Donne che non vogliono figli: una scelta felice contro la pressione sociale
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Quando l’autrice e speaker Christen Reighter decise di sottoporsi alla sterilizzazione tubarica, procedura che chiude o ostruisce le tube di falloppio per prevenire future gravidanze, sapeva di potersi trovare davanti medici scettici e intenzionati a farle cambiare idea. Reighter aveva fatto molte ricerche sull’intervento, sulla sua efficacia e sui rischi, e aveva letto tantissime storie di donne che erano state rimbalzate di medico in medico e di rifiuto in rifiuto. Non si aspettava però di arrivare in ambulatorio ed essere tempestata di domande che non solo non erano finalizzate a informarla di ogni aspetto della procedura, ma sembravano piuttosto volerla “mettere in difficoltà”, come lei stessa ha affermato. “Mi sembrava di essere sul banco dei testimoni, sottoposta a un controinterrogatorio”, ha raccontato Reighter. Il medico che la stava visitando ha iniziato a chiederle cosa pensasse il suo partner di questa sua decisione, cosa avrebbe fatto se la sua attuale relazione fosse finita e un suo eventuale futuro partner avesse voluto dei figli, fino ad arrivare al punto di dirle che se ne sarebbe pentita e che lui e probabilmente molti altri medici non avrebbero acconsentito allo svolgimento di questa procedura.
Nonostante le tube e il corpo in questione fossero di Reighter, chiunque in quell’ambulatorio sembrava avere maggiore diritto di dirle cosa fosse meglio fare: il medico presente in quella stanza, i colleghi che ha chiamato in aiuto con la speranza forse di farle cambiare idea, la persona con cui Reighter era in una relazione, la Reighter del futuro, persino un futuro partner immaginario. Tutti tranne lei.
Quello che l’autrice descrive come un episodio offensivo, non è però un’eccezione. Quando una donna afferma di non volere figli, le reazioni sono praticamente quasi sempre le stesse: “Sei troppo giovane per decidere”, “Cambierai idea”, “Non sai cosa ti perdi”, “Te ne pentirai”. Affermazioni simili ad esempio sono state rivolte all’attrice Virginia Raffaele quando ha detto di sentirsi completa anche senza avere dei figli: in molti hanno fatto intendere che per quanto decidere di non diventare madri sia una scelta personale, non fare esperienza della maternità rappresenta di per sé una lacuna nella vita di una donna, dimenticando però che è piuttosto difficile rimpiangere o sentire la mancanza di qualcosa che non si è mai cercato o voluto.
In Italia circa il 22% delle donne nate alla fine degli anni Settanta terminerà il proprio periodo riproduttivo senza figli. Tra queste, almeno un quarto i figli non li hai mai voluti. Conosciute nel mondo anglofono come ‘childfree’, le donne che scelgono di non avere figli in Italia non hanno neppure un termine trasversalmente accettato per essere definite. Questo non solo contribuisce a una mancata validazione di una scelta legittima, ma anche a confondere coloro che i figli li vorrebbero e non possono averli (in inglese ‘childless’) e coloro che invece non li desiderano affatto. “Avere un nome significa esistere”, hanno spiegato Nicoletta Nesler e Marilisa Piga in Lunàdigas, il documentario che racconta le donne senza figli in Italia. “Lunàdigas” è il termine con cui i pastori sardi si riferiscono alle pecore che non si riproducono pur non essendo sterili. Le documentariste lo hanno scelto per descrivere le donne che non solo hanno deciso di non diventare madri, ma che hanno anche abbracciato un nuovo modo di intendere la famiglia e la femminilità al di là e a prescindere dalla maternità.
Come emerge anche dalla visione del documentario, però, la cancellazione, il rifiuto e l’ostilità sono delle costanti nella vita delle donne che scelgono di non avere figli. Considerate come una vera e propria minaccia tanto quanto quelle che non hanno una relazione stabile, eterosessuale ed eteronormata, le donne senza figli sono considerate egoiste, egocentriche e immature, accusate in sostanza di costruire una vita su misura delle proprie esigenze e dei propri desideri, piuttosto che corrispondere al ruolo a loro attribuito dalla società. E questo, in un sistema patriarcale, rappresenta un problema. Una donna che non ricerca e dunque non costruisce progetti di vita che prevedano la maternità è guardata con sospetto. Una donna che non solo i figli non li mette al mondo, ma addirittura dice di non volerli, genera indignazione e paura.
In un’ottica in cui il desiderio di maternità è dato per scontato, e quasi preteso per poter corrispondere al proprio ruolo sociale, l’identità delle donne viene spesso circoscritta all’interno delle mura domestiche, per cui tutto quello che fa e dice viene messo in secondo piano rispetto alla sua funzione di madre.
