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Turchia, elezioni fra democrazia e “sultanato” di Erdogan: cosa c’è in gioco

11 Maggio 2023 7 min lettura

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Turchia, elezioni fra democrazia e “sultanato” di Erdogan: cosa c’è in gioco

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Il 14 maggio 2023 è una data storica per la Turchia moderna sotto diversi punti di vista. Nel 2023 ricorre il centenario della Repubblica turca, nata dalle ceneri dell’Impero ottomano dietro spinta del generale Mustafa Kemal Atatürk (letteralmente padre dei turchi) e il 14 maggio i cittadini sono chiamati ad eleggere il Parlamento e il loro prossimo presidente. Il giorno scelto per le elezioni non è casuale. Il 14 maggio 1950 il Demokrat Parti, di orientamento conservatore, vinse per la prima volta le elezioni sconfiggendo il Chp, il partito repubblicano fondato dallo stesso Atatürk. Dieci anni più tardi però il suo leader, Adnan Menderes, fu impiccato per ordine del Tribunale speciale istituito a seguito del colpo di Stato organizzato nel 1960 dal generale Cemal Gursel, mettendo fine al governo di stampo conservatore e aprendo la strada a ulteriori interventi militari nella fragile democrazia turca. 

Nei piani del presidente uscente Recep Tayyip Erdoğan, il 14 maggio 2023 il popolo turco tornerà a dire “basta” agli ideali laici dei kemalisti e a sostenere ancora una volta chi, come lui, si è invece fatto portavoce di quei valori religiosi e conservatori che Menderes aveva portato per la prima volta al governo 73 anni prima. Il sogno del leader del partito Giustizia e sviluppo (Akp), però, potrebbe non realizzarsi. 

A sfidare Erdoğan per la carica di presidente sono ufficialmente tre candidati, ma solo uno ha davvero una possibilità di vittoria: Kemal Kılıçdaroğlu. Segretario del partito repubblicano (Chp) dal 2010, Kılıçdaroğlu è il rappresentante del cosiddetto Tavolo dei sei, una coalizione di partiti che vanno dal centro-sinistra alla destra conservatrice unitisi per sconfiggere finalmente Erdoğan, ininterrottamente al potere dal 2003. Il leader del Chp si è distinto nel corso della campagna elettorale per i toni pacati e per la modestia dello stile di vita, in contrasto con la retorica divisiva e lo sfarzo che invece caratterizzano i discorsi e la quotidianità di Erdoğan. La scelta di puntare su Kılıçdaroğlu però non è stata semplice. La sua figura è stata spesso criticata all’interno della coalizione per la mancanza di carisma e anche per l’appartenenza alla minoranza religiosa degli aleviti, perseguitata in Turchia. Kılıçdaroğlu però ha saputo sfruttare a suo favore quest’ultimo aspetto puntando su una retorica inclusiva e accattivandosi la simpatia delle minoranze del paese, mentre ha risolto il problema del carisma indicando come suoi eventuali vice-presidenti i sindaci di Istanbul e Ankara - Ekrem İmamoğlu e Mansur Yavaş - due figure di spicco del suo stesso partito. Il leader del Chp può anche contare sul sostegno dell’Hdp, la formazione filo-curda che si presenterà sotto il simbolo della Sinistra Verde (Ysp) per aggirare il rischio chiusura per vie legali che incombe su di essa. L’Hdp, secondo i sondaggi, dovrebbe ottenere almeno il 10% delle preferenze, giocando così un ruolo decisivo per il futuro del paese. 

Arrivare a un accordo con questa formazione politica non è stato facile. Il Chp, in quanto partito di ispirazione kemalista, quindi laico e nazionalista, ha storicamente messo da parte le richieste delle minoranze del paese e in particolare quelle dei curdi. Kılıçdaroğlu invece ha riconosciuto l’importanza della questione curda e promesso che questa sarà risolta dal Parlamento e non più affrontata come un problema unicamente di sicurezza. Un approccio ben diverso rispetto a quello promosso dal 2015 in poi dal presidente uscente, che continua a puntare sulla criminalizzazione dei curdi e sulla repressione di ogni forma di opposizione. 

