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L’erosione dei diritti LGBTQIA+ in Europa

23 Giugno 2025 11 min lettura

L’erosione dei diritti LGBTQIA+ in Europa

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Ad aprile 2025, la Corte Suprema britannica ha stabilito cosa significhi legalmente essere “donna” nella legge contro le discriminazioni. Nella sentenza For Women Scotland v. The Scottish Ministers, infatti, la Corte sostiene che nell’Equality Act 2010 il termine “sesso” faccia riferimento soltanto al “sesso biologico”, inteso come “sesso assegnato alla nascita”, mentre con il termine “donna” si indica una persona “biologicamente femmina”. Con questa decisione le persone transgender sono escluse dalla tutela contro le discriminazioni per sesso, a prescindere dal fatto che abbiano o meno il Gender Recognition Certificate, ovvero il documento che riconosce legalmente la rettifica del genere anagrafico.

Oltre alla semplificazione del concetto di sesso biologico, che confonde la biologia con quanto scritto sui documenti alla nascita, dal momento che così come il genere neppure il sesso è binario, la sentenza utilizza anche un linguaggio vicino alla retorica anti-trans, quando ad esempio parla di “un uomo che si identifica come una donna” per fare riferimento alle donne trans. Nella parte finale della sentenza, si sostiene comunque che questa interpretazione dell’Equality Act 2010 non andrà a svantaggio delle persone trans: la Corte infatti spiega che, se discriminate sulla base della loro identità di genere, le persone trans possono fare causa per discriminazione sulla base della riassegnazione di genere; se discriminate invece sulla base del sesso “percepito”, possono fare causa per discriminazione sulla base del sesso - un’interpretazione, quest’ultima, che è in realtà facilmente aggirabile da chi discrimina, perché basterebbe sostenere di essere stati a conoscenza del sesso biologico della persona che denuncia e dunque dell’impossibilità di aver discriminato sulla base del sesso percepito.

“La sentenza sostiene di non alterare i diritti delle persone trans, ma lo fa nella pratica”, ha detto a Valigia Blu Jess O’Thomson, che si occupa di ricerca in ambito giuridico, ma “c’è una distinzione da fare tra quello che la legge richiede, che al momento è controverso, e l’effetto concreto di ciò che si sta facendo con la legge e il relativo impatto sulla capacità delle persone trans di partecipare alla vita pubblica”. O’Thomson fa riferimento in particolare alla guida provvisoria pubblicata dalla Commissione per l’uguaglianza e i diritti umani (Equality and Human Rights Commission, EHRC), che ha la responsabilità di fare applicare la legge anti-discriminazione.

In questa sua nuova guida, che va molto oltre ciò che la sentenza ha stabilito, l’EHRC infatti ha dato indicazioni alle organizzazioni e ai luoghi di lavoro su come muoversi per rispettare la sentenza: i posti di lavoro, ad esempio, devono avere bagni distinti per sesso biologico, mentre negli spazi pubblici disporre soltanto di bagni misti potrebbe essere intesa come una discriminazione indiretta sulla base del sesso nei confronti delle donne cisgender; alle donne trans poi non dovrebbe essere permesso di usare i servizi destinati alle donne e agli uomini trans di usare i servizi destinati agli uomini.

La guida sostiene anche che le associazioni con 25 membri o più possono limitare l’accesso alle persone sulla base del sesso biologico, per cui un’associazione per sole donne non dovrebbe accogliere donne trans: allora, dice O’Thomson, “se le persone trans non possono utilizzare i tantissimi spazi distinti per sesso che diamo per scontato, come i bagni o gli spogliatoi in una piscina comunale, se vengono spinte fuori dai posti di lavoro e dalla vita pubblica perché non possono utilizzare certi spazi come chiunque altro, non importa che a livello teorico esista una tutela contro le discriminazioni sulla base della riassegnazione del genere nell’Equality Act”, come sostiene la sentenza nella sua parte finale.

