Abbiamo urgente bisogno di educazione sessuale nelle scuole
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Le violenze sessuali di Palermo e Caivano hanno provocato una forte reazione dell’opinione pubblica e, di conseguenza, anche una risposta da parte del governo guidato da Giorgia Meloni. A Caivano, dove la Presidente del Consiglio ha visitato il Parco Verde, definita una delle piazze di spaccio più grandi d’Europa, Meloni ha detto che il governo intende “contrastare la dispersione scolastica”, ricostruire il centro sportivo Delphinia (il probabile luogo dello stupro) e ha promesso una “bonifica radicale” della zona. Nel cosiddetto ‘Decreto Caivano’ il governo ha introdotto misure contro la criminalità minorile come l’ammonimento del questore per i giovani tra i 12 e i 14 anni; il ‘parental control’ per limitare l’accesso ai siti pornografici; il Daspo urbano anche per gli over 14 e il divieto di usare gli smartphone in caso di reati.
Di cosa parliamo in questo articolo:
Educazione sessuale da settembre a novembre: l’iniziativa del Ministro Valditara
Non è stata formalizzata invece nessuna proposta che riguardi l’introduzione di un piano di educazione sessuale obbligatoria nelle scuole. Il ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, ha parlato al Messaggero di un ‘piano contro la violenza di genere’ in cui gli studenti avranno un ruolo attivo. Ma, ad oggi, del piano non si sa nulla. Valditara ha detto che il piano dovrebbe partire con il nuovo anno scolastico e protrarsi almeno fino alla giornata contro la violenza sulle donne, il 25 novembre. Una circolare illustrerà le linee guida a tutte le scuole superiori di secondo grado.
“L’attenzione del governo è un segnale importante, ma non basta. L’esperienza ci dice che interventi spot e limitati nel tempo, molto spesso legati a fatti di cronaca, non sono risolutivi per promuovere realmente un cambiamento efficace e duraturo nei giovani”, commenta a Valigia Blu Marta Giuliani, psicologa, psicoterapeuta, coordinatrice del Gruppo di Lavoro Psicologia e Sessualità e consigliera dell'Ordine degli Psicologi del Lazio. “La sessualità rappresenta una dimensione relazionale, affettiva ed emozionale, in cui entrano in gioco tantissime variabili. Dall’educazione ricevuta al rapporto con il proprio corpo, dal rispetto di sé e dell’altro alla capacità di saper riconoscere e gestire le proprie ed altrui emozioni. Quindi è importante incoraggiare un graduale processo di cambiamento culturale. Ma per raggiungere questo obiettivo sono necessari interventi strutturati nel tempo, che prevedano anche il coinvolgimento emozionale degli alunni. In Italia, però, i retaggi culturali impediscono ancora di introdurre un’educazione sessuale e affettiva all’interno dei percorsi curriculari”.
Educazione sessuale in Italia: storia di una legge mai approvata
L’Italia, infatti, è uno dei pochi paesi europei a non avere introdotto programmi di educazione sessuale obbligatoria in classe. La Svezia l’ha fatto nel 1955, la Germania nel 1969, Danimarca, Finlandia e Austria dal 1970 e la Francia dal 1998. Eppure se ne parla dal 1975, da quando Giorgio Bini del Partito Comunista Italiano presentò la proposta di legge dal titolo “Iniziative per l’informazione sui problemi della sessualità nella scuola statale”. Da allora, ci sono stati diversi progetti di legge, da parte di diversi partiti politici. Ma nessuno è andato a buon fine.
L’ultimo tentativo è stato portato avanti nel 2021 da Stefania Ascari, del Movimento 5 Stelle. La proposta, depositata in Commissione cultura, prevede l’introduzione dell’insegnamento dell’educazione affettiva e sessuale nel primo e nel secondo ciclo di istruzione, “finalizzato alla crescita e alla maturazione psico-affettiva e socio-relazionale degli studenti improntata alla conoscenza e al rispetto di sé e dell’altro, alla responsabilità sociale e alla valorizzazione della diversità di genere”.
“I nostri studenti hanno fame di risposte, hanno bisogno di avere rassicurazioni, e oggi nella scuola non c’è nulla di simile”, spiega a Valigia Blu Stefania Ascari. “Con la mia proposta di legge si voleva fornire agli studenti un alfabeto gentile delle emozioni: come aiutarli a gestire un rifiuto, come riconoscere e affrontare la rabbia. Da più di 40 anni si scrivono leggi per contrastare la violenza di genere, ma ancora oggi le donne vengono uccise dai loro fidanzati, compagni o mariti. Possiamo avere delle leggi perfette, ma se non cambiano la mentalità e l’educazione, non si disinnesca la dote di patriarcato sociale che ci portiamo dentro. Se non si interviene da subito, non ne usciremo mai”.
