Chi ha colpito l’ospedale Al-Ahli a Gaza: un caso esemplare di disinformazione e il ruolo del giornalismo
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Ogni guerra è sinonimo di atrocità. In risposta a quelle atrocità, in ogni guerra l'opinione pubblica a un certo punto si unisce per chiedere la fine dei combattimenti e cercare una soluzione. La battaglia di narrazioni e di informazione in un conflitto polarizzante come quello israelo-palestinese non è purtroppo nulla di nuovo. Mai come questa volta, però, misinformazione e social media hanno un ruolo nel dividere l'opinione pubblica, fomentare la violenza e il prosieguo del conflitto. Mai come questa volta hanno un impatto sul numero di vittime già altissimo (1.400 israeliani uccisi e circa 3.500 feriti a partire dall'orrendo attacco terroristico di Hamas del 7 Ottobre, almeno 4.600 palestinesi uccisi a Gaza dalla risposta militare al 22 ottobre, secondo il Ministero della Salute di Gaza) e allontanano dal discorso pubblico gli appelli per il cessate il fuoco, le discussioni sui temi di sicurezza e soluzioni al conflitto.
La misinformazione polarizza le narrazioni, fa perdere ogni verità condivisa e punto di accordo. Eppure un punto comune dovrebbe essere semplice da trovare: ogni perdita civile è una perdita enorme e va evitata. In questo clima in cui nessuno crede a nulla, in cui ci aggrappiamo alle nostre opinioni preconcette e alla nostra verità di parte, nessuno dei due belligeranti ha un incentivo a perseguire una de-escalation. Al contrario, tanto Israele quanto Hamas possono "giustificare" i crimini di guerra commessi (Human Rights Watch ha già condannato entrambe), utilizzando il dubbio per incolpare sempre e comunque l'altra parte. Episodi controversi (il macabro e assurdo dettaglio sui bambini decapitati, l'esplosione all'ospedale Al-Ahli o lungo il corridoio di evacuazione tra nord e sud della Striscia di Gaza) alimentano il whataboutism, il rispondere a una accusa con un'altra accusa. Tanto più che nella nebbia informativa creata dalla misinformazione - e dal fatto che l'accesso mediatico a Gaza è altamente ristretto - ricercatori indipendenti, specialisti di OSINT (intelligenza a fonti aperte) e operatori umanitari fanno fatica a trovare prove e risposte che assegnino responsabilità chiare. Con il proseguire del conflitto, il buio che sta avvolgendo Gaza per la mancanza di elettricità e carburante si estenderà ancora di più all’informazione.
Definendo il conflitto in termini esistenziali, e quindi definendo solo una sconfitta da evitare a tutti i costi, aumenta il prezzo che l'opinione pubblica da entrambe le parti è disposta a pagare in termini di costo umano. Al contrario, non è ancora chiaro quale sarebbe l'obiettivo minimo realistico che le due parti vogliono raggiungere per dirsi soddisfatte e "dichiarare vittoria". L'annientamento dell'altra parte (lo Stato di Israele, gli ebrei, Hamas, i Palestinesi) non è un obiettivo realistico.
La misinformazione, inoltre, alimenta nuovi focolai di conflitto e presto i confini di questa guerra potrebbero estendersi al di là di Gaza e Israele. Le teorie del complotto e l'incitement sui gruppi Telegram della destra Israeliana hanno già portato a 75 palestinesi uccisi in Cisgiordania (dove Hamas è assente dal 2007), alcuni a sangue freddo. Con la scusa dell’orrendo attacco di Hamas, dei coloni israeliani hanno rapito, legato, seviziato e urinato su tre palestinesi. Gli attacchi contro i giornalisti israeliani e gli attivisti di sinistra si stanno moltiplicando. La sera dell'incidente all'ospedale Al-Ahli, le strade arabe si sono riempite di folle piene di rabbia tanto per le informazioni che arrivavano da Gaza, quanto per la risposta israeliana che analizzeremo in seguito. Mentre in molti cercavamo di fare luce sull'incidente, la ricerca della verità - che ancora non abbiamo - è diventata secondaria rispetto alla paura di nuove scontri militari al confine con il Libano, con la Giordania e nei territori occupati. Tanto più che ognuno, persone e governi, aveva preso posizione. Al di là del Medio Oriente, un bambino palestinese-statunitense di 6 anni è stato ucciso a coltellate dal suo padrone di casa ("ascoltava molte radio conservatrici ed era diventato ossessionato dal conflitto", ha detto la moglie) a Chicago, mentre attacchi antisemiti e aggressioni estremiste si sono verificate in Francia e Germania.
