Dispositivi digitali, social media e giovani generazioni: oltre l’ansia collettiva
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In questi ultimi anni il discorso pubblico sull’uso dei social media e dei dispositivi digitali da parte delle fasce più giovani sta finalmente cambiando.
Pur restando attive alcune collaudate isole di disinformazione, abitate da persone qualificate come esperte pubbliche e professioniste della comunicazione, la diffusione di tre diversi rapporti avvenuta nelle ultime settimane aiuta a focalizzare l’attenzione sugli aspetti rilevanti di un tema complesso. L’esitazione a commentarli che, invece, non si registra alla pubblicazione di un qualsiasi articolo di opinione scritto dalle persone esperte sopra menzionate, testimonia la profonda riluttanza a modificare il linguaggio, la narrazione allarmistica e le basi stesse di una popolarità stellare di fronte a conoscenze che smontano ancora una volta il consueto ciclo del panico morale e le proprie fallacie logiche. Difatti, non si sono registrate molte notizie sui tre rapporti né opinioni e post a beneficio di un pubblico che si affida. In realtà, più che un cambiamento in atto nel discorso pubblico, si sta semplicemente smorzando l’allarme – su dispositivi digitali e social media dopo che è accaduto lo stesso per i videogiochi - nell’attesa di un nuovo bersaglio e senza aver contribuito a far conoscere in modo affidabile il tema su cui si è strillato.
Vediamo allora quali sono i tre rapporti che non sono stati accolti con il consueto clamore riservato alle notizie (catastrofiche) su mondo digitale e giovani generazioni.
Responsabilizzare bambini e bambini nell'era digitale, il rapporto dell’OCSE
L'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) ha pubblicato un dettagliato rapporto che mette in luce le opportunità e i rischi della tecnologia digitale per l’infanzia e individua le sfide e le potenziali risposte. Il rapporto è basato su indagini e analisi raccolte nel 2022 in 30 paesi e giurisdizioni.
I tre messaggi chiave riguardano: la protezione dei bambini e delle bambine negli ambienti digitali, il divario digitale che deve essere affrontato fin dalla prima infanzia e la formazione digitale delle professioniste e dei professionisti dell’educazione e delle famiglie.
Consapevoli dei rischi legati all’uso delle tecnologie digitali, la maggior parte dei paesi e delle giurisdizioni si concentra sulla promozione di un uso sicuro e responsabile nelle strutture educative per la prima infanzia, piuttosto che sull'adozione di approcci restrittivi come divieti generalizzati di accesso ai dispositivi digitali.
Evocare divieti in base all’età si configura quindi come una tecnica funzionale esclusivamente ad attrarre consensi da parte di qualche zelante conservatore ma non è riconosciuta come una strategia politica valida per rispondere alle sfide del mondo digitale.
Il rapporto fa anche chiarezza sul fatto che la ricerca scientifica attuale “è in gran parte inconcludente sull'effetto causale della tecnologia e sulle sue reale implicazioni per la vita dei bambini”, dal momento che la maggior parte degli studi che ha considerato l’impatto psicologico dell’uso delle tecnologie digitali è di “natura correlazionale” e “qualità limitata”.
Inoltre, si ribadisce come il tempo di esposizione agli schermi non sia più da considerare un indicatore valido nella ricerca sugli effetti delle nuove tecnologie. Esso “è sempre più visto come un costrutto semplicistico che non riesce a catturare l'eterogeneità dei contenuti, dei contesti e dell'interattività delle esperienze sui dispositivi, e quindi sempre più contestato come base per far progredire la ricerca e fornire consigli per la politica e la pratica”.
Nel capitolo 3 del rapporto si rileva che “il discorso pubblico tende anche a essere prevenuto verso gli impatti negativi delle tecnologie digitali, spesso semplificando eccessivamente i risultati della ricerca e ignorando il fatto che non tutti i rischi si traducono in danni per tutti i bambini”. Questa informazione distorta ha fatto emergere “una serie di miti, tra cui il fatto che i bambini piccoli e la tecnologia non dovrebbero mescolarsi e che la tecnologia domina la vita dei bambini piccoli” e “ha prodotto un'ansia collettiva che disconnette ulteriormente le prove disponibili sui rischi dalla percezione pubblica e dai relativi approcci politici”. In particolare, le famiglie “ricevono informazioni contrastanti dai media, dalle fonti sociali, mediche ed educative” che generano ed esacerbano “il loro conflitto interno riguardo alla genitorialità digitale”.
Nell’editoriale che introduce il rapporto, il direttore Andreas Schleicher scrive che, sebbene i rischi non possano essere ignorati, “le realtà del mondo moderno rendono il divieto totale della tecnologia impraticabile e inefficace nella maggior parte dei casi, poiché i bambini devono essere preparati ad affrontare le sfide poste dalla digitalizzazione”. Affinché bambine e bambini possano apprendere a interagire con i dispositivi in modo sicuro e creativo, in tutti i paesi, “l'attenzione dovrebbe essere rivolta a strategie educative efficaci che mitighino i rischi della tecnologia digitale” e a rendere prioritaria “la formazione di professionisti”.