Approcci diversi - e retoriche diverse - comportano anche idee molto contrastanti di paese. Sotto la guida di Erdoğan in Turchia è emersa una nuova classe borghese conservatrice e nazionalista, proveniente per lo più dall’entroterra anatolico e precedentemente marginalizzata, mentre si è assistito a una limitazione costante dei diritti e a un aumento della repressione del dissenso. Il numero di giornalisti, avvocati, attivisti, politici dell’opposizione, ma anche di attori, professori finiti in carcere o sotto processo è aumentato, mentre nuove leggi hanno progressivamente ridotto il diritto a manifestare e a criticare la figura del presidente. 

Repressione del dissenso e colpi di mano istituzionali: così Erdogan vuole farsi rieleggere presidente della Turchia

 

Tutto ciò è coinciso con un accentramento dei poteri nelle mani del presidente, soprattutto a seguito del fallito golpe del 2016 e della riforma costituzionale del 2017 che ha trasformato il paese in una Repubblica presidenziale. Erdoğan è così riuscito a marginalizzare il parlamento, a controllare stampa e magistratura, e a imporre le sue politiche economiche, rivelatesi però disastrose per il paese. Il rafforzamento della figura del presidente è coinciso anche con una politica estera più assertiva al fine di rendere la Turchia una potenza regionale in grado di dettare le regole del gioco in Medio Oriente e in altre parti del globo. Un progetto sostenuto anche grazie al costante aumento delle spese militari e all’espansione dell’industria bellica, diventata strumento di politica estera nonché cavallo di battaglia in quest’ultima campagna elettorale.

Nella ricerca di un nuovo mandato Erdoğan ha anche puntato su energia e ricostruzione post-terremoto. Il presidente ha promesso gas gratis per un mese e un abbassamento dei costi delle bollette - saliti del 55% - grazie alla messa in funzione di un nuovo giacimento nel mar Nero, e ha annunciato la costruzione di 650mila abitazioni - 300mila entro il 2023 - nelle zone terremotate. L’intento è di dimostrare agli elettori che solo la sua rielezione può garantire un futuro prospero al paese e una rapida ripresa dal sisma. 

La sua campagna elettorale però è stata anche costellata da arresti ai danni di giornalisti e politici dell’opposizione, soprattutto nel sud-est a maggioranza curda, come già successo in occasione delle passate tornate elettorali. In caso di rielezione, Erdogan continuerà a muoversi lungo queste direttrici, rafforzando ulteriormente il proprio potere, continuando a tenere sotto controllo media e magistratura e reprimendo con ancora maggiore forza ogni forma di dissenso. 

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Ben diverso è invece il progetto di Kılıçdaroğlu e del Tavolo dei sei, riassunto nello slogan “Diritto, legge, giustizia” (hak, hukuk, adalet) gridato dalla folla durante i suoi comizi elettorali. Uno dei primi obiettivi è il ritorno al sistema parlamentare, a cui farebbero da corollario la tutela delle libertà civili e politiche, la fine del controllo governativo su media e magistratura e il ripristino dell’indipendenza della Banca centrale. Tutte misure ritenute indispensabili per riportare la Turchia sulla strada della democrazia e per sanare quella frattura sociale ampliatasi sotto la presidenza Erdoğan. Sul piano economico, l’opposizione ha promesso di  abbandonare il modello del partito di governo, basato su tassi di cambio tenuti forzatamente bassi per preservare la crescita economica, ma che ha comportato un aumento costante dei prezzi dei beni primari; mentre in politica estera ci si attende una postura meno aggressiva e più conciliante nei confronti l’occidente, pur continuando a mettere al primo posto gli interessi della nazione turca. La vittoria di Kılıçdaroğlu, per esempio, non dovrebbe comportare un cambio di passo drastico nei confronti della Russia o di Cipro, né verso migranti e rifugiati siriani, che secondo il leader dell’opposizione dovrebbero fare ritorno nel loro paese di origine. 

