partiti riguarda soprattutto la destra: il 36% dei candidati alle primarie repubblicane si dichiara “MAGA republicans”, mentre solo il 6% moderato; sul fronte opposto il 55% è “mainstream democrat” contro l’1,5% di “socialisti Democratici”. Gli elettori repubblicani tendono a pensare con frequenza che la polarizzazione porterà a violenza politica. Non è chiaro se perché credono a teorie del complotto su un possibile colpo di Stato o se immaginano altri assalti al Campidoglio. In generale, nonostante i candidati dell’ala sandersiana del partito non siano andati particolarmente bene alle primarie, il Partito Repubblicano ha l’enorme capacità di rappresentare il partito di Biden come “comunista e sandersiano”. I Democratici, invece, insistono sui pericoli (reali) per la democrazia e per l'assalto in corso ad alcuni diritti acquisiti. La differenza è che guardando ai dati e ai comportamenti, i secondi hanno qualche elemento più per corroborare la propria tesi.
Il rischio anatra zoppa
Le elezioni di metà mandato sono molto meno partecipate delle presidenziali e questo implica che l’entusiasmo, la voglia di votare per o contro è determinante. Per questo, forse, di solito è l’opposizione a vincere. Ma, come per lo scontro Biden-Trump nel 2020, però, l'affluenza del 2018 è stata di 10 punti superiore alla media dei midterm nei 40 anni precedenti (50% contro 39,4%). C’è quindi da calcolare l’effetto Trump (o polarizzazione, pericolo, paura) anche sul voto 2022. Un esercizio difficile. A chi si rivolgono i partiti per alimentare la partecipazione e spostare qualche swing voter (quegli elettori che cambiano voto e che spesso sono gruppi omogenei: le donne bianche di mezza età, gli operai di certi Stati, ecc.) che potrebbe essere determinante?
Partiamo dalla constatazione che c’è uno svantaggio strutturale democratico dovuto al fatto che al midterm i gruppi che votano a larghissima maggioranza per il partito di Biden votano meno, e questa sembra essere una tendenza che si ripeterà nonostante i candidati Dem siano progressivamente più simili alle giovani generazioni (per età, appartenenza, identità di genere). Discorso diverso per le donne, che siano esse bianche, afroamericane, ispaniche, asiatiche, giovani o anziane votano più degli uomini.
Lo sforzo democratico sarà quello di battere forte sull’aborto per mantenere il vantaggio che hanno, lo sforzo repubblicano sarà invece quello di portare alle urne il proprio elettorato bianco e non giovane e di recuperare qualche punto percentuale tra le donne bianche. Il target è quello delle donne bianche delle enormi aree suburbane, elettrici tendenzialmente moderate ma non estreme, non contrarie a qualche limite alla circolazione di armi e che non sono contrarie all’aborto - a dire il vero i favorevoli all’aborto sono in maggioranza in ogni categoria possibile, donne (63%), uomini, giovani e anziani, bianchi e minoranze.
Ma basterà l’aborto? E parlerà ai giovani la grazia concessa da Biden alle persone in carcere federale per possesso di marijuana? E le misure sul clima galvanizzeranno i giovani o li deluderanno? Riusciranno i democratici in quel che resta dei giorni di campagna elettorale a convincere l'elettorato di aver prodotto molti risultati legislativi promessi anche se gli effetti di molte misure ancora non si vedono e se il prodotto finale non è così radicale come quello proposto da Biden nel 2020? Viceversa, riusciranno i Repubblicani a spaventare le elettrici con il ritorno del crimine, dell’immigrazione e dell’inflazione?
Resta da dire perché queste elezioni sono davvero importanti. Innanzitutto perché ci diranno quanto e come la figura di Trump sia divenuta il centro dell’appeal elettorale repubblicano. Se decine di trumpiani improbabili, e non solo di comodo, che sostengono che le elezioni del 2020 siano state truccate arriveranno a Washington la qualità delle istituzioni democratiche USA subirà un colpo aggiuntivo.
Allo stesso modo - ma c’è da attendere una sentenza della Corte Suprema - il potere degli Stati sul processo elettorale rischia di creare nuove battaglie legali, che pure non farebbero bene al sistema. Sullo sfondo due temi enormi come il cambiamento climatico e la guerra in Ucraina. Con questo Partito Repubblicano sarebbe molto difficile per Biden proseguire sulla timida strada intrapresa sul fronte climatico, mentre non sappiamo che torsione prenderebbe la politica estera USA - criticabile quanto si vuole. Il rischio per i Democratici è passare due anni con un presidente anatra zoppa impossibilitato a produrre risultati, e discutere dell’impeachment a Joe Biden o di altre questioni improbabili. I quattro anni di Trump finiti con l’assalto alle istituzioni del 6 gennaio sono stati una ferita seria per la democrazia americana e una distrazione da problemi più grandi. Tornare a quel clima sarebbe un altro colpo per un edificio che mostra diverse crepe - crepe che riguardano e coinvolgono anche le democrazie europee.
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