Se vince Trump
|
Se il primo mandato di Trump è stato contraddistinto da caos, malagestione e incompetenza – lo stesso ex presidente, del resto, nemmeno si aspettava di vincere – il secondo sarebbe preparato fin nei minimi dettagli e imprimerebbe una svolta autoritaria senza precedenti nella storia statunitense.
A dirlo sono analisti politici, storici e diversi ex membri di spicco della prima amministrazione trumpiana.
L’ex segretario della sicurezza interna e capo dello staff John Kelly, ad esempio, ha detto al New York Times che Trump è un “fascista” che in privato elogia Adolf Hitler, non capisce il principio basilare della separazione dei poteri, disprezza lo stato di diritto e “governerebbe come un dittatore, se ne avesse la possibilità”.
Le dichiarazioni di Kelly sono state poi sottoscritte da altri 13 ex funzionari governativi. “Siamo da sempre dei repubblicani al servizio del nostro paese”, si legge nella lettera aperta, “ma ci sono momenti storici in cui è necessario mettere il paese davanti al partito. Questo è uno di quei momenti”.
Anche il generale Mark Milley, ex capo degli stati maggiori riuniti, ha descritto Trump come un “fascista fino al midollo” nonché la “persona più pericolosa per il paese”.
Pur respingendo queste caratterizzazioni, il candidato repubblicano ha condotto una campagna elettorale violenta e cupa, costellata di teorie del complotto razziste (su tutte quella degli haitiani che mangiano animali domestici) e propositi eversivi.
Quest’ultimi sono completamente alla luce del sole, dentro vari piani stilati da think tank ultraconservatori – tra cui il famigerato “Progetto 2025”, da cui Trump ha cercato di distaccarsi in modo molto poco convincente.
La posta in gioco di queste elezioni statunitensi, insomma, non potrebbe essere più elevata. Non si tratta semplicemente del confronto tra due candidati che hanno idee diverse su questioni sociali, politiche ed economiche; in ballo c’è proprio la tenuta democratica del paese.
Come ha scritto in un editoriale Jeffrey Goldberg, direttore della rivista The Atlantic,
Un secondo mandato di Trump farebbe immediatamente piombare il paese nella peggiore crisi costituzionale dai tempi della guerra civile. […] Il paese ha avuto un governo funzionale anche nei tumultuosi anni Sessanta oppure durante la Grande Depressione. Ma un governo non può funzionare se alla sua guida c’è un imputato o un condannato, che per sopravvivere deve per forza di cose sbarazzarsi dello stato di diritto.
Il ritorno di Trump alla Casa Bianca, chiosa Goldberg, porterebbe gli Stati Uniti – e il mondo – verso territori inesplorati e scenari impensabili solo fino a qualche anno fa.
Ma quali sono questi scenari? Basandomi su articoli, dichiarazioni dello stesso Trump e i progetti delle associazioni filotrumpiane, qui di seguito ho raccolto quelli più significativi – e quelli più preoccupanti.
Gli scenari di una seconda presidenza Trump
La deportazione di massa delle persone migranti
Iniziamo da una delle promesse ripetute fino allo sfinimento da Trump nei suoi comizi: quella di “far partire la più grande deportazione di massa nella storia del paese”.
Secondo varie stime, si tratterebbe di ben undici milioni di persone – una cifra immensa, che pone enormi problemi logistici, giuridici e finanziari. Le spese per portare avanti una simile operazione sarebbero a dir poco astronomiche: stando a un rapporto della ong American Immigration Council, per deportare soltanto un milione di migranti irregolari si andrebbero a spendere 88 miliardi di dollari all’anno.
Poi ci sono i costi umani: anche se questo piano non dovesse riuscire appieno, i migranti sarebbero comunque sottoposti a continui rastrellamenti delle forze dell’ordine e finirebbero in centri di detenzione costruiti da un’eventuale amministrazione Trump.
Oltre a ciò, la stretta sull’immigrazione si concretizzerebbe in un’altra versione del “Muslim ban” (il divieto di ingresso ai richiedenti asilo di determinati paesi a maggioranza musulmana) e nella revoca dello ius soli per i figli dei migranti irregolari.
