Ucraina-Russia: la guerra non è ancora inevitabile, ma il punto di non ritorno sembra sempre più vicino
3 min letturadi Oleksiy Bondarenko - ricercatore presso l'Università di Kent; collabora con East Journal
Quella di ieri è stata una giornata che potrebbe davvero cambiare la storia del conflitto in Donbass, della crisi internazionale che è tornata sulle prime pagine dei giornali negli ultimi mesi e dell’Ucraina tutta. Iniziata con l’intensificarsi degli scontri lungo il confine cha separa le autoproclamate repubbliche di Donetsk e Lugansk proseguita con la riunione straordinaria del Consiglio di Sicurezza della Federazione Russa e finita con la firma da parte del presidente russo, Putin, del riconoscimento dell’indipendenza e sovranità delle due ‘repubbliche’.
I prossimi passi
Nelle prossime ore il parlamento russo dovrà approvare la decisione del presidente. Una formalità, visto che è stato lo stesso parlamento a presentare al presidente la proposta di riconoscimento appena qualche giorno fa. Una formalità che però chiarirà uno dei punti fondamentali che sono rimasti ambigui. Quali sono esattamente i territori che la Russia riconosce? La cosa che ad oggi sembra più plausibile, secondo quanto dichiarato da alcuni membri del parlamento, è che il riconoscimento valga esclusivamente per i territori attuali delle due autoproclamate repubbliche. Infatti, va ricordato che dal 2014 sia i separatisti di Donetsk che Lugansk controllano solo una parte delle rispettive regioni ucraine, mentre la parte restante è rimasta sotto il controllo di Kiev. L’altra opzione, paventata durante il consiglio di sicurezza della Federazione Russa di ieri solo da alcuni membri (come il ministro degli interni, Kolokoltsev), è il riconoscimento dell’indipendenza della totalità delle due regioni. Un dettaglio non da poco, visto che quest’opzione significherebbe di fatto guerra aperta con l’Ucraina.
Soldati russi già in arrivo
Il riconoscimento delle due repubbliche è un chiaro e significativo cambiamento nella postura russa nei confronti di Kiev. Negli ultimi 7 anni, infatti, la Russia ha sempre fatto pressione sul governo ucraino affinché si realizzassero i famosi accordi di Minsk che avrebbero dovuto risolvere il conflitto con il ritorno delle regioni sotto il controllo ucraino, ma solo dopo la concessione di ampia autonomia e, in pratica, una federalizzazione del paese. Questo avrebbe permesso a Mosca di mantenere un certo tipo di controllo sulle scelte fatte da Kiev, soprattutto in politica estera.
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Ora il quadro cambia radicalmente. Una dimostrazione che il Cremlino non è disposto a rinunciare alle proprie pretese. Il riconoscimento non solo seppellisce definitivamente gli accordi di Minsk, ma è anche accompagnato dall’accordo di cooperazione militare. Tradotto, la Russia ha già iniziato a dispiegare forze armate a Donetsk e Lugansk, ufficialmente come missione di ‘peacekeeping’. Da un punto di vista formale quindi, il riconoscimento e l’ingresso di truppe rappresenta una chiara violazione del diritto internazionale e dell’integrità territoriale dell’Ucraina, come dichiarato dalla presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen. Le forze militari ucraine sono ora in stato di massima allerta mentre a Kiev ci si aspetta il peggio.
Una guerra inevitabile?
Nelle prossime ore l’Unione Europea, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna presenteranno i vari pacchetti di sanzioni. Rimane ancora poco chiaro che tipo di sanzioni saranno introdotte e che effetto potranno avere sul Cremlino. Secondo le ultime dichiarazioni, infatti, l’Unione Europea avrebbe preparato sanzioni “contro le personalità coinvolte in questo atto illegale”, mentre il segretario di Stato americano Blinken ha dichiarato che il riconoscimento di Donetsk e Lugansk porterà a una “risposta rapida e ferma” con “passi appropriati” adottati da Stati Uniti in concomitanza con i partner europei. L’ingresso di truppe russe potrebbe far scattare anche un più ampio pacchetto di sanzioni economiche. Una risposta più dura che però sarà difficilmente sufficiente a modificare la situazione.
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L’impressione quindi è che la natura della risposta di Bruxelles, Londra e Washington dipenderà dall’effettiva evoluzione della situazione ‘sul campo’. Le prossime ore e giorni saranno decisive per capire se il riconoscimento e l’ingresso delle truppe russe in Donbass sotto la foglia di fico della missione di ‘peacekeeping’ porterà a una escalation definitiva, e quindi a una guerra aperta, oppure solo ad una fase ancora più critica della crisi. Il Cremlino, infatti, ha lasciato tutte le porte aperte considerando proprio l’ambiguità e l’incertezza come la sua carta migliore. Lo scenario più ottimistico (se di ottimismo si può parlare) vedrebbe una stabilizzazione dell’attuale linea di demarcazione condito da una costante minaccia russa, questa volta davvero alle porte. Una minaccia e un equilibrio ancora più precario che, ancora una volta, sarà utilizzato sul tavolo negoziale al quale non siederà più Kiev (visto che gli accordi di Minsk sono da oggi sepolti) ma solo Washington (e in maniera minore Bruxelles). Un dialogo quasi impossibile, quindi, che difficilmente potrà portare a qualche risultato nel breve-medio periodo. L’altra opzione sembra evidente, un conflitto aperto che potrebbe iniziare in qualsiasi momento e con qualsiasi pretesto. Un conflitto dai risultati imprevedibili, ma certamente disastrosi da ogni punto di vista. La guerra non è ancora inevitabile, ma il punto di non ritorno sembra sempre più vicino.
Immagine anteprima via video BBC