Di cosa parliamo in questo articolo:
Come funziona la misinformazione
È bene chiarire alcuni punti prima di analizzare nel dettaglio l'impatto della misinformazione e alcuni dei casi emersi finora.
In primo luogo, la terminologia. Esiste una linea sottile, ma importante, tra misinformazione e disinformazione. Mentre entrambe le parole si riferiscono a contenuti fuorvianti, la differenza risiede nell'intenzionalità dell'attore che la produce e la diffonde. Per capirsi, la misinformazione è quando giriamo nel gruppo WhatsApp di famiglia una informazione non corretta che non abbiamo verificato.
La disinformazione invece è quando mentiamo sapendo di mentire e diffondiamo informazioni false o non corrette con lo scopo di ingannare intenzionalmente per scopi politici o economici. La disinformazione, inoltre, è spesso coordinata tra vari attori che producono e diffondono queste informazioni. Ogni piccolo pezzo di informazione, ogni storia, rafforza una storia e una narrazione più ampia. D'altronde ogni bugia riuscita contiene un fondo di verità.
In questo meccanismo, il dubbio gioca un fattore importante. Mentre è legittimo e doveroso analizzare ogni informazione in maniera critica, il dubbio viene alimentato scientemente per disorientare il pubblico, rafforzare preconcetti e indebolire la fiducia nelle informazioni che riceviamo da altre fonti. In questo modo, ogni elemento che non rientra nella narrazione che abbiamo adottato ci risulta estraneo e, invece di prenderlo in considerazione, viene rifiutato. Invece ogni conferma che "l'altra versione" ha delle falle o contiene degli elementi non veritieri rafforza la nostra sensazione dell'essere sempre nel giusto. A lungo andare, questo meccanismo polarizza le nostre opinioni e le rende più impermeabili all'opinione degli altri e persino ai fatti.
Per questo articolo, tuttavia, ci riferiremo soprattutto alla misinformazione perché la reazione emotiva generata dal tema rende meno chiara l'intenzionalità. Inoltre, i limiti imposti dalle piattaforme social nell'ultimo anno all'attività di ricerca rendono più difficile l'analisi della coordinazione tra vari attori.
Sotto la guida di Elon Musk, la piattaforma X, prima Twitter, ha subito cambiamenti che ne hanno ridotto l'utilità. Musk ha licenziato gran parte del team e delle risorse dedicate a sicurezza e moderazione con la scusa del free speech. I moderatori e gli ingegneri responsabili di aggiustare l'algoritmo o rimuovere contenuti nocivi, sono stati sostituiti da sistemi di intelligenza artificiale e community notes, che tuttavia faticano a tenere il passo.
In secondo luogo, Musk ha eliminato la vecchia spunta blu di verifica degli account di "pubblica utilità" come giornalisti e organizzazioni internazionali. In pratica, è più difficile capire chi è un esperto sul tema e chi no. La vecchia spunta blu è stata sostituita da un sistema a pagamento che offre alcuni vantaggi agli utenti premium. Chi paga riceve un boost algoritmico, ovvero i propri tweet raggiungono più utenti, anche al di là dei followers di quell'account. L'algoritmo già premia l'engagement, ovvero le interazioni, i like e i retweet, dando un boost aggiuntivo. L'engagement, a sua volta, è spesso premiato da contenuti che suscitano nel lettore una reazione emotiva: rabbia, approvazione, ecc... Questo sistema ha portato alla proliferazione dei cosiddetti "info-influencers": account premium che saltano da un evento all'altro, presentando un'analisi parziale che li fa sembrare degli esperti, ma che in realtà contiene opinioni forti e polarizzanti che risuonano e fidelizzano le loro community di riferimento. Tanto più che l'engagement generato può essere monetizzato.
Terzo, le politiche di trasparenza sono state completamente accantonate. X ha smesso di pubblicare rapporti sulla trasparenza, e quando lo ha fatto, i dati sono stati presentati senza contesto o possibilità di verificarli. Nel frattempo, l'accesso degli studiosi all'API, interfaccia di programmazione delle applicazioni, il "sistema per accedere ai dati della piattaforma" è stato limitato o rimosso, rendendo impossibile ogni studio indipendente o verifica delle responsabilità di X.