In generale, l’approccio al fenomeno sarebbe improntato al nativismo più sfrenato. Del resto, come ha affermato il consigliere politico Stephen Miller, “l’America è per gli americani e soltanto per gli americani”. E detto da uno che ha strettissimi legami con i suprematisti bianchi, si capisce benissimo chi siano i “veri” americani.
La persecuzione degli avversari politici e dei “traditori”
Nel marzo del 2023, prima ancora che iniziasse la campagna elettorale, Trump si era rivolto alla platea del CPAC (la più importante convention conservatrice degli Stati Uniti) con queste parole:
Nel 2016 avevo detto che sarei stato la vostra voce. Oggi aggiungo che sarò il vostro guerriero. Sarò la vostra giustizia. E per quelli che hanno subito torti e sono stati traditi: sarò la vostra vendetta.
Trump ha successivamente chiarito come intende consumare la sua “vendetta”. In un comizio del novembre del 2023 ha dichiarato che “estirperemo i comunisti, i marxisti, i fascisti e gli estremisti di sinistra che si annidano come parassiti dentro i confini della nostra nazione, mentendo e truccando le elezioni”.
In un’intervista dello stesso mese ha fatto intendere che, in caso di vittoria, userebbe l’FBI e il Dipartimento di giustizia per arrestare i suoi oppositori politici – incluso il presidente Joe Biden – e gli ex alleati che non hanno condiviso le bugie sugli inesistenti brogli delle presidenziali del 2020.
Più recentemente Trump ha riservato molti attacchi ai cosiddetti “nemici interni”, ossia chiunque osi mettergli i bastoni tra le ruote. In un’intervista a Fox News è arrivato a dire che il 5 novembre bisognerebbe schierare l’esercito o la Guardia Nazionale nel caso in cui questi “nemici” architettassero brogli per rubargli le elezioni.
Come ha annotato il New York Times, non era mai successo che un “candidato presidenziale, nonché ex presidente, minacciasse l’utilizzo dell’esercito contro dei cittadini americani semplicemente perché si oppongono alla sua candidatura”.
L’utilizzo dell’esercito per mantenere l’ordine pubblico
Del resto, la repressione del dissenso è uno dei punti chiave del “Progetto 2025”.
Nel documento finale di oltre novecento pagine si caldeggia esplicitamente l’impiego di soldati dell’esercito e di agenti federali per il “mantenimento dell’ordine pubblico” sul suolo statunitense.
Lo schieramento potrebbe avvenire attraverso un ordine esecutivo presidenziale che applica l’Insurrection Act – una legge del 1807 (aggiornata al 1870) che permette al presidente di mobilitare l’esercito federale in casi eccezionali.
Trump voleva utilizzarla già durante le rivolte del 2020 scatenate dall’omicidio di George Floyd, ma alla fine aveva rinunciato anche per le resistenze interne alla sua prima amministrazione.
Era comunque riuscito a forzare la mano in alcune città governate dai democratici. A Portland, ad esempio, si erano visti agenti in tenuta paramilitare che giravano con furgoni neri senza insegne e rapivano i manifestanti per strada.
In retrospettiva, quelle scene erano un assaggio di quello che potrebbe succedere durante un secondo mandato. In caso di vittoria, infatti, Trump cercherebbe di finire il lavoro e di imporre la sua volontà politica – con le buone o, ancora meglio, con le cattive – soprattutto sugli stati guidati dai democratici.
La messa al bando dei movimenti di protesta
Per restare sul tema della repressione, esistono piani molto dettagliati per colpire determinati movimenti di protesta – ad esempio quello filopalestinese.
Uno di questi si chiama “Progetto Ester: una strategia nazionale per combattere l’antisemitismo” e l’ha compilato il think tank ultraconservatore Heritage Foundation, che ha avuto un ruolo chiave anche nel “Progetto 2025”.
Gli autori sostengono che qualsiasi posizione pro-Palestina sia “antisemita, anti-israeliana e anti-americana”, perché tutte le proteste sarebbero in realtà guidate da Hamas. Il movimento stesso – che nella realtà è molto composito e comprende anche associazioni ebraiche antisioniste come Jewish Voice for Peace – viene definito “Rete di supporto ad Hamas” (“Hamas Support Network”).