Ma perché nessun governo è riuscito ad introdurre una legge che normasse l’educazione sessuale e affettiva in classe? Per Ascari le resistenze sono prima di tutto politico-culturali: “I palazzi delle istituzioni si compongono di uomini e donne che vivono in un contesto sociale ancora permeato di pregiudizi, stereotipi e omertà. La politica non è ancora pronta, e non lo è neanche la scuola – spiega – ci sono realtà molto virtuose dove si attivano percorsi di educazione sessuale e di genere, altre dove non si fa nulla. Tutto avviene a macchia di leopardo”.
Eterogenei e discontinui: i percorsi di educazione sessuale nelle scuole
Anche se non ci sono percorsi obbligatori, infatti, molte scuole attivano dei progetti di educazione sessuale o affettiva nelle loro classi. Si tratta di esperienze molto diverse tra loro, il più delle volte con un focus sugli aspetti biologici della sfera sessuale.
“Non essendo curriculare, la scelta di investire le proprie risorse nell’educazione sessuale è lasciata all’autonomia delle singole scuole”, ci dice la psicologa e psicoterapeuta Marta Giuliani. “Per fortuna negli anni la sensibilità è cambiata, veniamo chiamati anche per portare avanti progetti di prevenzione, quasi sempre nei licei. Ma nella maggior parte dei casi, interveniamo sulle urgenze, con progetti mirati che portiamo avanti in scuole dove si sono registrati comportamenti a rischio. Così facendo, però, il rischio è quello di associare la sessualità solo agli aspetti negativi, ma la sessualità non deve essere vissuta come un pericolo. Dobbiamo dare ai giovani strumenti di difesa ma in un’ottica positiva, perché possano vivere la sessualità in maniera positiva, serena, consapevole e responsabile. Spesso ci chiamano anche i ragazzi, per intervenire durante le occupazioni e le autogestioni, e io credo che sia un segnale forte, un grido di aiuto importante che il mondo degli adulti dovrebbe ascoltare”.
Lasciati all’autonomia e all’iniziativa di singole scuole, è difficile mappare e quantificare i progetti di educazione sessuale che vengono attivati negli istituti italiani. Il primo studio che ha provato a farlo, analizzando più di 200 attività portate avanti nelle scuole, ha calcolato che la media oraria delle attività è di circa 6 ore, ma nel 42% dei casi questi interventi si sono concentrati in una sola sessione.
“Ad oggi nessun giovane trova nella scuola un luogo in cui può conoscere il proprio corpo ed entrare in contatto con la propria sessualità in maniera sana, priva dei modelli patriarcali e performativi che vengono restituiti invece dal materiale violento del mondo pornografico”, racconta a Valigia Blu Bianca Chiesa, studentessa e referente nazionale dell’Unione degli Studenti. “La scuola dovrebbe essere il luogo in cui si combatte la violenza di genere costruendo luoghi in cui si parla e si condividono paure ed esperienze in maniera sana e rispettosa delle soggettività dell’altro. Ma così non è. Ci sono esperienze positive, ma spesso relegate alle poche ore di assemblee di istituto. La maggior parte delle esperienze si limita ad affrontare il tema dal punto di vista anatomico, e viene portata avanti dai docenti di scienze, senza avere esperienza su come trattare questo aspetto dal punto di vista laboratoriale. E poi molto spesso chi svolge i percorsi di educazione sessuale nelle scuole sono associazioni non laiche o puramente cattoliche”.
Se l’educazione sessuale è svolta da associazioni antiabortiste
Giulia si è appena diplomata al liceo liceo Isabella Gonzaga di Chieti, dove ha partecipato ad un percorso di educazione sessuale portato avanti dall’associazione cattolica e antiabortista Movimento per la Vita. “In classe ci mostravano video sul ciclo della vita, e proiettavano interviste a ragazze di 16 anni che inizialmente avrebbero voluto abortire, ma che poi avevano cambiato idea, sottolineando come la gravidanza avesse migliorato le loro vite”, racconta. “Sono uscita dalla classe più di una volta, infastidita. Non abbiamo mai parlato né di contraccezione né dei rischi legati alle malattie sessualmente trasmissibili. Il loro unico insegnamento era che l’aborto non poteva mai essere la soluzione perché la vita viene prima di tutto. Noi abbiamo fatto notare ai docenti che questo non era un messaggio adatto da portare nelle classi, ma la loro risposta è stata che questa era educazione alla vita”.