Sebbene non siano da considerarsi legge, le disposizioni dell’EHRC stanno già avendo effetto sulla vita delle persone trans e fomentano ulteriormente il clima di paura in cui ormai da tempo si trova chi è direttamente coinvolto, ma adesso anche chi vorrebbe essere di supporto: “Le organizzazioni che vogliono essere inclusive, ed esserlo il più possibile”, spiega infatti O’Thomson, “stanno venendo redarguite con minacce legali da parte di gruppi anti-trans che dicono loro che se provano a includere le persone transgender all’interno dei loro spazi e servizi possono finire in una controversia legale”. Come per gli attacchi all’aborto, infatti, anche i diritti delle persone transgender vengono messi in discussione soprattutto nei tribunali e attraverso continue battaglie legali portate avanti da gruppi anti-trans: “Persone piene di soldi, con connessioni con l’estrema destra a livello globale, che usano la legge come arma per spingere questa politica reazionaria anti-trans”, le ha definite O’Thomson. Ed è quello che è successo con la sentenza della Corte Suprema britannica. Nel 2018 infatti il parlamento scozzese aveva approvato una legge per aumentare la rappresentanza delle donne nei consigli di amministrazione degli enti pubblici: la norma, conosciuta come Gender Representation on Public Boards (Scotland) Act 2018, includeva nel termine “donna” sia le donne cisgender sia le donne transgender. L’associazione anti-trans For Women Scotland ha fatto ricorso contro questa definizione e ha portato il caso davanti la Corte Suprema che ha accolto la posizione del gruppo anti-trans scozzese e la sua definizione di “sesso”, “donna” e “uomo”.

Tra le persone che hanno sostenuto For Women Scotland c’è anche l’autrice J.K. Rowling, che all’associazione ha donato 70mila sterline e che subito dopo la sentenza ha anche fondato il J.K. Rowling Women’s Fund, un fondo per sostenere le battaglie legali anti-trans. “Quello che si sta facendo al momento in reazione alla sentenza è antidemocratico e contro i diritti umani”, afferma O’Thomson, e “la triste realtà è che ora starebbe ai nostri politici eletti in maniera democratica sistemare le cose, ma abbiamo un governo che fondamentale non è interessato ai diritti umani, per cui è probabile che non farà niente e questo è molto preoccupante”. Anzi, il Primo ministro britannico Keir Starmer ha detto che la sentenza della Corte Suprema ha portato “chiarezza” sul tema e l’ha definita “un gradito passo in avanti”.


Come riflesso di questi ultimi sviluppi, il rapporto annuale Rainbow Map pubblicato dall’associazione che si occupa di diritti LGBTQIA+ in Europa ILGA Europe ha rilevato un arretramento sostanziale del Regno Unito riguardo i diritti della comunità, al punto da perdere sei posizioni nel ranking nell’ultimo anno.

Un contraccolpo internazionale

Il Regno Unito non è l’unico paese che si sta muovendo verso un approccio sempre più rigido e intollerante nei confronti della comunità LGBTQIA+: si tratta piuttosto di una tendenza generalizzata. Nel 2024, ad esempio, la Bulgaria ha vietato la “propaganda, promozione o istigazione” di “idee LGBTQIA+” nelle scuole, mentre la Georgia ha approvato una legge che vieta i percorsi di affermazione di genere, i matrimoni e l’adozione per persone dello stesso sesso e la rappresentazione LGBTQIA+ nei media. 

In Turchia, un paese che nella Rainbow Map si trova al 47° posto su 49, si sta discutendo una norma che prevede il carcere per chiunque “incoraggi”, “promuova” o abbia relazioni o “comportamenti sessuali” tra persone dello stesso sesso. Mentre l’Ungheria, che da anni attacca i diritti delle persone LGBTQIA+, solo nel 2025 ha stabilito di riconoscere soltanto due sessi e ha anche vietato i Pride: attraverso una legge prima e un emendamento alla Costituzione meno di un mese dopo, il governo ungherese guidato da Viktor Orbán infatti ha reso illegali gli eventi che possono violare la norma sulla “protezione dei minori”, che non permette la “rappresentazione o promozione” dell’omosessualità e dell’identità transgender ai minori di 18 anni. I partecipanti a eventuali manifestazioni potranno essere identificati con software di riconoscimento facciale e multati. Nonostante il divieto, per il 28 giugno il sindaco di Budapest ha dichiarato che la parata del Pride si terrà comunque, sotto forma di evento per celebrare la libertà, in modo da aggirare la legge. Decine di europarlamentari hanno già fatto sapere che prenderanno parte all'evento, sfidando così il governo di Viktor Orban.