L’obiettivo del piano è mettere sostanzialmente fuorilegge questa “Rete” attraverso il ricorso a leggi anti-terrorismo e anti-criminalità organizzata, l’infiltrazione nei vari gruppi e la messa al bando di manifestazioni e proteste dentro e fuori le università – una mossa che violerebbe il Primo Emendamento in nome della presunta “sicurezza nazionale”.
In sostanza, il “Progetto Ester” è una forma di neomaccartismo. E proprio come succedeva all’apice della paranoia anticomunista, i criteri per circoscrivere la minaccia sono talmente vasti e arbitrari che chiunque può finire dentro la lista dei sostenitori di questa fantomatica “Rete”.
L’occupazione dello Stato federale, dalla burocrazia alla giustizia
Come ha detto John Kelly al New York Times, durante il primo mandato Trump “non ha mai accettato il fatto di non essere l’uomo più potente al mondo, e per potere intendo l’abilità di poter fare qualsiasi cosa in qualsiasi momento lo volesse lui”.
Per ovviare a questa limitazione, il “Progetto 2025” prevede tutta una serie di misure per “orbanizzare” gli Stati Uniti e mettere il governo interamente al servizio dell’ex presidente.
Lo smantellamento dei contrappesi costituzionali avverrebbe sulla base di una controversa dottrina giuridica chiamata “esecutivo unitario”. Secondo questa teoria, il presidente degli Stati Uniti eserciterebbe un potere pressoché totale su ogni ramo della burocrazia federale. Di conseguenza, Trump potrebbe licenziare a piacimento qualsiasi dipendente pubblico non allineato a lui e rimpiazzarlo con persone di provata fedeltà.
Nelle intenzioni dei proponenti del “Progetto 2025”, nessuna agenzia federale sarà risparmiata da questo processo di “trumpizzazione” forzata; nemmeno il Dipartimento di giustizia e l’FBI, che perderanno la loro autonomia e saranno sottoposte all’autorità del presidente, che potrà dunque disporne a suo piacimento.
Anche il sistema giudiziario verrebbe piegato al volere di Trump. Un secondo mandato non solo cementerebbe ulteriormente la presa trumpiana sulla Corte Suprema, ma porterebbe a estese purghe di giudici federali sgraditi – quelli, insomma, che fanno ancora prevalere la Costituzione sulle norme trumpiane.
Per Trump la limitazione del potere giudiziario è anche e soprattutto una questione di sopravvivenza personale: l’ex presidente è già stato condannato in uno dei quattro procedimenti penali che lo riguardano.
E come ha detto Michael Waldman, presidente della ong Brennan Center for Justice, “se da presidente vuoi infrangere la legge e farla franca, devi come minimo assicurarti che i tuoi complici siano dei funzionari pubblici”.
L’attacco al diritto all’aborto e ai diritti riproduttivi
In un recente comizio in Wisconsin, Donald Trump ha assicurato che da presidente sarà “un protettore delle donne”, salvo poi aggiungere una frase che suona come una minaccia: “che lo vogliano o meno”.
Naturalmente, il candidato non ha alcuna credibilità sul tema. Al contrario: è un uomo che è stato accusato di violenze sessuali da decine di donne, è stato descritto come uno stupratore in causa per diffamazione ed era anche un grande amico di Jeffrey Epstein, il miliardario accusato di traffico di minori e abusi sessuali prima di suicidarsi in carcere nel 2019.
Con queste premesse, un eventuale secondo mandato sarebbe a dir poco catastrofico per quanto riguarda i diritti sessuali e riproduttivi – a cominciare dall’aborto.
Da un lato Trump ha rivendicato il rovesciamento della sentenza Roe v. Wade, che ha eliminato il diritto all’aborto a livello federale lasciandone la regolamentazione ai singoli stati. Dall’altro lato, il “Progetto 2025” contempla una serie di misure che di fatto vieterebbero l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) sull’intero territorio statunitense.
Il documento punta ad arrivarci senza una legge federale – una misura esclusa dallo stesso Trump – ma in modo molto più subdolo.
Il primo passo sarebbe l’applicazione di una vecchia legge del 1873 (il Comstock Act) che proibiva la spedizione di materiale considerato “osceno”, tra cui i materiali per il controllo delle nascite o gli aborti. La “resurrezione” della norma – disapplicata da oltre un secolo – priverebbe così gli ospedali e le cliniche delle pillole e degli strumenti per effettuare IVG.
