Diritto all’oblio oncologico: perché è importante una legge per chi guarisce dai tumori
6 min letturaDal cancro si guarisce. Grazie alla ricerca scientifica e ai suoi progressi oggi una diagnosi di tumore non equivale necessariamente a una condanna a morte. Il numero di chi può considerarsi guarito è in crescita. Eppure, in Italia dimenticare di aver avuto il cancro è particolarmente difficile perché alle persone guarite da una patologia oncologica sono ancora negati dei servizi e delle possibilità: per richiedere un mutuo o un prestito, accedere all’adozione di un figlio o stipulare un contratto di lavoro o un’assicurazione sulla vita si deve ancora passare per domande scomode sul proprio stato di salute.
Nel caso dell’adozione di figli, ad esempio, la legge prevede che tra gli aspetti che possono formare oggetto delle indagini del tribunale per i minorenni per verificare l’idoneità all’adozione vi sia anche lo stato di salute dei richiedenti l’affido; per la stipula di contratti bancari e assicurativi la storia medica del contraente può arrivare a giustificare anche l’imposizione di oneri ulteriori rispetto a quelli previsti per gli altri clienti “sani” e a incidere sulla valutazione del rischio dell’operazione e della solvibilità dello stesso.
Per lo Stato italiano, in altri termini, alla guarigione clinica non segue una guarigione giuridica, come spiega Adriana Bonifacino, presidente e fondatrice dell'associazione IncontraDonna e responsabile del centro di senologia dell'ospedale Sant'Andrea di Roma. «In Italia i pazienti oncologici vorrebbero estendere il loro codice di esenzione "048" a vita, comprendo la necessità per molti, anche economica, di non voler o non poter pagare i ticket inerenti i controlli anche dopo 10 anni dalla malattia. Va trovata una forma di equilibrio affinché i diritti vengano tutelati e preservati, e, contemporaneamente, offrire la possibilità al milione di considerabili guariti di ottenere anche una guarigione giuridica. Ecco la chiamerei esattamente così: guarigione giuridica».
Una legge che disciplini il diritto all’oblio oncologico
Nasce da qui la proposta della Fondazione AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) che ha lanciato una raccolta firme nell’ambito della campagna nazionale “Io non sono il mio tumore” con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni sulla necessità di adottare una legge sul cosiddetto diritto all’oblio oncologico: la legge consentirebbe di non essere più considerati pazienti dopo cinque anni dal termine delle cure se la neoplasia è insorta in età pediatrica e dopo dieci per i soggetti in età adulta.
A oggi sono oltre cinquantamila le firme raccolte tramite il portale web dedicato e tramite la campagna social. L’obiettivo è arrivare a centomila adesioni per portare la proposta al Presidente del Consiglio e dimostrare, raccogliendo il doppio delle firme richieste dalla Costituzione per le leggi di iniziativa popolare, l’ampio consenso intorno a questo tema.
La legge avrebbe riflessi concreti su moltissime persone. Basti pensare che sono 3,6 milioni gli italiani che hanno avuto una diagnosi di cancro: di questi quasi 1 milione (circa il 27%) è guarito e potrebbe, dunque, avere interesse a far “dimenticare” il proprio passato tumorale ai prestatori di servizi bancari e assicurativi e agli istituti di affido e riprendere a vivere come tutti gli altri.
Rispetto al passato, spiega la Fondazione AIOM, sono venute meno le ragioni che giustificavano le leggi e le prassi che ammettevano le domande sullo stato di salute: il tasso più elevato di mortalità dei tumori e le aspettative di vita più limitate di un ex paziente oncologico giustificavano, ad esempio, il rigetto della domanda di affido di un bambino per evitare di esporlo ad altra sofferenza rispetto a quella già provata.
Ma oggi la situazione è cambiata. Il miglioramento dei programmi di screening e i progressi raggiunti dalla ricerca medica nelle terapie hanno fatto sì che molte neoplasie siano curabili: secondo l’analisi epidemiologica EUROCARE-5 in Europa da alcuni tumori (tumore del testicolo e della tiroide e per i melanomi cutanei) si guarisce in più di 8 casi su 10. Per quanto riguarda l’Italia, dati ancora più recenti diffusi dall’AIRC mostrano che cala la mortalità e migliora la sopravvivenza per molti tumori: a cinque anni dalla diagnosi di tumore è ancora in vita il 59,4% degli uomini (la stima del 2020 era del 54%) e il 65% delle donne (63% nel 2020). Almeno un paziente su 4 può considerarsi guarito e ha oggi un’aspettativa di vita uguale a quella di chi non ha mai ricevuto diagnosi di tumore. Inoltre, si stima che rispetto al 2015, nel 2020 i tassi di mortalità si siano ridotti del 6% circa negli uomini e del 4,2% nelle donne.
