Israele-Palestina: contro la disumanizzazione
|
"Pro Human", una coalizione guidata da Amnesty International Israele, ha pubblicato una lettera in cui dichiara il proprio impegno in qualcosa che dovrebbe essere ovvio: combattere la disumanizzazione degli abitanti di Gaza, dei palestinesi e dei musulmani, nonché degli israeliani e degli ebrei. Tra i firmatari ci sono, tra gli altri, il regista Nadav Lapid, il regista Ari Folman, l'attrice Shira Geffen, il coreografo Ohad Naharin, lo scrittore David Grossman, la cantante Noa. Qui il testo completo della lettera.
"La disumanizzazione di israeliani ed ebrei", si legge nella lettera, "così come di palestinesi e musulmani, è inaccettabile. Una persona non è semplicemente una rappresentazione di un'identità collettiva, della sua storia, dei suoi accadimenti o del suo orientamento politico. Un approccio umanistico coerente deve affrontare tutti questi sviluppi inaccettabili".
Gli esempi di disumanizzazione citati sono tanti.
A metà ottobre, un sondaggio condotto dal Centro di studi politici americani di Harvard e da "The Harris Poll" ha mostrato che quasi la metà dei giovani americani (di età compresa tra i 18 e i 34 anni) ritiene che l'attacco terroristico di Hamas contro i civili "possa essere giustificato dalle sofferenze dei palestinesi". In un sondaggio simile, condotto a dicembre, la percentuale dei giovani americani che giustifica l'attacco di Hamas sale al 60%.
Durante un'audizione del Congresso statunitense, i rettori di tre grandi università - Harvard, UPenn e MIT - non sono stati in grado di fornire una risposta chiara sul fatto che gli appelli al genocidio degli ebrei violino i codici di condotta delle università. In linea di massima sostengono che dipende dal contesto.
In Israele, prosegue la lettera, la percezione pubblica dominante vede tutti i gazawi come affiliati ad Hamas, giustificando così uccisioni di massa e indiscriminate. Un sondaggio dell'Israel Democracy Institute, condotto nel novembre 2023, ha mostrato che dopo il cessate il fuoco temporaneo solo un'esigua minoranza di ebrei (il 7%) era favorevole a una de-escalation degli attacchi per ridurre le vittime civili palestinesi e allentare la pressione internazionale. Rappresentanti governativi e dei media hanno contribuito ad alimentare questo clima pubblico di disumanizzazione dei palestinesi, che è un incitamento al genocidio. Come il parlamentare Yitzhak Kroizer, che ha invitato "a radere al suolo la Striscia di Gaza", o Tally Gotliv, del partito Likud di Benjamin Netanyahu, che ha chiesto al primo ministro di usare una bomba nucleare su Gaza come “deterrente strategico”, o Boaz Bismuth, un altro deputato del Likud, che ha evocato il massacro biblico di Amalek.
Questa iniziativa non è isolata. È in corso, all’interno della società civile israeliana, un intenso dibattito per uscire dalla tenaglia della logica binaria che oppone israeliani e palestinesi e cercare di problematizzare il linguaggio e la strategia del governo di estrema destra guidato da Benjamin Netanyahu. A inizio gennaio, un gruppo di importanti figure israeliane ha scritto una lettera per prendere posizione contro l’incitamento “esteso e palese” al genocidio e alla pulizia etnica da parte di ministri del governo e membri del parlamento israeliano, ex alti ufficiali militari, accademici, personaggi famosi e influencer, e chiedere al procuratore generale e ai procuratori statali di intervenire per fermare la normalizzazione di un linguaggio che viola la legge israeliana e internazionale.
Tra i firmatari c’erano scienziati, accademici, ex diplomatici, ex parlamentari, giornalisti e attivisti. Una comunità di persone, anche tra ebrei della diaspora in altri Stati, che cerca una strada e uno spazio dove trovino una casa chi cerca di costruire ponti e non muri.
E sono tante le iniziative organizzate negli altri paesi. Manifestazioni per strada, veglie di pace, passeggiate silenziose per chiedere un cessate il fuoco bilaterale, la liberazione degli ostaggi, un soccorso immediato ai gazawi, la protezione dei palestinesi in Cisgiordania, la fine della persecuzione politica dei cittadini palestinesi di Israele, scrive Micah L. Sifry su The Connector, il suo blog sull'intersezione tra politica, movimenti, organizzazioni e tecnologie.
“C'è un aspetto terapeutico. E anche un aspetto di solitudine in questo momento. Essere un cercatore di pace in un mare di guerrafondai. Molti di noi hanno bisogno di quella comunità”, racconta Ben Linder, un israelo-americano tra gli organizzatori di una veglia di pace a Oakland, in California, negli Stati Uniti. “C'è anche la sensazione che, in questo momento, possa fare paura essere un costruttore di pace in Israele, e sicuramente a Gaza, in entrambi i luoghi. Sentiamo di avere il dovere di fare da battistrada”. E questi sforzi, prosegue Linder, sono ancora più importanti considerando la “persecuzione politica della libertà di parola in Israele”, dove molti palestinesi sono stati arrestati semplicemente per aver rilasciato dichiarazioni sui social media e le manifestazioni guidate da ebrei israeliani per un cessate il fuoco sono state impedite dalla polizia.
Immagine in anteprima via amnesty.org.il