Le altre piattaforme non sono da meno. La trasparenza è quasi totalmente assente. TikTok è stata accusata di aiutare la diffusione di contenuti violenti e anti-semiti. Su Telegram circolano immagini e video che alimentano teorie del complotto, assolutamente false, di tutti i generi: gli arabi israeliani, più del 20% della popolazione, vanno linciati perché hanno aiutato Hamas, oppure la teoria secondo cui Israele stessa ha ucciso molti civili durante l'attacco terroristico del 7 Ottobre. Meta è stata accusata di fare shadow banning, ovvero limitare la diffusione e visibilità di certi contenuti, della parola “Palestina” su Instagram e su Facebook. Su Instagram, inoltre, l'intelligenza artificiale ha tradotto automaticamente “palestinese” in “terrorista”. Meta si è scusata per quello che ha definito “un bug del sistema di traduzione”, ma un caso simile si era giá verificato nel 2021. La percezione che il proprio discorso non abbia sufficiente risonanza non fa che alimentare la sensazione di essere accerchiati, isolati, mal compresi, persino puniti dall'occidente o dal “mondo arabo” creando terreno fertile per estremismi e fascismi di ogni sorta.
Il caso dell'ospedale Al-Ahli
Il caso dell'esplosione all'ospedale Al-Ahli del 17 ottobre è emblematico di quello a cui stiamo assistendo. Molto probabilmente i lettori hanno già una loro verità, quindi mi preme mettere le mani avanti. Ho seguito e analizzato per lavoro ogni dettaglio e narrazione emersa già a partire dai primi report dell'esplosione. Non sono un esperto di balistica, mi occupo di analizzare l'impatto della misinformazione e della percezione degli eventi sul conflitto. Non ho una verità su quello che è accaduto, ho più dubbi che certezze da presentare. Nuovi elementi, prove, analisi e teorie emergono quotidianamente. Questa, quindi, non è un'analisi forense che potrà essere condotta solamente da una commissione di inchiesta indipendente, già rifiutata tanto da Israele quanto da Hamas. Proprio perché il dubbio gioca un ruolo importante nella misinformazione, questa è un'analisi dei dubbi.
I primi report di un'esplosione all'ospedale anglicano Al-Ahli sono emersi pochi minuti dopo l'incidente, verso le 19 ore locali del 17 ottobre. Le prime immagini mostravano le vittime ammassate all'esterno dell'ospedale, dove si erano rifugiati centinaia di palestinesi sfollati in questi giorni. L'analisi satellitare dell'Economist ha mostrato che 11.000 edifici a Gaza sono stati distrutti in queste due settimane. Interi quartieri sono stati rasi al suolo nel nord della Striscia, mentre quasi un milione di abitanti è scappato nella parte sud di Gaza, dove già abitavano più di un milione e trecentomila persone e dove i bombardamenti sono continuati ininterrotti. Mentre si moltiplicavano le immagini cruente e i dottori dell'ospedale facevano una conferenza stampa in mezzo ai cadaveri, è circolata immediatamente l'accusa di un bombardamento aereo israeliano. Non c'erano prove a sostegno, ma nella stessa giornata Israele aveva bombardato una scuola UNRWA con decine di sfollati e l'ospedale, insieme ad altre strutture sanitarie, era già stato danneggiato da altre esplosioni nei giorni precedenti da bombardamenti israeliani. La maggior parte delle testate internazionali più importanti ha immediatamente titolato attribuendo la responsabilità ad Israele, alcuni senza nemmeno citare che la fonte di queste affermazioni era Hamas. In seguito ai dubbi emersi hanno poi modificato i titoli e pubblicato articoli di ricostruzione su cosa realmente si sapeva e cosa no, ma solo New York Times e BBC, come fa notare Oliver Darcy nella sua newsletter, hanno apertamente ammesso l'errore e si sono scusati con i lettori e la propria audience.