Descritta come intrinsecamente predisposta alla cura, ogni donna – per essere definita tale – nasce con o svilupperà a un certo punto della sua vita quello che viene chiamato ‘istinto materno’, un desiderio tipicamente femminile che porterebbe ogni donna a volere dei figli e a sapere come prendersi cura di loro e che arriverebbe a rimettere in ordine piani e priorità. In realtà, l’istinto materno è stato da tempo riconosciuto come un mito, un costrutto culturale che in una sola mossa vuole relegare le madri alla cura familiare, liberare i padri dal peso delle aspettative genitoriali, e fare sentire inadeguate coloro che i figli non possono averli e coloro che invece non li vogliono affatto.
“Siamo ancora condizionati dall’idea che le donne abbiano questo desiderio di maternità”, ha spiegato la scienziata comportamentale ed esperta di giustizia sociale e questioni di genere Pragya Agarwal, “che questo sia il desiderio e il destino di tutte le donne”.
Invece, non tutte le donne rivedono nella maternità la strada più giusta per loro e nella sua assenza un destino con cui fare i conti, semplicemente perché non tutte desiderano avere dei figli. C’è chi è consapevole di non avere gli strumenti pratici ed emotivi per crescere figli sani e felici; chi sulla base del proprio vissuto preferisce non averne; chi dopo i tanti sacrifici fatti per raggiungere una posizione lavorativa soddisfacente non ha intenzione di metterla in discussione per avere dei bambini; chi, nel pieno di una crisi climatica ed economica, teme un futuro precario per sé e le prossime generazioni. Ma soprattutto chi semplicemente i figli non li desidera, senza alcuna ragione specifica. Possono esserci infatti infinite motivazioni dietro la scelta di non diventare madri, come può non essercene nessuna che vada al di là delle proprie volontà e predisposizioni.
È comprendere e scegliere cosa è meglio per sé a rendere una donna egoista ed egocentrica? O è l’idea che una donna possa autodeterminarsi a fare più paura?
Tra le argomentazioni scagliate contro le donne che scelgono di non avere figli poi c’è spesso anche quella che riguarda la prosecuzione della specie, unico vero obiettivo a cui alle donne viene chiesto di aspirare per assolvere al loro compito sociale. A questo proposito, Pragya Agarwal fa risalire i proclami allarmistici di certe parti politiche al suprematismo bianco: “Come sappiamo dalla teoria della sostituzione etnica”, ha spiegato Agarwal, “questo panico morale attorno al declino del tasso di natalità, ovvero che sempre più donne non fanno figli, ha origine nell’idea che un certo tipo di donne non sta facendo figli. […] Secondo la teoria della sostituzione etnica, le donne nere sono altamente fertili e possono avere facilmente molti bambini, mentre le donne bianche non stanno avendo abbastanza figli, per cui un giorno ‘la razza migliore’ verrà sostituita dalle persone nere”.
Un esempio chiaro di ciò e di come le donne possano essere ridotte a strumento di politiche nazionaliste è la battaglia condotta da Viktor Orbán in Ungheria. Nel suo discorso annuale alla popolazione ungherese nel 2019, infatti, Orbán annunciò nuovi incentivi per le famiglie dicendo: “Nascono sempre meno bambini in Europa. Per l’Occidente la risposta è l’immigrazione. Per ogni bambino che manca dovrebbe essercene uno che arriva e i numeri saranno a posto. Ma noi non abbiamo bisogno di numeri. Abbiamo bisogno di bambini ungheresi. L’immigrazione per noi è una resa”. Così prima sono stati proposti bonus alle donne sotto i 40 anni che si sposano per la prima volta, poi tre anni dopo è stata messa in discussione l’istruzione femminile: in uno studio pubblicato nel 2022 da un organo statale vicino al governo, infatti, si legge che le donne istruite farebbero fatica a trovare marito a pari livello, e questo potrebbe provocare un declino del tasso di natalità.
Se la questione invece diventa abbassare l’età media di una popolazione, un governo – come quello italiano che al sostegno alla natalità ha dedicato ampio spazio nel suo programma elettorale – dovrebbe allora piuttosto tutelare e occuparsi di tutte quelle donne che i figli li vorrebbero ma non possono averli a causa delle condizioni economiche precarie in cui vivono, quelle a cui ai colloqui di lavoro viene chiesto se intendono avere dei figli, e quelle che, una volta diventate madri, sono costrette a dimettersi perché è su di loro che grava ancora il maggiore peso del lavoro di cura.
Nonostante sia una scelta totalmente personale, le donne che decidono di non avere figli vengono ancora accusate di essere individualiste, egocentriche e immature, mentre stanno semplicemente facendo ciò che gli uomini fanno da sempre: decidere di sé e del proprio destino. Come ha scritto l’autrice Rachel Elizabeth Cargle, “Per me, essere una donna senza figli significa avere il diritto di fare ciò che molte donne prima di me non hanno avuto la possibilità di fare – vivere la vita che scelgo”.
Immagine in anteprima via sardegnalive.net