Giulia racconta che, insieme ad alcuni studenti, ha provato a coinvolgere il consultorio della città per portare avanti un'iniziativa diversa, che fosse davvero formativa per gli studenti. Dopo alcune resistenze da parte del preside e del corpo docenti, gli studenti sono riusciti ad organizzare un’assemblea di due ore in cui i giovani si sono confrontati con gli esperti del consultorio su temi come il consenso, la violenza, l’omosessualità. “Le operatrici del consultorio sono state bravissime ad avvicinarsi agli studenti, c’è stato un bel riscontro – ricorda – abbiamo tracciato l’inizio di un dialogo. Non so se riusciremo mai ad attivare un percorso annuale, ho dovuto discutere molto con il preside per fargli capire la nostra esigenza, ma sono fiduciosa. Durante l’assemblea abbiamo raccolto tantissime testimonianze anonime di ragazze che raccontavano di aver subito episodi di violenza. Abbiamo bisogno di questi momenti. Ma da parte di scuola e famiglia c’è molta paura di affrontare questi temi”.
Dove si svolgono programmi curriculari, l’età del primo rapporto è più alta
Spesso, infatti, genitori e docenti sono convinti che parlare di sessualità porti i giovani ad avere comportamenti sessuali più precoci e disinibiti, ma le ricerche dicono il contrario. Secondo uno studio del 2011 elaborato dal Department of Economic and Social Affairs delle Nazioni Unite dal titolo “The impact of sex education on the sexual behaviour of young people”, i programmi di educazione sessuale ritardano l’età del primo rapporto. In aggiunta, i paesi in cui è stata introdotta un’educazione alla sessualità, si registrano anche tassi di femminicidi più bassi. Al contrario, in un contesto in cui l’educazione sessuale è assente o approssimativa, la maggioranza degli adolescenti italiani (l’89% dei ragazzi e l’84% delle ragazze) è costretta a informarsi ricorrendo alla rete internet, come riporta una ricerca del ministero della Salute del 2019, citata anche nella proposta di legge del 2021.
“I genitori sono molto spaventati, gli adulti hanno paura che determinati temi entrino in classe. Ma allo stesso tempo non sanno gestire in prima persona questa tematica con i propri figli”, spiega ancora Marta Giuliani. “Per questo motivo noi disegniamo programmi in cui prevediamo un coinvolgimento attivo anche da parte delle famiglie. Ma se avvertiamo delle differenze di sensibilità negli adulti, bisogna riconoscere che ormai, da parte dei giovani, c’è una richiesta unanime”.
Giuliani aggiunge anche che, dove vengono portati avanti percorsi di educazione sessuale, l’impatto sullo sviluppo psico-affettivo dell’individuo, e di conseguenza della società, è molto positivo. In più c’è un risparmio economico del servizio sanitario nazionale, "perché investire in prevenzione è sempre un guadagno culturale, sociale ma anche economico”.
Da che età, quindi, è consigliabile iniziare con percorsi di educazione affettiva? Le linee guida internazionali dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) parlano di avviare percorsi fin dalle elementari, ma anche questo è un aspetto che genera preoccupazioni e pregiudizi.
La psicoterapeuta spiega però che, quando si attivano percorsi nelle scuole, si fa una distinzione tra strumenti e tematiche, “che devono essere sempre calibrati sullo sviluppo cognitivo ed emotivo delle persone che abbiamo davanti”, precisa Giuliani. Nelle scuole elementari, quindi, ci sono aspetti che non vengono trattati, ma si comincia già a parlare del tema del corpo, del rispetto delle differenze di genere, della capacità di riconoscere e poter verbalizzare le proprie emozioni. Anche se ancora molto rari, “i percorsi nelle scuole primarie sono però intensi e significativi, perché ci permettono di coinvolgere direttamente i genitori con giochi e attività da fare con i bambini”, continua ancora la psicoterapeuta.
“Tutti gli studi internazionali ci dicono che un’educazione sessuale curriculare inserita già dalle prime classi della scuola dell’obbligo fino alla fine del liceo può essere funzionale a tanti aspetti”, conclude Giuliani. “Dallo sviluppo di individui consapevoli e rispettosi di sé e dell’altro alla prevenzione di dinamiche di sopraffazione e bullismo, dalla promozione di una sessualità emotivamente, fisicamente e relazionalmente sana alla prevenzione di comportamenti a rischio quali ad esempio un uso improprio della rete, la contrazione di Infezioni Sessualmente Trasmesse, le gravidanze indesiderate, le dinamiche di violenza e abuso”.
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