L'unica voce dissidente rispetto a questa teoria, mentre l'esercito israeliano non voleva commentare attendendo di raccogliere prove, era quella di un account su X chiamato Gaza Report. A dispetto del nome, non è chiaro chi gestisca l'account e se siano basati a Gaza. Alcuni vecchi tweet avevano riportato inesattezze prese da comunicati stampa israeliani. La teoria avanzata da Gaza Report, quella di un razzo misfired, si è fatta strada moltiplicata da altri account della destra israeliana e internazionale. Mentre questa tesi dilagava, anche questa ancora senza prove a supporto, si sono moltiplicati video vecchi o manipolati che mostravano lanci di razzi falliti e ricaduti sulla Striscia di Gaza da parte delle fazioni palestinesi. È poi emerso un video che mostra una scia luminosa cadere sull'ospedale. Il rumore, secondo molti, era quello inconfondibile di un missile. Un secondo video più lungo e preso dalla diretta di Al Jazeera, emerso solo successivamente, mostra un lancio di razzi palestinesi, con un razzo che scoppia in volo e un'esplosione successiva vicino all'ospedale. Da questo punto in poi, mentre gli esperti più accreditati ancora cercavano di verificare le immagini e ne cercavano altre, si sono radicate tre teorie principali contrastanti. Queste teorie sono state sostenute da "esperti OSINT" e forensi. Alcuni di fama internazionale, altri facenti parte della categoria degli "info-influencers". Per questo articolo citeremo solo fonti e opinioni di esperti che possono essere ritenuti credibili. Ad esempio, Nathan Ruser, che sostiene la responsabilitá palestinese, ha anche decine di tweet che dimostrano la responsabilitá israeliana in altri incidenti e, di fronte a nuove analisi, ha fatto dietrofront su alcune sue supposizioni.
La prima teoria, nelle sue varianti, sostiene che il razzo palestinese abbia avuto un problema e che esplodendo in volo sia ricaduto sull'ospedale. Questa teoria, supportata il giorno dopo dalle immagini di un piccolo cratere nel parcheggio dell'ospedale, è stata subito attaccata dall'altra parte. Se un razzo palestinese è capace di fare quei danni, com'è possibile che il numero di vittime israeliane dei razzi palestinesi sia cosi basso? Il corollario più credibile a supporto di questa teoria è che il razzo aveva ancora il serbatoio pieno di carburante e che la maggior parte dei danni sia stata causata da un'esplosione e incendio superficiale. Il secondo corollario è quello che si è fatto strada tra alcuni account che hanno messo in discussione il numero di vittime civili, riportato dalle autorità di Gaza (controllate da Hamas) il giorno successivo, di 471 persone. A sostegno del fatto che le autorità sanitarie di Gaza mentissero è apparsa una non meglio specificata fonte di intelligence europea, riportata da AFP, che stimava il numero di vittime tra le 10 e le 50. Le agenzie Reuters e AP, invece, citavano una fonte di intelligence americana secondo cui le vittime erano tra le 100 e le 300.
Inoltre, contro questa teoria, sono state presentate delle analisi che sostengono che la direzione del proiettile che ha causato il cratere fosse opposta a quella della traiettoria del razzo, come vedremo nelle prove a sostegno della terza teoria.
La seconda teoria è quella presentata dall'esercito israeliano alla vigilia dell'incontro tra il premier, Netanyahu, e il presidente statunitense, Biden. Anche questa teoria getta la responsabilità sui razzi palestinesi, e in particolare su quelli lanciati dal gruppo Jihad Islamica, ma con una differenza sostanziale. Il razzo non sarebbe esploso in aria, ma sarebbe stato "misfired", cadendo da solo sull'ospedale invece che su un obiettivo in territorio israeliano. Gli Stati Uniti hanno accettato questa versione, dicendo che le prove israeliane e la loro stessa intelligence la facevano ritenere l'opzione più probabile. D'altronde, non sarebbe la prima volta che dei razzi lanciati da Gaza ricadono sulla Striscia. Anche in questa teoria, però, ci sono delle falle considerevoli. O meglio, le falle sono nelle prove presentate dall'esercito israeliano. Innanzitutto, prima che le prove venissero presentate, va sottolineato come l'account ufficiale dello Stato di Israele su X e l'account dell'ambasciatore israeliano negli Stati Uniti avessero allegato all'accusa un video che mostrava un intenso lancio di razzi da Gaza. Ma un giornalista del New York Times aveva già sottolineato come il video fosse di quasi un'ora dopo l'esplosione all'ospedale. Entrambi gli account hanno modificato il tweet cancellando il video.