Il programma del Tavolo dei sei risulta certamente accattivante per una fetta consistente dell’elettorato, ma non è ancora chiaro come sarà realizzato. La coalizione è formata da partiti molto diversi tra di loro, pertanto il rischio di scontro su alcuni temi - dal rientro nella Convenzione di Istanbul al modello economico da implementare - non è un elemento trascurabile, anche se il Memorandum di più di 200 pagine firmato dai vari leader dovrebbe fungere da guida per evitare insanabili spaccature interne. Riuscire a ottenere la maggioranza in Parlamento potrebbe essere un’ulteriore garanzia di stabilità per il Tavolo dei sei, ma prevedere l’esito delle elezioni non è semplice. 

La maggior parte dei sondaggi ipotizza un testa a testa tra Erdogan e Kılıçdaroğlu, pertanto è probabile che si arrivi a un secondo turno il 28 maggio. Il ritiro improvviso di Muharrem İnce, ex leader del CHP, crollato al 2% nelle ultime ore (dopo essere stato dato intorno all'8%) potrebbe però regalare all'opposizione i voti di cui ha bisogno per battere il presidente uscente. Resta poi l’incognita su quell’11% di indecisi che potrebbe determinare il successo dell’uno o dell’altro candidato e sui 5 milioni di giovani che si recheranno per la prima volta alle urne.

Le possibilità di vittoria dell’opposizione, dunque, sono molto alte ma c’è una domanda che aleggia nell’aria: Erdogan rinuncerà davvero al potere in caso di sconfitta? Già nel 2019 il presidente uscente non ha accettato il risultato a lui sfavorevole delle elezioni locali, facendo ripetere il voto a Istanbul e usando la magistratura per sostituire più di cento sindaci dell’opposizione in diverse parti del paese. Ad aumentare i timori di una transizione per nulla tranquilla dei poteri sono anche le affermazioni fatte da Erdogan e dai alcuni suoi ministri nelle settimane precedenti le elezioni e che indicavano l’opposizione come un burattino nelle mani dell’occidente e come un pericolo per la stabilità del paese. 

Le elezioni del 14 maggio, dunque, si presentano come uno spartiacque per la storia della Turchia. A vincere sarà un presidente sempre più autoritario e pronto a un nuovo giro di vite o un’opposizione per la prima volta unita in nome di libertà e giustizia, ma molto variegata al suo interno? La risposta a questa domanda non è così scontata.

Aggiornamenti

Aggiornamento 11 maggio 2023: Abbiamo aggiornato l'articolo dando notizia dell'improvvisa rinuncia alla candidatura di Muharrem İnce.

La frase: "In un simile scenario, a contare sarà anche l’indicazione di voto degli altri due candidati ed in particolare quella di Muharrem İnce, ex leader del Chp che potrebbe ottenere circa l’8% delle preferenze al primo turno. Resta poi l’incognita su quell’11% di indecisi che potrebbe determinare il successo dell’uno o dell’altro candidato e sui 5 milioni di giovani che si recheranno per la prima volta alle urne"

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è stata modificata così:

"La maggior parte dei sondaggi ipotizza un testa a testa tra Erdogan e Kılıçdaroğlu, pertanto è probabile che si arrivi a un secondo turno il 28 maggio. Il ritiro improvviso di Muharrem İnce, ex leader del CHP, crollato al 2% nelle ultime ore (dopo essere stato indicato intorno all'8%) potrebbe però regalare all'opposizione i voti di cui ha bisogno per battere il presidente uscente. Resta poi l’incognita su quell’11% di indecisi che potrebbe determinare il successo dell’uno o dell’altro candidato e sui 5 milioni di giovani che si recheranno per la prima volta alle urne.".

Immagine in anteprima: Adam Jones from Kelowna, BC, Canada, CC BY-SA 2.0, via Wikimedia Commons

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