Per un commento più articolato al rapporto rimando alla puntata di Radio 3 Scienza del 19 aprile dal titolo TikTok dietro la lavagna.
Come le ragazze si sentono davvero riguardo ai social media, il rapporto di Common Sense
Il rapporto dell’organizzazione statunitense Common Sense, che si occupa di analisi dei media per fornire strumenti affidabili a bambini e famiglie, documenta le percezioni di oltre 1300 ragazze (di età compresa tra 11 e 15 anni, intervistate a novembre e dicembre 2022) su come le piattaforme di social media influenzino il loro benessere. Non si tratta di uno studio rivolto ad indagare l’impatto dei social media ma è stata data voce direttamente alle ragazze per esprimere pareri ed esperienze, riassunti di seguito nelle tematiche principali. Le ragazze usano prevalentemente TikTok, YouTube, Snapchat e Instagram e in generale riportano effetti positivi ma tendono a ritenersi “dipendenti” da alcune piattaforme. Questa percezione rivela, secondo il rapporto, la pressione sociale ad essere presenti sui social per rispondere a messaggi e commentare. Tuttavia, è da sottolineare anche che il termine “dipendenza” è diventato nella sua versione semantica attenuata così diffuso e socialmente accettato da essere integrato nel lessico quotidiano per riferirsi in modo estensivo all’uso, senza abuso, di dispositivi digitali e social media. Gli anni di disinformazione hanno certamente avuto un effetto in questa attenuazione semantica che, però, può far trascurare situazioni effettivamente problematiche.
Tornando al rapporto, il 38% delle ragazze ha dichiarato sintomi depressivi in relazione all’uso di social media. Come nota il rapporto, però, le ragazze che riportano sintomi depressivi tendono anche a dire che le loro vite sarebbero peggiori senza le piattaforme. Solo una minoranza delle ragazze in generale – intorno al 10% - rivela che la propria vita sarebbe migliore senza i social media.
Il 18% delle ragazze intervistate ha riportato esperienze quotidiane di bullismo o discriminazione offline. Tali ragazze tendono a condividere queste esperienze negative attraverso i social, traendone benefici.
Per la maggioranza delle ragazze di colore i social sono percepiti come un mezzo per affermare e validare la propria identità. Tuttavia, l'esposizione al razzismo resta una realtà sia nella vita online che in quella offline per circa la metà delle ragazze di colore.
Su tutte le piattaforme, le adolescenti LGBTQ+ sono esposte a espressioni di odio relative all'identità sessuale o di genere ma hanno anche maggiori probabilità di trovare connessioni sociali.
Per quanto concerne i contenuti sulla salute mentale sui social media, le ragazze affermano di incontrare risorse utili più frequentemente di quelle dannose. È su Instagram e TikTok che la maggioranza delle ragazze si imbatte, almeno mensilmente, in contenuti problematici legati a suicidio e autolesionismo.
Infine, la maggior parte delle ragazze che usano Instagram (58%) e Snapchat (57%) e quasi la metà delle ragazze che usano TikTok (46%) riferiscono di essere state contattate da uno sconosciuto su queste piattaforme in modi che le hanno messe a disagio.
Rispetto alle caratteristiche delle piattaforme, la condivisione della posizione e gli account pubblici hanno un impatto negativo su quasi la metà delle ragazze, mentre i video consigliati e i messaggi privati hanno un impatto prevalentemente positivo su di loro. La concentrazione eccessiva sulle metriche (visualizzazioni, follower, condivisioni e "Mi piace") tende ad essere riferita maggiormente dalle ragazze che riportano sintomi depressivi o minore integrazione sociale nella vita offline.
Il rapporto non si è limitato a registrare le percezioni delle ragazze ma anche i cambiamenti che apporterebbero alle piattaforme: la priorità è stata data alle funzioni che garantiscono la visualizzazione di contenuti più appropriati e positivi, oltre a proteggere la loro riservatezza e sicurezza.
In particolare, per le ragazze che hanno partecipato all’indagine:
- I contenuti devono essere appropriati alle età e devono poter essere condivisi in gruppi in base alle età in cui gli adulti hanno limitazioni di accesso.
- I filtri e il blocco di follower e contenuti indesiderati devono essere semplificati e, per diverse ragazze, vanno considerati l’aggiunta di un controllo parentale, il miglioramento delle impostazioni di riservatezza e l’applicazione dei divieti di utenti problematici.
Come riportato nel rapporto, “questi passaggi cruciali potrebbero ridurre al minimo gli impatti dannosi sulla salute mentale delle adolescenti e massimizzare i benefici dei social media” specialmente per chi si trova in situazioni di vulnerabilità. La centralità di bambini e adolescenti nella progettazione delle piattaforme “può consentire loro di continuare a utilizzare i social media per tutti i loro vantaggi e le importanti esigenze di sviluppo sociale”.