Ci sono poi le prove presentate dall'esercito israeliano. La prima è quella di una registrazione telefonica intercettata dall'intelligence tra due membri di Hamas che dicono che “Uno dei razzi lanciati da Jihad Islamica dal cimitero vicino all'ospedale Al-Ahli è caduto sull'ospedale”. L'altra voce risponde: “Cosa?”, con un tono che non sembra molto sorpreso. Questo audio è stato oggetto di molte polemiche e analisi. Intanto a qualsiasi persona che parla arabo salta subito all'occhio il tono della conversazione, il linguaggio troppo pulito, il fatto che non ci sia inflessione dialettale gazawi, l'uso della formula "Al-Jihadi Al-Islami" (nome formale del gruppo) che due militanti di Hamas non userebbero mai. Sembrava strano anche che due membri di un'organizzazione che aveva organizzato il più grande attentato terroristico contro Israele di nascosto all'intelligence israeliana si facessero intercettare parlando al telefono. Analisi successive del file audio hanno inoltre mostrato che - mentre la conversazione, dicono gli esperti, potrebbe anche essere autentica - la registrazione è stata manipolata in uno studio e non può essere considerata una prova credibile. L'audio è stato registrato separatamente, tagliato e montato, e sono stati aggiunti degli effetti. Risulta evidente anche un'altra incongruenza. I membri di Hamas parlano di razzi lanciati dal cimitero adiacente all'ospedale, con una parabola che risulterebbe improbabile, mentre le mappe presentate dall'esercito israeliano individuano il punto di lancio molto più a sud-ovest. Anche la mappa è stata messa in discussione. La traiettoria individuata da Israele non coincide con le analisi e la geolocalizzazione dei video disponibili finora. L'analisi audio del fischio che si sente nel primo breve video circolato, inoltre, suggerisce che il proiettile o razzo provenisse da nord-est e non da sud-ovest.
La terza teoria, nelle sue decine di varianti, individua invece in Israele la responsabilità dell'incidente. Il primo gruppo di ipotesi sostiene che ci siano state due esplosioni. Una del razzo, l'altra di un ordigno esplosivo israeliano, non legate tra di loro. Queste ipotesi sottolineano come un razzo non avrebbe mai provocato quel danno - ma abbiamo visto come potrebbe non essere vero in questo caso - e sostengono che il fischio nel video corrisponda a un missile JDAM in dotazione a Israele. Tuttavia, il missile avrebbe lasciato un cratere più grande e provocato danni strutturali agli edifici intorno al parcheggio che, però, non ci sono. Una variante di questa ipotesi è che non si fosse trattato di un missile JDAM, ma di una carica di artiglieria, una carica esplosiva lasciata da un drone o un altro tipo di proiettile. La spiegazione piú plausibile tra queste è quella della carica di artiglieria. Anche in questo caso, peró, esperti diversi puntano il dito su alcune inconsistenze nel cratere e sulla direzione degli "schizzi" lasciati dall'esplosione.
L'altra sottocategoria di ipotesi sostiene, invece, che il razzo palestinese sia stato intercettato da Iron Dome, il sistema di difesa anti-razzi israeliano, e sia ricaduto sopra l'ospedale. La responsabilità rimarrebbe così israeliana. Per giorni questa teoria è stata esclusa perché Iron Dome non ha una gittata tale da poter intercettare i razzi all'interno della Striscia di Gaza.
In generale, c'è un elemento che potrebbe totalmente validare o sbugiardare questa teoria, specialmente nell'ipotesi più plausibile tra le tante del colpo di artiglieria. Hamas ha prima dichiarato di avere i resti del proiettile israeliano. Nelle foto e nei video del giorno dopo, però, non c'è alcun resto o scheggia di proiettile visibile. Un membro del comitato politico di Hamas ha poi detto che i resti si sono "dissolti come sale nell'acqua". A questo punto è legittimo sospettare che, anche se Hamas presentasse delle prove, i resti provengano da un'altra esplosione.
Per cui, riassumendo, la prima teoria (razzo palestinese esploso e ricaduto per errore) potrebbe essere la più plausibile, ma rimangono dei grossi dubbi. Non si capisce poi per quale motivo l'intelligence israeliana stessa non l'abbia sposata, fornendo invece un'altra spiegazione, la seconda teoria, con prove contraddittorie e dubbie. La terza teoria, nella versione attacco di artiglieria israeliana, potrebbe essere plausibile, ma non convince pienamente. A complicare il tutto, nuove analisi emerse nella giornata di domenica 22 ottobre. Un analista ha dimostrato che i video diffusi dall'esercito israeliano sono stati tagliati di 20 secondi, nascondendo un lancio di Iron Dome a molti chilometri dall'ospedale. In pratica, quell'esplosione che si vede nei video potrebbe essere scollegata dall'esplosione all'ospedale. Rimane il sospetto che si sia trattato di un razzo palestinese, ma lo stesso Nathan Ruser che per primo ha dimostrato questa teoria, ha alzato le mani dicendo che a questo punto tutte le teorie vanno riviste. Su una cosa tutti i maggiori esperti sono concordi: solo una commissione di inchiesta indipendente può far luce su quello che è successo. Hamas si rifiuta di presentare le prove, Israele manipola quelle che fornisce.
