Diritto d’autore e regolamento Agcom: il fallimento dell’anti-pirateria
5 min letturaDa una recente intervista al Commissario dell'Agcom Posteraro, apprendiamo che i primi 15 mesi di applicazione del Regolamento Agcom in materia di tutela del diritto d'autore sulle reti di comunicazione elettronica (che, ricordiamolo, è atteso al vaglio della Corte Costituzionale entro fine anno) sono stati estremamente positivi.
Il commissario ci ricorda che “un primo traguardo è stato raggiunto per il fatto stesso dell’entrata in vigore del provvedimento, grazie alla quale l’Italia è uscita, dopo ben venticinque anni, dalla watch list Usa degli Stati che non tutelano in maniera adeguata la proprietà intellettuale”; sottolinea che l'efficacia dei provvedimenti “è comunque dimostrata dal sensibile calo degli accessi, non di rado addirittura superiore al 50%, fatto registrare dai siti che per sfuggire al blocco si rigenerano cambiando, appunto, il Dns”; e conclude con “non vi è stata, quindi, la reazione di rigetto da parte del popolo della rete invano preconizzata da interessati profeti di sciagure; al contrario, vi è la dimostrazione che il web è pronto, in larga misura, a farsi carico delle esigenze di tutela della legalità”.
Un recentissimo studio a cura del Prof. Giorgio Clemente, dal titolo “Gli effetti sulla pirateria dei provvedimenti in materia di diritto d'autore”, si è occupato proprio di verificare quanto asserisce il Commissario Agcom, e analizza l'efficacia dei provvedimenti di inibizione a tutela del diritto d'autore imposti dall'Agcom ai provider.
L'idea delle studio è semplicissima, verificare cosa accade dopo l'oscuramento di un sito con contenuti piratati. Generalmente la maggior parte dei siti oscurati riappare dopo qualche tempo, per alcuni siti sono state sufficienti anche solo poche ore (es. Cricfree.tv in UK). Quindi, occorre verificare se gli utenti del sito non più esistente riprendono, dopo un periodo di tempo più o meno variabile, gli usuali comportamenti illeciti, portandosi su altri siti pirata.
Un recente studio commissionato dalla Commissione Europea e realizzato dall’Institute for Prospective Technological Studies (del quale abbiamo già dato conto), si è occupato proprio di questo aspetto, concentrandosi sugli effetti della chiusura del più grande sito di pirateria tedesco. Da questo studio si evince chiaramente che le attuali politiche di antipirateria basate sul site blocking sono non solo estremamente costose (a carico dei cittadini) ma oltretutto anche inefficaci.
Lo studio del Prof. Clemente colma una lacuna dello studio dell'Institute for Prospective Technological Studies che si concentrava su un solo sito, analizzando invece l'effetto dell'oscuramento di ben 27 siti. Lo studio si focalizza, quindi, sui siti esteri oscurati dai provider italiani a seguito di ordine dell'Agcom, verificando come variano gli accessi prima e dopo l'oscuramento. Ovviamente per il dopo il riferimento è all'erede del sito oscurato, verificando caso per caso che i due siti (con domain diverso) siano riconducibili alla stessa titolarità (es. stessa grafica).
Quindi si analizzano gli accessi provenienti dalla sola Italia, per stabilire che incidenza hanno i provvedimento dell'Agcom sul mercato di riferimento.
La metodologia utilizzata è la stessa dello studio Incopro, commissionato dall'MPAA, ampiamente utilizzato dalle major per giustificare proprio l'utilità del site blocking e i provvedimenti di inibizione. In realtà lo studio Incopro soffre di una limitazione temporale, laddove lo studio del Prof. Clemente estende il controllo del traffico per più tempo.
È abbastanza ovvio, infatti, che in un arco temporale ridotto a ridosso della chiusura di un sito il traffico “pirata” si riduca esso stesso, ma ciò che è importante è verificare cosa accade sul lungo periodo, insomma se gli utenti di siti pirata davvero smettono di scaricare contenuti illeciti e vengono “convertiti” ai contenuti leciti. In caso contrario, come già stabilito dallo studio della Commissione europea, e confortato da analogo studio dell'Hadopi francese del 2014, i provvedimenti di site blocking finiscono per essere inutili e il loro costo, non indifferente, non è giustificabile.
