Salute, ambiente, economia: la città progettata intorno alla bicicletta
6 min letturaLa politica nella sua accezione migliore, secondo Paolo Ruffino, consulente dell'agenzia olandese Decisio (una società di ricerca che si occupa, tra i temi affrontati, anche di sviluppo economico a partire dall'uso della bicicletta), è uno dei fattori che ha reso i Paesi Bassi una nazione all’avanguardia nel settore della bicicletta, riuscendo a sfruttare al meglio le opportunità e i benefici non solo economici a cui può portare un uso diffuso delle due ruote.
Nel paese di Van Gogh, dove il numero delle biciclette supera quello degli abitanti e quasi un terzo degli spostamenti quotidiani avviene sulle due ruote, non è sempre stato così visto che «fino agli anni ’70 anche nei Paesi Bassi, come nel resto d’Europa e del mondo, la motorizzazione era in continua crescita. Addirittura tra alcuni tecnici girava l’idea di collegare la stazione centrale con il ring, demolendo uno dei quartieri centrali e cementificando i canali di Amsterdam per farli diventare parcheggi», spiega Ruffino. Il rischio concreto sarebbe stato quello di vedere l’Olanda riempirsi di autostrade e spazi per la sosta delle auto.
«Per fortuna una serie di mobilitazioni dal basso lo ha impedito, costringendo anche il governo a cambiare rotta», continua il consulente italiano, spiegando come a partire da quel periodo le amministrazioni delle città olandesi abbiano cominciato a investire massicciamente nell’utilizzo della bicicletta, ridefinendo le priorità degli investimenti urbani con una serie di ripercussioni positive sulla vivibilità della città e sul benessere complessivo dei suoi abitanti.
Oltre ai benefici diretti in termini di posti di lavoro e aziende impegnate nella riqualificazione e manutenzione delle infrastrutture ciclabili, la bicicletta produce effetti positivi riguardo l’accessibilità, lo stato di salute e la produttività dei singoli. A livello di pianificazione urbana invece, lo sviluppo della ciclabilità può rappresentare anche una soluzione a una serie di problematiche, dalla mancanza di parcheggi al traffico passando per il tasso di incidenti, che ancora affliggono le città italiane e del mondo. Secondo i dati raccolti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, i Paesi Bassi presentano tra le più basse percentuali di incidenti stradali. Andare in bici diventa più sicuro quando sono in tanti a farlo: lo sviluppo della ciclabilità può essere quindi un modo per diminuire il tasso di incidenti, come mostra anche uno studio dell’European Cyclist Federation. Le biciclette permettono, infatti, di risparmiare tempo negli spostamenti cittadini, evitano il consumo di suolo per i parcheggi e riducono l’inquinamento.
Per fare la differenza, però, coniugando i benefici nella vita del singolo e quelli di una comunità urbana, secondo Ruffino, bisogna allargare lo sguardo e «guardare alla complessità del mondo dei trasporti, promuovendo un approccio integrato tra i diversi mezzi disponibili»: alla pista ciclabile che finisce nel nulla va preferito un sistema strategico di bici, treno e autobus che abbia una visione complessa del movimento dentro e fuori le città. «Secondo un sondaggio, quasi il 47% dei ciclisti olandesi va verso o arriva da una stazione ferroviaria: se non ci fosse questa profonda sinergia tra bici e sistema di trasporto pubblico, ma ci fossero solo le piste ciclabili, l’Olanda vedrebbe probabilmente dimezzarsi le sue percentuali di spostamenti in bicicletta», conferma il consulente italiano nei Paesi Bassi prima di elencare alcuni passi da intraprendere anche in Italia per diffondere l’uso della bici e per rendere sicuro il suo utilizzo.
In questo senso, la capacità di visione nella pianificazione urbana risulta fondamentale, facendo precedere alla realizzazione di piste ciclabili un piano del trasporto complessivo con la messa in sicurezza degli incroci, con le pedonalizzazioni di intere aree e con la creazione di percorsi alternativi per i ciclisti. Sono queste le piccole grandi opere di cui un paese come l’Italia avrebbe bisogno per portare l’uso della bicicletta come mezzo di trasporto abituale dall’attuale 5% al 15% entro il 2020, secondo gli impegni assunti da città come Milano o Reggio Emilia con la firma della Carta di Bruxelles del 2009, documento siglato da più di sessanta città in occasione della conferenza di Velo City.