Perché istintivamente alcuni credono solo alla versione del razzo palestinese? É bene sottolineare come questa teoria non sia stata solo sposata da sostenitori di Israele, ma come sia stata a lungo anche la "working theory" di alcuni esperti indipendenti che in passato avevano accusato Israele di crimini di guerra. "Working theory", perché nessuno di questi esperti ha escluso altre possibilità alla luce di nuove prove. Inoltre, una stima dell'esercito israeliano - non ci sono verifiche indipendenti - sostiene che il 18% dei razzi lanciati dalle fazioni palestinesi a Gaza non raggiunge il territorio israeliano, ma ricade nella Striscia. Esiste poi una diffusa e legittima diffidenza verso le informazioni che arrivano da Gaza. Hamas è una delle due parti belligeranti e naturalmente usa un approccio tattico e selettivo alla verità e alla trasparenza. Questa diffidenza si estende al Ministero della Sanità, controllato da Hamas, responsabile di stimare il numero delle vittime. Questo numero è difficile da accertare, considerando che anche secondo organizzazioni indipendenti come la Croce Rossa e Medici Senza Frontiere, molti corpi potrebbero essere ancora sepolti sotto le macerie degli edifici distrutti. Va detto però che, almeno per il conto delle vittime, tutte le principali organizzazioni internazionali e agenzie ONU ritengono che i numeri del Ministero della Sanità siano credibili.
C'è inoltre una convinzione diffusa che Hamas utilizzi scuole e ospedali come scudi per la propria diffusissima rete di tunnel sotterranei o come magazzini di armi. Mentre sappiamo con certezza che ci sono chilometri e chilometri di tunnel sotto a Gaza, l'unica fonte sulle scuole e gli ospedali rimane l'esercito israeliano. Molte scuole e ospedali sono gestiti da organizzazioni internazionali e ONG che, se veramente permettessero a Hamas di usarli come basi, sarebbero co-responsabili di crimini di guerra. Nessuna di queste organizzazioni è mai stata accusata direttamente.
Inoltre, l'accesso alla Striscia di Gaza per i media internazionali è ristretto. Israele non permette ai corrispondenti internazionali di accedere alla Striscia, per cui ci troviamo costretti ad avere informazioni di prima mano o da Al Jazeera, unico network satellitare, o da giornalisti palestinesi. Molti di questi, tuttavia, lavorano per agenzie di stampa e media internazionali che impongono degli standard di verifica delle notizie molto alti. In due settimane di guerra sono già morti 19 giornalisti.
C'è poi il punto principale della questione, come già detto. Se Hamas ha le prove che sia stato l'esercito israeliano, perché non le presenta?
Perché, invece, alcuni istintivamente credono che la responsabilità sia israeliana? Innanzitutto perché Israele ha già bombardato ospedali e scuole, oltre a squadre di soccorritori della Croce Rossa. Inoltre, anche Israele usa spesso un approccio alla veritá tattico e selettivo. Dopo l'omicidio della giornalista palestinese-statunitense di Al Jazeera Shireen Abu Akhleh in uno scontro a fuoco a Jenin nel 2022, Israele ha subito accusato le fazioni palestinesi presenti nell'area. L'esercito israeliano ha diffuso un video che avrebbe incriminato alcuni miliziani palestinesi. Tuttavia, dopo lunghe inchieste condotte dal New York Times, dal Washington Post, dalla CNN, dall'ufficio dell'Alto Commissario ONU per i diritti umani e dal governo degli Stati Uniti, Israele ha ammesso che sia “altamente probabile” che un soldato abbia ucciso la giornalista per errore, ma si è rifiutato di aprire un’inchiesta.
