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Diritti LGBTQ+ in Italia: sempre più lontani dalle democrazie occidentali

17 Giugno 2023 9 min lettura

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Diritti LGBTQ+ in Italia: sempre più lontani dalle democrazie occidentali

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Sabato 10 giugno Roma ha indossato i colori dell’arcobaleno: una marea di persone – oltre un milione secondo gli organizzatori, circa 45 mila secondo fonti della questura – si sono riunite nelle vie e nelle piazze del centro per festeggiare il Pride, la manifestazione che ogni anno, in tutto il mondo, celebra la comunità LGBTQ+, promuove l’inclusività e chiede l’introduzione di nuovi diritti. 

Pochi giorni prima, il 6 giugno, la Regione Lazio aveva annunciato l’intenzione di togliere il patrocinio all’evento, accusando gli organizzatori di promuovere “comportamenti illegali”. Il riferimento era alla pratica della gestazione per altri (GPA), menzionata nel manifesto politico dell’evento ma attualmente vietata dalle leggi italiane. In seguito alle polemiche che puntualmente si sono scatenate online, l’amministrazione Rocca ha rapidamente fatto marcia indietro, rendendosi disponibile a ripristinare il patrocinio a patto di ricevere delle non meglio precisate “scuse” da parte degli organizzatori del Pride, mai arrivate. 

Seppur priva di conseguenze rilevanti – come detto, il Pride si è svolto regolarmente il 10 giugno – la vicenda è sintomatica di quanto lavoro rimanga da fare in Italia per raggiungere la piena inclusione delle persone che si identificano come parte della comunità LGBTQ+, e di quanto ancora sia caldo il dibattito sui loro diritti civili. 

L’ultimo rapporto Rainbow Europe della International Lesbian, Gay, Bisexual, Trans and Intersex Association (ILGA) ha posizionato l’Italia al 22esimo posto tra i 27 Paesi dell’Unione europea per quanto riguarda il rispetto dei diritti LGBTQ+ nel 2022, sotto anche all’Ungheria di Viktor Orban, che ha guadagnato il 20esimo posto. Mentre altri paesi, tra cui Spagna e Finlandia, vanno avanti, l’Italia va in senso opposto, tra commenti omofobi, politiche familiari poco inclusive e assenza di leggi contro la discriminazione.

La situazione dei diritti LGBTQ+ in Italia

Ogni anno dal 2009 il progetto Rainbow Europe analizza la situazione relativa ai diritti legati alla comunità LGBTQ+ in 49 Paesi europei e attribuisce a ognuno di loro un punteggio da 0 a 100. In base a questi parametri viene poi stilata una classifica che fornisce un’idea generale rispetto a quali sono i Paesi più aperti e inclusivi e quali, invece, dovrebbero fare di più per garantire l’uguaglianza e il rispetto di tutti i cittadini. Tra i fattori tenuti in considerazione dallo studio troviamo per esempio la possibilità per le coppie omosessuali di sposarsi e costruire una famiglia, le norme relative al cambio di genere e di sesso, sia dal punto di vista medico che burocratico, e la presenza o meno di politiche contro le discriminazioni e i discorsi d’odio.

Come anticipato, nel 2022 l’Italia si è posizionata al 22esimo posto tra i paesi europei, sotto all’Ungheria e alla Repubblica Ceca e appena sopra alla Lituania, mentre ha guadagnato la 34esima posizione su 49 tra tutti i paesi considerati. Lo scorso anno era al 33esimo posto. 

Tra i fattori che hanno contribuito a farci perdere una posizione, e rimanere quindi saldamente nella parte bassa della classifica, il rapporto cita i numerosi episodi di cronaca nera e gli atti di vandalismo che nell’ultimo anno hanno interessato la comunità LGBTQ+. Tra tutti, ricordiamo il suicidio di Cloe Bianco, la docente di fisica in una scuola superiore nella provincia di Venezia allontanata dal suo ruolo perché transgender. Bianco si è tolta la vita lo scorso giugno.

In questo contesto, il discorso politico non ha di certo favorito un clima di inclusione. Lo scorso settembre, in un’intervista con San Marino TV il deputato di Fratelli d’Italia Federico Mollicone aveva affermato che “in Italia, le coppie omosessuali non sono legali”, mentre a novembre il senatore di FdI Lucio Malan, ospite al programma radiofonico Un giorno da pecora, ha ricordato che secondo la Bibbia l’omosessualità è “un abominio”. 

Sempre nel 2022 si è tornati spesso a parlare di famiglie omogenitoriali, soprattutto in seguito alla decisione da parte di molti comuni di sospendere le registrazioni all’anagrafe dei figli di coppie omosessuali, approfittando di una zona grigia non regolamentata da leggi nazionali. L’Italia ha infatti ottenuto solo 17 punti su 100 nella categoria “famiglia” del report di Rainbow Europe.

In generale, anche dal punto di vista legale la strada da percorrere è ancora lunga: in Italia manca il via libera al matrimonio egualitario (al momento le coppie non eterosessuali possono ricorrere solo all’unione civile, che pone alcune limitazioni per esempio riguardo alla tutela dei figli); leggi efficaci sui discorsi d’odio, dopo il fallimento del cosiddetto “Ddl Zan” contro l’omolesbobitransfobia; e politiche effettive per contrastare la discriminazione in ambito lavorativo, sanitario ed educativo, categoria in cui il nostro Paese ha ottenuto appena 9 punti su 100. 