Il “Progetto 2025” propone poi la revoca dell’autorizzazione del mifepristone, la pillola usata nella metà delle procedure abortive negli Stati Uniti. Il terzo pilastro è il contrasto a quello che viene spregiativamente chiamato “turismo abortivo”, con tanto di obbligo di delazione negli stati dov’è permesso l’aborto pena il taglio di finanziamenti pubblici.
L’offensiva contro la comunità LGBTQIA+
Le persone LGBTQIA+ sono al centro delle “guerre culturali” dei conservatori, e negli ultimi anni diversi stati guidati dai repubblicani hanno approvato centinaia di leggi discriminatorie contro di loro – molte delle quali basate su teorie del complotto e sulla fobia dell’inesistente “ideologia gender”.
Inevitabilmente, una nuova amministrazione di Trump non farebbe altro che aumentare l’intensità dell’offensiva transmisogina. Dopotutto, la campagna ha speso decine di milioni di dollari per fare propaganda distorta sul tema.
Tra le varie cose, il candidato repubblicano ha promesso di “proteggere i bambini dalla follia gender della sinistra” attraverso la chiusura di tutti i programmi federali che “incoraggiano la transizione di genere”; la revoca dei finanziamenti agli ospedali che offrono trattamenti di affermazione di genere; il taglio dei fondi alle scuole che promuovono l’inclusività; e l’approvazione di una legge che toglierebbe il riconoscimento legale alle persone transgender.
Le proposte contenute nel “Progetto 2025” sono, se possibile, ancora più radicali: l’intera società dev’essere plasmata sui principi del nazionalismo cristiano, e dunque basarsi sul “matrimonio eterosessuale” e sulla promozione di “nuclei familiari” aderenti al dettato biblico (Trump evidentemente fa eccezione, visto che non è esattamente il prototipo del buon cristiano).
In questo tipo di società non ci sarebbe il minimo spazio per le persone LGBTQIA+, che potranno – anzi: dovranno – essere discriminate da enti pubblici e privati, nonché dalle agenzie federali per l’adozione, dagli operatori sanitari e dalle aziende.
Infine, sempre in base agli auspici del “Progetto 2025”, qualsiasi tipo di materiale letterario inclusivo dovrebbe essere equiparato alla “pornografia” e dunque vietato. Per fare ciò servirebbe una legge ad hoc, che finirebbe per essere molto simile a norme contro la “propaganda gay” approvate in Russia e in Ungheria.
Una guerra alla scienza dagli esiti ancora più gravi
Trump ha sempre fatto di tutto, ma davvero di tutto, per screditare la scienza.
L’apice più tragico e irresponsabile l’ha raggiunto nelle fasi più drammatiche della pandemia di Covid-19, quando aveva suggerito di iniettarsi la candeggina per prevenire l’infezione o di assumere rimedi dannosi come l’idrossiclorochina.
Anche sull’altra grande emergenza che deve affrontare l’umanità – la crisi climatica – le posizioni del candidato repubblicano sono apertamente negazioniste.
Nel corso degli anni ha definito il riscaldamento globale una “bufala cinese”, sminuendolo come un problema inesistente o addirittura presentandolo come un’opportunità: con l’innalzamento degli oceani, ha detto in un comizio dello scorso agosto, ci saranno più abitazioni che potranno godere della vista sul mare.
Non sorprendentemente, la sua prima presidenza è stata un autentico disastro sul fronte del contrasto al cambiamento climatico: oltre a far uscire gli Stati Uniti dagli accordi di Parigi si è sbarazzato di un centinaio di regolamentazioni ambientali.
I suoi propositi per il secondo mandato, e quelli contenuti nel “Progetto 2025”, sono addirittura peggiori; e lo sono perché capiterebbero in una fase in un cui il problema si sta aggravando con spaventosa rapidità.
Contrariamente a quanto chiede a gran voce la comunità scientifica, Trump favorirebbe l’industria del fossile – che ha sostenuto la sua campagna con oltre 75 milioni di dollari – e ostacolerebbe in tutti i modi la transizione energetica.