Anche durante questo conflitto, Israele ha spesso diffuso notizie fuorvianti o rifiutato di rispondere ad accuse di violazioni. L'esempio più famoso è quello dei "40 bambini decapitati" trovati a Kfar Aza, nel sud di Israele, dopo l'attacco terroristico di Hamas del 7 Ottobre. Questo dettaglio della decapitazione è emerso da una giornalista del canale israeliano I24, basata su una sola fonte, e ripreso poi da moltissimi media internazionali al punto da entrare per giorni nel discorso pubblico. È persino finito in un discorso del presidente americano Joe Biden, che ha sostenuto di aver visto le foto, ed è stato ripetuto dalla Meloni nella sua visita in Israele. La Casa Bianca ha dovuto rilasciare una nota in cui ha chiarito che il presidente non aveva visto le foto, ma che il dettaglio gli era stato riferito telefonicamente da Netanyahu.
Successivamente, altri giornalisti stranieri che avevano visitato Kfar Aza hanno messo in discussione la fonte della notizia, che ha ritrattato il dettaglio. L’esercito israeliano ha deciso di non commentare la vicenda per rispetto delle vittime. Il governo israeliano ha pubblicato su X le foto di tre bambini uccisi a Kfar Aza, in maniera brutale, ma senza mostrare corpi decapitati.
Il governo israeliano ha presentato nuove prove delle violenze commesse da Hamas in una proiezione di video e immagini riservata ai giornalisti il 22 ottobre. Circa 1.300 civili israeliani, tra bambini, adulti e anziani, sono stati trucidati, alcuni in maniera orrenda. Persone uccise con le mani legate, alcuni dopo aver subito torture. Corpi bruciati e, alcuni, trovati senza testa. Non tutti i corpi sono stati ancora trovati, nuovi dettagli continuano ad emergere. Di fronte ad un crimine tale è assurdo, paradossale e grottesco discutere di un dettaglio, quello della decapitazione di bambini, su cui conferme e smentite si sono rincorse. Israele sostiene di aver presentato le prove definitive il 22 Ottobre, i maggiori media internazionali ancora non confermano. Il modo in cui dei bambini sono stati uccisi non cambia molto, ma questo dettaglio ha una sua importanza politica per il modo in cui ha avuto impatto sul discorso pubblico. L'immagine della decapitazione ha rafforzato il parallelo tra Hamas e ISIS. Senza entrare nei meriti del parallelo, la logica di questa narrazione è: se Hamas è come l'ISIS, se non peggio, allora anche una democrazia come Israele può rispondere alla barbarie con altra barbarie, senza preoccuparsi di rispettare il diritto internazionale o di limitare le perdite tra i civili. D'altronde è quello che hanno fatto i governi occidentali per eliminare lo Stato Islamico (ma non l'ISIS). Per i primi giorni del conflitto, i governi occidentali hanno dato carta bianca a Israele nel suo legittimo diritto di difesa dopo un attacco terroristico. Il fatto che questo diritto di difesa vada esercitato in linea con il diritto internazionale è riemerso nelle dichiarazioni del Segretario di Stato americano Blinken e dell’Unione Europea solo giorni dopo l’inizio degli attacchi. Una nota interna al Dipartimento di Stato americano invitava a non utilizzare i termini de-escalation e cessate il fuoco.
Inoltre, l'altra conseguenza di questo episodio è che ha alimentato i dubbi. Da una parte, Israele ha accusato i media internazionali di speculare su un crimine di guerra commesso da Hamas, mettendolo in dubbio. Il governo di Netanyahu ha annunciato piani per bloccare la diffusione dei canali di notizie satellitari stranieri, accusandoli di mentire alla popolazione israeliana. Dall'altra parte, se Israele ha mentito aggiungendo un dettaglio cruento a un episodio già orribile, allora è un bugiardo seriale. Si sono fatte strada anche teorie del complotto che sostenevano che Israele avesse mentito su tutto, persino sui civili uccisi da Hamas.
Mentre ancora si dibattevano i dettagli di questa storia, è emerso un altro episodio. Nei primi giorni del conflitto, Israele ha dato l'ordine ai 1,3 milioni di Palestinesi residenti nella parte nord di Gaza di evacuare entro 24 ore nel sud della Striscia, dove risiedevano già altri 1,2 milioni di abitanti. Molti palestinesi hanno a lungo dibattuto se partire o meno. Molte famiglie sono eredi di rifugiati delle guerre del 1948 e del 1967 che non sono riusciti a tornare a casa finito il conflitto. Inoltre, quasi nessuno sapeva dove andare. Il sud della Striscia era già affollato, mentre acqua, carburante ed elettricità erano stati tagliati da Israele. Soprattutto, il sud della Striscia non era - e ancora non è - stato risparmiato dai bombardamenti. Mentre i civili erano alle prese con questi dubbi, Hamas li ha invitati a rimanere nel nord della Striscia per evitare che Israele accelerasse i propri piani di invasione terrestre. Questo invito è avvenuto, ma non ha impedito alle famiglie che avevano deciso di partire di farlo. Chi è rimasto ha basato la propria scelta su considerazioni personali, non sulle minacce di Hamas.