Occorre, quindi, superare le semplificazioni di divieti controproducenti e analizzare in modo critico i cambiamenti che possono essere attuati nelle piattaforme per promuoverne gli effetti positivi di condivisione e connessione.
Colmare il divario digitale di genere, il rapporto UNICEF
A fine aprile l’UNICEF ha pubblicato un rapporto che documenta l’ampia disparità di accesso a internet per le donne e le ragazze che vivono nei paesi a basso reddito annuo pro capite. Il rapporto ricostruisce un quadro sistematico e preoccupante dei divari di genere nell'uso dei dispositivi e nelle competenze digitali, dal momento che un’ampia parte della popolazione mondiale rischia di essere esclusa dall’accesso ai servizi fondamentali e all’occupazione che sono sempre più basati sulle tecnologie digitali.
Sono tre i punti chiave elencati nel documento.
Il primo riguarda le disparità di genere nell’uso di Internet, dal momento che tra i 54 paesi e territori analizzati, solo otto (Vietnam, Isole Turks e Caicos, Fiji, Maldive, Armenia, Sud Africa, Suriname e Tuvalu) hanno raggiunto la parità di genere nell'uso di Internet tra i giovani. In cinque paesi e territori – Lesotho, Kiribati, Mongolia, Laos e Cuba – sono le ragazze adolescenti e le giovani donne ad usare Internet più degli uomini. In 41 paesi e territori si registrano marcate disparità nei confronti delle adolescenti e delle giovani donne. Nei paesi a basso reddito, il 90% delle adolescenti e delle giovani donne di età compresa tra i 15 e i 24 anni (quasi 65 milioni di persone) è offline, rispetto al 78% degli adolescenti e dei giovani uomini della stessa età (quasi 57 milioni di persone) che non usano Internet. Inoltre, per ogni 100 ragazzi e giovani maschi adolescenti nei paesi a basso reddito che usano Internet, solo 44 ragazze adolescenti e giovani donne lo fanno. Tra le regioni, il divario maggiore si osserva nell'Asia meridionale, che favorisce gli adolescenti e i giovani di 27 punti percentuali.
Il secondo punto riguarda le competenze digitali che non sono garantite dall’accesso a Internet da casa. Nella maggior parte dei 32 paesi e territori per i quali erano disponibili i dati, la quota di giovani con accesso a Internet da casa è molto più alta della quota di giovani con competenze digitali. Inoltre, nelle famiglie, le ragazze adolescenti e le giovani donne hanno una prevalenza di competenze digitali significativamente inferiore rispetto agli uomini. Secondo il rapporto, “oltre al preoccupante problema dei giovani privi anche delle più basilari competenze digitali necessarie per la loro partecipazione socioeconomica inclusiva, l'acquisizione di queste competenze è stata finora iniqua, a svantaggio della gioventù femminile”.
Il terzo e ultimo punto si riferisce al possesso di un telefono cellulare. Tra i 41 paesi e territori esaminati, nelle famiglie in cui risiedono almeno un uomo di età compresa tra 15 e 24 anni e una donna di età compresa tra 15 e 24 anni, le giovani donne hanno quasi il 13% in meno di probabilità di possedere uno smartphone e quindi di accedere al mondo digitale.
Per l’UNICEF, le azioni prioritarie per garantire l’equità di accesso al mondo digitale a tutte le persone, indipendentemente dal luogo in cui ci si trovano a vivere, riguardano: l’accesso equo ai dispositivi digitali e a Internet nelle scuole, nei centri giovanili della comunità e nelle abitazioni; gli strumenti necessari a sviluppare le competenze digitali nelle scuole; il sostegno alle ragazze e alle giovani donne nello sviluppo delle competenze digitali al di fuori della scuola; il rafforzamento della sicurezza online delle ragazze e delle giovani donne; la promozione dell'inclusione digitale di ragazzi e ragazze all'interno delle famiglie; la raccolta di dati disaggregati per sesso nei paesi a basso e medio reddito per monitorare i progressi nell'inclusione digitale a livello globale, regionale e nazionale.
I tre rapporti aiutano quindi a comprendere da diverse prospettive i rischi e le opportunità, i bisogni e le risposte, le carenze e gli interventi riguardanti le tecnologie digitali e testimoniano la necessità di una loro integrazione consapevole nella vita famigliare, educativa e sociale fin dalla prima infanzia ovunque sia capitato di nascere.
Uno sguardo più ampio rivolto al mondo digitale permette di affrancarci definitivamente dalle semplificazioni di parte, dalla confusione e dalle paure che esse hanno generato, per promuovere finalmente la diffusione capillare dell’educazione digitale, la disponibilità di dispositivi nei luoghi di comunità, l’accesso equo e sicuro, nonché le azioni collaborative tra una ricerca scientifica integra e trasparente e le piattaforme digitali al fine di ottimizzare l’architettura e i contenuti di queste ultime.
Immagine in anteprima via medium.com