Lo studio “Gli effetti sulla pirateria dei provvedimenti in materia di diritto d'autore”, porta a risultati indubbi. Nella quasi totalità dei casi gli eredi dei siti inibiti dall'Agcom non solo riprendono tutti gli utenti dei siti chiusi, ma addirittura si riscontra un aumento, in qualche caso considerevole (oltre il 1000%), del traffico.
L'aumento esponenziale del traffico viene spiegato con l'effetto “pubblicitario” dovuto proprio alle peculiarità del Regolamento Agcom, cioè le informazioni (url del sito e url dei singoli contenuti pirata) ottenibili dai provvedimenti dell'Agcom (che sono visibili a tutti) consentono di rinvenire in Internet siti web prima non conosciuti, e ciò contribuisce a far aumentare il traffico verso tali siti. In alcuni casi si tratta di siti che prima di essere oscurati dall'Agcom non erano mai stati visitati dall'Italia (es. Torrentdownloads).
Il risultato è che gli sforzi dei provider che oscurano i siti, a costi non indifferenti, appaiono vanificati, e l'attività dell'Autorità finisce per essere del tutto inutile, se non addirittura controproducente.
La conclusione dello studio è ampiamente confermativa dello studio della Commissione europea citato, per quanto riguarda l'inutilità dei provvedimenti di site blocking, che non sottraggono in alcun modo utenti ai siti di contenuti illeciti, utenti che invece vengono recuperati in pochi mesi.
Inoltre per quanto riguarda nello specifico la situazione italiana, la pubblicazione di dettagliate informazioni sui siti dove reperire contenuti pirata “determina un aumento complessivo della consultabilità di opere “pirata” sulla rete Internet per gli Utenti Italiani, ed un aumento della consultabilità specifica delle opere di chi richiede una tutela, che non era presente prima dell’entrata in vigore, il 31 Marzo 2014, del regolamento AGCOM in materia di diritto d’autore”.
Insomma, da questo studio, ma anche dai due precedenti citati, non sembra affatto che le cose stiano come il commissario Agcom sostiene, a parte la questione della watch list Usa dei cattivi del copyright. Ma il rapporto 301 (per questo si legga: Da ACTA alla delibera Agcom: il lobbismo per il copyright online) è più che altro un mezzo di pressione degli Usa per far ottenere alle proprie aziende (americane) vantaggi competitivi. Non siamo proprio sicuri che lo si possa ritenere qualcosa di positivo.
Il problema non è se il web (!?) è pronto a farsi carico delle esigenze di tutela della legalità, semmai se la politica adottata per contrastare il fenomeno della pirateria sia efficace e la sua attuazione sia giustificabile economicamente.
"Policy focused on the allegedly draconian measures of SOPA, PIPA and ACTA, sank because they were rejected by people in the real world outside, because we couldn’t prove – no-one could prove – that they were the right thing to do. If we want the IP system to work, to deliver the incentives, we need evidence to build trust. That is what you need to justify the fair return that IP needs, you need that trust"
(Tony Clayton, capo economista UK Intellectual Property Office)
Articoli su altri studi sulla pirateria
Robert Hammond 2012 (economista Università Carolina): il file sharing favorisce gli artisti
American Assembly, Copy culture in US and Germany, 2012: i pirati acquistano più musica
Northeastern University Boston, 2013 (studio sui one click hoster, detti anche cyberlockers): il sequestro dei domini è inefficace
Ipsos, 2013: l'offerta legale funziona la repressione no
Ofcom, The value of user generated content, 2013: il copyright può essere una minaccia per gli user generated content
Ernst & Young, 2013: l'industria dell'intrattenimento si arricchisce grazie ad internet
African governance and development institute, The impact of software piracy on inclusive human development, 2015: la pirateria aumenta l'alfabetizzazione e l'accesso alla conoscenza
Institute for prospective and technological studies, Online copyright enforcement consumer behaviour and market structure, 2015: il site blocking è inefficace