Contro la legge che vieta la diffusione di contenuti LGBTQIA+ ai minori in Ungheria, si era anche espressa la Commissione Europea che aveva avviato una procedura di infrazione contro il èaese guidato da Orbán per potenziale violazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea: una causa portata davanti la Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE) e a cui hanno anche aderito 16 paesi dell’UE e il Parlamento europeo. Sul caso, era attesa l’opinione dell’avvocata generale Tamara Ćapeta della CGUE, che ha il compito di fornire pareri indipendenti e imparziali sui casi sottoposti alla Corte: secondo Ćapeta, che ha pubblicato il suo parere il 5 giugno 2025, la norma ungherese viola i diritti umani e la libertà di espressione e ha un effetto “stigmatizzante” che “crea un clima di ostilità” verso le persone LGBTQIA+ e priva i minori di informazioni essenziali sulle loro identità. Per quanto non si tratti di un parere vincolante, in molti casi la Corte di giustizia europea ha poi seguito l’opinione espressa dall’avvocato generale. 

Come spiega Katrin Hugendubel, che si occupa di coordinare le attività di politica e advocacy di ILGA Europe, “Azioni simili nel Regno Unito, in Ungheria, in Georgia e altrove non segnalano solo regressioni isolate, ma un contraccolpo globale coordinato volto a cancellare i diritti LGBTI”, che ricalca “il copione russo” e “le tattiche viste finora negli Stati Uniti” e che viene “cinicamente inquadrato come difesa della tradizione o della stabilità pubblica” ma che è “in realtà progettato per consolidare la discriminazione e sopprimere il dissenso”. Che si tratti di un fenomeno internazionale coordinato, come dice Hugendubel, è evidente anche già solo dalle pressioni che gli Stati Uniti stanno provando a fare in Europa: soltanto pochi mesi fa, ad esempio, alcune grandi aziende europee che forniscono prodotti o servizi al governo USA sarebbero state intimate da funzionari governativi statunitensi di rispettare l’ordine esecutivo firmato da Trump contro i programmi di diversità, equità e inclusione, se vogliono mantenere i contratti di collaborazione con l’amministrazione Trump. 

ILGA Europe fa poi notare che anche nei paesi in cui sono stati registrati dei progressi nell’ultimo anno, come la Germania e l’Austria, i diritti delle persone LGBTQIA+ sono comunque a rischio a causa della sempre maggiore influenza dell’estrema destra in questi paesi.

I diritti LGBTQIA+ in Italia

Così come in Europa, “anche in Italia è un periodo abbastanza buio e preoccupante” per la comunità LGBTQIA+, dice a Valigia Blu Silvio Cilento, Presidente di Arci Cosenza e Coordinatore del Centro Antidiscriminazione CAD LGBT+ Cosenza. Nella Rainbow Map l’Italia occupa gli ultimi posti, in particolare a causa della mancanza di tutele esplicite per le persone e le famiglie LGBTQIA+, mentre aumentano gli episodi di violenza e abusi: analizzando i dati dei suoi servizi di supporto relativi all’ultimo anno, il Gay Center di Roma ad esempio ha segnalato un incremento del 12% delle persone che hanno subito atti di violenza o discriminazione. 

Da maggio 2024 a maggio 2025, Arcigay ha poi individuato 110 casi di crimini d’odio, tra cui aggressioni fisiche, insulti, minacce e stalking, perpetrati sia in branco sia in famiglia. Ed è di solo pochi giorni fa l’ennesimo caso di aggressione contro tre donne transgender, picchiate da un gruppo di ragazzi fuori da un locale di Roma: “Sono state aggredite e picchiate, solo perché identificate come donne trans”, ha detto Cilento. Oltre alla violenza fisica, il coordinatore del Centro Antidiscriminazione di Cosenza sostiene che stiano “aumentando tantissimo anche le discriminazioni nei luoghi di lavoro” e la tendenza a “non fare coming out, perché si ha paura di perdere le opportunità lavorative”. Per quanto riguarda nello specifico il CAD cosentino, dice ad esempio Cilento, da quando ha aperto tre anni fa non solo “abbiamo visto aumentare le discriminazioni”, ma è cambiato anche l’approccio delle istituzioni, che nel tempo avevano sempre dimostrato supporto e intenzione a collaborare: “Ultimamente sto notando un po’ di freni da parte delle pubbliche amministrazioni, le scuole, l’università, alcuni comuni, e credo sia dovuto all’atteggiamento violento e di promozione di odio che arriva dal governo e dai media e che si manifesta sui territori”.