Per raggiungere quella percentuale di spostamenti in bicicletta, le amministrazioni hanno adottato una serie di impegni: assicurare interventi utili a garantire parcheggi per i mezzi a due ruote e una politica contro i furti, favorire il cicloturismo e sostenere anche con campagne di promozione culturale gli spostamenti quotidiani sostenibili verso scuola o lavoro. Soprattutto, però, si chiedeva di fare passi concreti per garantire la sicurezza di quanti pedalano, facendo diminuire drasticamente il numero di incidenti mortali tra i ciclisti.
La morte di un ciclista a Milano a inizio luglio ha provocato una discussione sulle misure da adottare per rendere la città innanzitutto un luogo più sicuro per i ciclisti. In Italia c’è ancora molto da fare ma è iniziata la sfida per passare da una «concezione autocentrica a una antropocentrica» della mobilità, riuscendo a rispondere, in fase di progettazione, «alla domanda sul numero di persone e non di auto che riesce a spostarsi su una strada», come ha spiegato Paolo Pinzuti di Bikenomist nel primo convegno dedicato alla bikeconomics organizzato presso l’Università Bocconi di Milano.
Come già sperimentato nei Paesi Bassi, l’incremento dell’utilizzo della bicicletta nella quota degli spostamenti quotidiani avrebbe benefici notevoli non solo per la vivibilità delle aree urbane ma anche una serie di effetti economici positivi dal valore di 513 miliardi di euro, quasi 1000 euro per ogni cittadino europeo secondo uno studio dell’European Cyclist Federation. Secondo ECF diminuirebbero le emissioni, l’inquinamento acustico e dell’aria, ottenendo i benefici sostanziali assicurati dai minori consumi energetici e da uno stile di vita più sano. Le eventuali ripercussioni occupazionali sull’industria dei motori potrebbero essere riassorbite da uno sviluppo dei trasporti ciclabili che, oltre a fornire benefici immateriali, produce reddito nel settore della produzione, manutenzione e ricerca delle biciclette, nel cicloturismo e anche nell’hi-tech, alla ricerca delle soluzioni per rendere più sicuro e meno impegnativo l’uso dei mezzi a pedali. Recentemente Legambiente ha calcolato il Pib (Prodotto Interno Bici) delle regioni italiane per un valore di oltre 4 miliardi di euro complessivi all'anno, stimati attraverso 10 parametri relativi alla mobilità urbana, tra cui i benefici sociali, sanitari e ambientali, scrive Marco Patucchi su Repubblica.
Un tentativo è stato fatto a Bologna dove nel 2016 è stato presentato un biciplan con l’obiettivo di potenziare la ciclabilità in città, attraverso nuove infrastrutture ciclabili o altre aree miste con il limite di 30 km/h per i veicoli a motore, in vista di un guadagno complessivo pari, secondo lo studio di Polinomia SrL, a 32 milioni di euro annui attribuibili alla diminuzione della motorizzazione e delle spese connesse, al minor consumo di suolo e alle spese sanitarie ridotte. Per un costo iniziale complessivo di 26 milioni, 10 in conto investimenti e 15 in costo gestione, garantirebbe un guadagno crescente nel corso degli anni.
Un percorso simile lo sta intraprendendo anche il comune di Milano che l’8 giugno ha approvato in prima lettura il Piano Urbano della Mobilità Sostenibile con l’obiettivo di “migliorare l’accessibilità sostenibile alla città, riducendo il traffico veicolare e il numero di auto presenti sul suolo pubblico”. La promozione dell’uso della bici in un “ambiente urbano ostile che certamente non stimola il cambiamento delle abitudini negli spostamenti” passa, secondo le intenzioni dei promotori, attraverso una serie di misure. Deve essere migliorato il comfort del ciclista attraverso una manutenzione continua delle strade, bisogna favorire la velocità di spostamento in bici, limitando gli incroci con semafori o investendo in percorsi ciclabili ad hoc, bisogna rafforzare la percezione di sicurezza dell’utilizzo della bici, attraverso piste ciclabili e zone a traffico limitato per un totale di 186 km di percorsi ciclabili prioritari e il potenziamento della rete di parcheggi per i veicoli a due ruote.
Al di là di esperienze locali positive, quello che serve all’Italia per recuperare il divario in materia di trasporto ciclabile rispetto ad altri paesi europei e per imparare almeno in parte la lezione olandese – ne è convinto Ruffino – è una serie di innovazioni che chiamano direttamente in causa la politica. Nelle amministrazioni servono, infatti, squadre di figure con competenze multidisciplinari in grado di affrontare un fenomeno complesso non solo negli aspetti tecnici ma anche in quelli politico-sociali, pianificando un territorio urbano a partire dall’ottica del ciclista. Utopia? Neanche tanto se si pensa che anche i canali di Amsterdam avrebbero dovuto sparire sotto colate di cemento.
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