Dietro questi numeri ci sono tante storie personali, alcune delle quali raccolte sul sito della Fondazione AIOM. Come Laura, 45 anni:
“Vent’anni fa ho avuto un tumore al seno, curato in cinque anni. Faccio la ballerina da sempre, e qualche tempo fa ho deciso di lasciare il mio lavoro in ufficio per aprire una scuola di ballo. Ho scelto il nome, ho trovato la struttura giusta, poi ho preso appuntamento in banca per capire che tipo di mutuo potevano concedermi. Mi hanno illustrato le possibili opzioni e ho dovuto compilare alcuni documenti. Mi è stato chiesto delle mie condizioni di salute passate e attuali. Quando ho chiesto spiegazioni all’impiegato, mi ha anticipato che probabilmente un mutuo a lungo termine non mi sarebbe stato concesso per via del tumore. L’ho vissuta come una vera ingiustizia, il ritorno della malattia a quindici anni dalla guarigione. Se il diritto all’oblio diventasse legge, potrei richiedere quel mutuo e aprire la mia scuola.”
Come funziona in Europa
Per superare le discriminazioni connesse allo status di ex paziente oncologico e aiutare le persone che sono riuscite a vincere la battaglia contro il tumore a riprendere in mano la propria vita, alcuni Stati europei si sono dotati di strumenti legislativi che riconoscono il diritto all’oblio oncologico.
La Francia è stata la prima a legiferare in tal senso, seguita da altri paesi europei come il Belgio, il Lussemburgo, l’Olanda e il Portogallo.
Recentemente sul tema si è espresso anche il Parlamento europeo (“Risoluzione del Parlamento europeo del 16 febbraio 2022 su rafforzare l'Europa nella lotta contro il cancro – Verso una strategia globale e coordinata”) chiedendo “che entro il 2025, al più tardi, tutti gli Stati membri garantiscano il diritto all'oblio a tutti i pazienti europei dopo dieci anni dalla fine del trattamento e fino a cinque anni dopo la fine del trattamento per i pazienti per i quali la diagnosi è stata formulata prima dei 18 anni di età” e “l'introduzione di norme comuni per il diritto all'oblio nel quadro delle pertinenti disposizioni sulla protezione dei consumatori del trattato sul funzionamento dell'Unione Europea, al fine di superare la frammentazione delle pratiche nazionali nel campo della valutazione del merito di credito e garantire la parità di accesso al credito per i sopravvissuti al cancro”.
Il diritto all’oblio per i sopravvissuti al tumore, chiede ancora il Parlamento Europeo, “deve essere incluso nella legislazione dell’Unione europea per prevenire la discriminazione e migliorare l'accesso dei sopravvissuti al cancro ai servizi finanziari”.
E in Italia?
Il Parlamento è chiamato a rispondere alle indicazioni europee. Al Senato è stato recentemente depositato il disegno di legge “Disposizioni in materia di parità di trattamento delle persone che sono state affette da patologie oncologiche” (prima firmataria la senatrice Paola Boldrini- PD). Il testo, al momento, è fermo non essendo stato ancora assegnato alle Commissioni competenti per l’esame.
La proposta sancisce il divieto di richiedere informazioni sullo stato di salute (e, in particolare, sulle patologie oncologiche pregresse) in sede di stipula di contratti di assicurazione, di contratti concernenti operazioni e servizi bancari e finanziari e di indagini per l’affido di un minore, decorso il termine di dieci anni dal trattamento attivo in assenza di recidive o ricadute della malattia e cinque anni se la patologia è in sorta prima del ventunesimo anno di età (il riferimento all’età è aumentato rispetto alla previsione del Parlamento europeo che poneva come soglia il diciottesimo anno).
«Le persone guarite dal cancro devono essere libere di guardare al futuro senza convivere con l'ombra della malattia», spiega Giordano Beretta, presidente della Fondazione AIOM.«C'è una forte discriminazione sociale nei loro confronti, che deve essere combattuta. Abbiamo bisogno di trovare il consenso delle forze politiche per l'approvazione di questo essenziale provvedimento. È una battaglia di civiltà che tutti dobbiamo combattere uniti. La legge permetterebbe di non essere più considerati pazienti dopo 5 anni dal termine delle cure se la neoplasia è insorta in età pediatrica e dopo 10 se ci si è ammalati in età adulta. Oggi, grazie all'innovazione dei percorsi terapeutici, molti tumori vengono curati e altri possono essere cronicizzati: per questa ragione i pazienti che vivono anche a molti anni di distanza da una diagnosi sono aumentati e così le persone che trarranno benefici da questo provvedimento».
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