Come nel Regno Unito e negli Stati Uniti, anche in Italia poi le persone transgender sono il principale bersaglio della politica e dei media, con il pretesto di voler proteggere i bambini dalla presunta “ideologia gender”: un esempio è quello che è successo con l’ispezione all’ospedale Careggi di Firenze che si occupa di incongruenza e disforia di genere. In seguito a quell’ispezione, il governo ha anche istituito un tavolo tecnico per approfondire il “trattamento della disforia di genere” a cui hanno preso parte 29 persone, tra medici, docenti universitari, esponenti delle istituzioni: esclusa invece la comunità transgender.

A giugno è poi iniziata alla Camera la discussione del ddl Valditara che impone il consenso scritto dei genitori per attività di educazione sessuale e affettiva nelle scuole. Come già denunciato da organizzazioni studentesche e associazioni LGBTQIA+, il ddl rischia di assecondare le pressioni dei movimenti "anti-gender", finendo per promuovere una "eterosessualità obbligatoria".

Il supporto ai diritti LGBTQIA+

Nonostante l’evidente erosione dei diritti delle persone LGBTQIA+, nell’ultimo anno sono stati registrati anche eventi positivi. La Lettonia e la Repubblica Ceca, ad esempio, hanno esteso alle coppie dello stesso sesso la possibilità di registrare la loro relazione legalmente. In Polonia, invece, la Corte Suprema ha stabilito che le persone transgender non devono più coinvolgere i loro genitori in una causa legale per poter avviare la transizione di genere, alleggerendo così il processo tanto a livello burocratico quanto emotivo. 

Sempre in Polonia, è stata poi abolita l’ultima “LGBT-free zone”, ovvero una di quelle aree che dal 2019 si erano dichiarate “libere dall’ideologia gender” e avevano approvato risoluzioni contro la comunità LGBTQIA+. È soprattutto però la reazione dal basso che ha portato i cambiamenti più importanti. È il caso della Croazia, dove molte famiglie omogenitoriali stanno portando avanti cause legali per ottenere il diritto all’adozione per le coppie dello stesso sesso; e anche dell’Italia, dove ad esempio l’associazione di avvocate e avvocati Rete Lenford ha lanciato la campagna “Affermazione Costituzionale”, dopo che alcune Procure avevano chiesto di cancellare il nome delle madri non biologiche dagli atti di nascita di figli e figlie di coppie omogenitoriali: tra i casi seguiti dall’associazione c’è anche quello che ha portato alla sentenza della Corte Costituzionale che ha definito illegittimo che negli atti di nascita non si riconosca la madre non biologica. 

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Il supporto arriva forte anche dalla popolazione generale: nel Regno Unito, ha detto ad esempio O’Thomson, “la maggior parte delle persone non vuole essere escludente”, e tante organizzazioni “vogliono davvero che i loro clienti o dipendenti trans si sentano al sicuro e inclusi”. A Budapest in migliaia hanno manifestato per le strade della capitale ungherese e di fronte il Parlamento contro le ultime leggi e, nonostante il divieto, è stata comunque annunciata la manifestazione del Pride per il 28 giugno, dove gli organizzatori si aspettano una partecipazione persino maggiore rispetto agli anni precedenti: “Non ci faremo scoraggiare o spaventare”, ha detto Jojó Majercsik, portavoce di Budapest Pride. 

Anche Cilento afferma di aver “fortunatamente visto crescere la parata” negli anni, e in generale la quantità di “persone sensibili alle questioni LGBTQIA+ e pronte ad avviare dei percorsi di attivismo anche insieme a noi”: si tratta soprattutto delle nuove generazioni, tra cui “nel nostro territorio sta diventando molto più semplice parlare di certi temi”. Secondo l’attivista cosentino d’altronde è questo il momento in cui “dovremmo essere tutte e tutti uniti nella lotta per i diritti LGBTQIA+, perché parliamo di diritti umani. Anche questo è sinonimo di cittadinanza attiva: scendere in piazza e pretendere che tutte e tutti abbiano gli stessi diritti e le stesse opportunità”.

(Immagine anteprima via rawpixel)

 

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