Nel dare l'ordine di evacuazione, Israele ha indicato un corridoio di sicurezza che sarebbe stato risparmiato dai bombardamenti aerei. Poco dopo, tuttavia, si sono susseguiti report di esplosioni e morti lungo quello stesso corridoio. L'incidente piú importante è stato poi verificato indipendentemente dal Washington Post e dal Financial Times, che hanno concluso separatamente - ascoltando il parere di diversi esperti - che le esplosioni erano il risultato "quasi certamente" di bombardamenti aerei israeliani. Interrogato sull'episodio, l'esercito israeliano si è rifiutato di rispondere e ha, invece, mostrato un video che già circolava sui social media di un altro incidente, completamente scollegato dal primo. In questo secondo episodio, per cui ci sono meno immagini, la dinamica dell'esplosione è meno chiara, ma sembrerebbe essere un'esplosione superficiale. Washington Post, Financial Times, Bellingcat e Airwars hanno continuato a sostenere la responsabilità israeliana nel primo episodio, mentre sul secondo hanno detto che avrebbero continuato ad investigare. Alcuni account di info-influencers e di presunti esperti di intelligence a fonti aperte che hanno spinto in questa settimane una narrazione di parte, invece, hanno inondato i social del video del secondo episodio, insieme a immagini diffuse dall'esercito israeliano di blocchi stradali fatti da Hamas per trattenere i civili nel nord della Striscia. Mettendo insieme questi due elementi, hanno accusato Hamas di aver piazzato un ordigno esplosivo improvvisato sulla strada. Teoria plausibile, ma non confermata e che comunque non esenta l'esercito israeliano dalla responsabilità di rispondere alle accuse sul primo episodio. Due torti non fanno una cosa giusta. Israele e Hamas possono essere entrambi responsabili di due violazioni e crimini di guerra in casi separati. Con questa operazione di whataboutism, però, è stata deviata ogni responsabilità.
Concludendo, la verità sull’episodio dell’ospedale può essere accertata oltre ogni ragionevole dubbio solo da una commissione di inchiesta indipendente, che né Israele né Hamas vogliono. Se mai arriverà, servirà a ben poco visto che in moltissimi hanno già preso posizione e hanno scelto la verità che preferiscono. E in qualche modo, dibattere a lungo su questo caso non cambia il fatto che i bombardamenti israeliani su scuole e ospedali, confermati, continuano.
Resta il punto politico. Tanto Israele quanto Hamas hanno un approccio tattico alla verità. Tanto Israele quanto Hamas possono commettere crimini di guerra e atrocità, incolpando l’altro ed essendo sicuri di essere creduti dalla propria constituency (i sostenitori della causa palestinese, piú che di Hamas, o dello Stato di Israele). In questo, i social e la misinformazione giocano un ruolo importante perché annullano le sfumature, polarizzano le narrazioni, sfruttano dubbi legittimi per rinforzare i preconcetti. E per distrarre dalla situazione umanitaria catastrofica a Gaza, dalle responsabilità già accertate sui crimini di guerra commessi da Israele e Hamas. A dispetto delle enormi vittime civili già registrate e da quelle astronomiche che possiamo prevedere in caso di invasione via terra, tanto Israele quanto Hamas non hanno alcun incentivo a perseguire una de-escalation e raggiungere un cessate il fuoco. Se normalmente l’atrocità della guerra fa diminuire il consenso per il conflitto, in questo caso invece lo alimenta. Tanto Israele quanto Hamas, inoltre, pagano il debito di credibilità che hanno accumulato negli anni. La notte dell’esplosione all’ospedale Al-Ahli siamo stati vicinissimi a una escalation regionale che Israele (ma anche Hezbollah) vuole evitare a tutti i costi. Eppure ci troviamo a commentare una situazione surreale in cui Israele potrebbe aver avuto ragione, ma in cui molti legittimamente hanno pensato alla storia di “al lupo al lupo”. Una situazione surreale in cui l'opinione pubblica si scontra sulle responsabilità di un incidente, mentre sono già morte più di 6.000 persone dal 7 ottobre.
Immagine in anteprima via X/Twitter