Una seconda amministrazione sarebbe anche una minaccia per la salute pubblica. E non solo per i possibili tagli a Medicare e Medicaid, o al depotenziamento dell’Affordable Care Act (meglio conosciuta Obamacare) – ossia i programmi federali che puntano ad aumentare la copertura sanitaria pubblica.
Si rischierebbe di tornare indietro anche su misure date per scontate da decenni, come la fluorizzazione dell’acqua pubblica per prevenire carie e altre malattie dentarie. Robert Kennedy Jr. – un noto antivaccinista che potrebbe diventare il responsabile delle agenzie di sanità federali – ha infatti detto che un’eventuale amministrazione Trump consiglierebbe agli enti locali di “rimuovere il fluoro dagli acquedotti”.
L’idea che la fluorizzazione sia pericolosa risale agli anni Cinquanta del secolo scorso, ed è stata oggetto di svariate teorie del complotto – tra cui quella di un piano segreto dei comunisti per fare il lavaggio del cervello ai cittadini statunitensi, resa celebre dal film Dottor Stranamore di Stanley Kubrick.
Un rischio per la democrazia in tutto il mondo
Chiaramente, un secondo mandato di Trump avrebbe ripercussioni planetarie. E il mondo del 2024 è più complicato, pericoloso e caotico rispetto a quello del 2016.
C’è stata l’invasione russa dell’Ucraina. C’è stato l’attacco di Hamas del 7 ottobre, l’assedio israeliano della Striscia di Gaza e l’espansione del conflitto nel sud del Libano. Ci sono le tensioni intorno a Taiwan. Ci sono le minacce sempre più insistenti della Corea del Nord verso la Corea del Sud. E poi ci sono tanti altri conflitti locali o regionali, o gravissime crisi umanitarie completamente ignorate.
Trump non solo è drammaticamente inadeguato a gestire così tanti fronti aperti, ma con ogni probabilità esacerberebbe una crisi dopo l’altra e darebbe il colpo di grazia a un sistema di regole internazionali già oltremodo traballante.
Da un punto di vista economico, la sua proposta di introdurre dazi universali sui prodotti importati (che arriverebbero fino al 60 per cento su quelli cinesi) scatenerebbe guerre commerciali a non finire. Come ha detto al New York Times l’economista Maurice Obstfeld, un piano del genere equivarrebbe a “lanciare una granata nel cuore del sistema di scambio internazionale”.
Dal punto di vista delle alleanze, invece, Trump perseguirebbe una politica isolazionista e ultranazionalista che potrebbe persino portare all’uscita degli Stati Uniti dalla Nato – o quanto meno a un suo forte ridimensionamento.
Il candidato repubblicano ha fatto ripetutamente capire che non difenderebbe un paese della Nato che “non paga i conti” (cioè che non destina il 2 per cento del proprio Pil alla spesa militare) nel caso in cui fosse attaccato; anzi, “incoraggerebbe” gli aggressori a fare “il cavolo che vogliono”.
Il senso di quell’affermazione non potrebbe essere più chiaro: nel momento di difficoltà suprema, l’Europa sarebbe abbandonata al suo destino.
Così come potrebbe essere abbandonata l’Ucraina, che dipende in larga parte dagli aiuti statunitensi e degli alleati. Sul punto, Trump ha sempre ribadito di essere in grado di fermare la guerra in “24 ore” o comunque “molto velocemente”.
Nel concreto significa costringere il paese a cedere i territori occupati senza alcuna garanzia di sicurezza. Di fatto si tratterebbe di una capitolazione; che è esattamente ciò che vuole Vladimir Putin, da sempre riverito da Trump (una circostanza che, piuttosto comprensibilmente, preoccupa non poco l’intelligence statunitense).
Per finire, la vittoria di Trump ha il potenziale di innescare una deriva estremista ben al di fuori degli Stati Uniti. La trasformazione del paese in uno stato autoritario e illiberale rafforzerebbe infatti l’estrema destra in Europa e i politici autoritari alla Narendra Modi (non a caso elogiato dal candidato repubblicano), e soprattutto spingerebbe altri leader o partiti a intraprendere quella strada.
In definitiva, il ritorno di Trump alla Casa Bianca è una minaccia con cui il mondo intero dovrà fare i conti.
Immagine di copertina via Gage Skidmore/Wikimedia Commons, CC BY-SA 2.0