Le cose vanno meglio, invece, nell’ambito più generale dello spazio pubblico e civile: secondo Rainbow Europe, in Italia gli attivisti LGBTQ+ non sono considerati a rischio, e gli eventi pubblici – come i Pride – si sono svolti in modo libero e pacifico almeno negli ultimi tre anni. Nel 2022, ci sono state tuttavia aggressioni dopo il Pride a Bari, Torino e Napoli.

I paesi che vanno avanti 

Se l’Italia ha perso una posizione rispetto allo scorso anno, altri paesi europei hanno fatto decisamente meglio. La Spagna, per esempio, ha guadagnato sei posizioni ed è salita al quarto posto della classifica generale.

Gran parte del merito va alla cosiddetta “Ley Trans”, approvata definitivamente a febbraio 2023 ma già in discussione da anni, che tra le altre cose consente alle persone di età superiore ai 16 anni di chiedere la rettifica dei documenti per il cambio di genere in modo autonomo, senza che siano necessari certificati medici che accertino la disforia di genere o eventuali interventi estetici o chirurgici. La legge, inoltre, facilita il riconoscimento dei figli delle coppie omosessuali e vieta a livello nazionale le “terapie di conversione” (di recente messe al bando anche in Islanda), una pratica infondata che si propone di eliminare le tendenze omosessuali ed è considerata una forma di tortura da vari esperti legati a organizzazioni per la difesa dei diritti umani, tra cui Amnesty International, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati e l’International Rehabilitation Council for Torture Victims.

Anche la Finlandia ha guadagnato sei posizioni, raggiungendo il sesto posto della classifica, anche in questo caso grazie a passi avanti fatti in termini di riconoscimento legale del genere e autodeterminazione. Menzione speciale per Malta, che per l’ottavo anno di fila rimane il aese in cima alla classifica e quindi il più inclusivo, almeno secondo i parametri utilizzati da Rainbow Europe, con un punteggio complessivo di 80 su 100 (l’Italia è ferma al 25%). 

Chi resta indietro, dalla Polonia al Regno Unito

Se negli ultimi anni molti paesi hanno adottato politiche inclusive per la comunità LGBTQ+, altrettanti sembrano voler restare fermi in una società chiusa e reazionaria, che esclude il diverso e allontana il cambiamento. 

È il caso della Polonia, all’ultimo posto tra i 27 Paesi UE e 42esima nella classifica generale, seguita da San Marino, Monaco, Bielorussia, Russia, Armenia, Turchia e Azerbaijan. Nel 2020, alcune aree della Polonia si erano auto-definite “LGBT-free”, confermando apertamente l’ostilità verso la comunità LGBTQ+ e la chiusura in termini sia ideologici che legali. Nel luglio 2021, la Commissione europea aveva quindi avviato una procedura di infrazione contro il governo conservatore di Andrzej Duda, esponente del partito Giustizia e Libertà, accusato di non aver reagito adeguatamente per garantire “i diritti fondamentali delle persone LGBTIQ”. In seguito, alcune zone LGBT-free sono state revocate per evitare di perdere i fondi europei, e la procedura di infrazione è stata chiusa lo scorso febbraio. I pregiudizi e la mentalità, però, non sembrano essere cambiati. 

A marzo, Duda ha bloccato all’ultimo una proposta di legge che avrebbe permesso al governo di controllare le tematiche discusse nelle scuole, con la possibilità di licenziare o sanzionare gli insegnanti che si mostrano favorevoli a idee considerate controverse. La legge è stata subito percepita dagli oppositori come un tentativo di silenziare il dibattito riguardo all’educazione sessuale e alle tematiche LGBTQ+, verso cui il governo si è sempre mostrato ostile. La Polonia, inoltre, non prevede per le coppie omosessuali la possibilità di sposarsi, unirsi civilmente o creare una famiglia. Non sono in vigore leggi contro le discriminazioni, e le autorità locali cercano spesso di bloccare eventi o manifestazioni legate alla comunità LGBTQ+.

Poco lontano, anche l’Ungheria – sebbene posizionata meglio dell’Italia, al 31esimo posto su 49 – prova da anni a contrastare i diritti civili in ambito LGBTQ+. Ne è simbolo la legge “anti-propaganda” approvata nel 2021 dal governo di Viktor Orban per contrastare la pedofilia ma che prevede, tra i suoi emendamenti, il divieto di diffondere contenuti che promuovono il cambiamento di genere e l’omosessualità nelle scuole. 

Lo scorso aprile, poi, la presidente dell’Ungheria Katalin Novak ha posto il veto su una legge, sostenuta proprio dal partito di Orban, invitando il parlamento a rimuovere un articolo che avrebbe permesso ai cittadini di segnalare anonimamente alle autorità le coppie e le famiglie omosessuali. Inoltre, sempre in Ungheria nel 2020 il parlamento ha approvato una legge che vieta alle persone transgender di cambiare genere sui documenti, e tutt’ora non esistono tutele da questo punto di vista. 

Un atteggiamento chiuso e reazionario nei confronti della comunità LGBTQ+ non interessa solo i paesi dell’est Europa. Dopo aver occupato stabilmente la prima posizione nella classifica di Rainbow Europe dal 2012 al 2015, negli ultimi anni il Regno Unito ha perso molti punti ed è sceso al 17esimo posto. I motivi sono molteplici. Per esempio, nell’ultimo rapporto sui crimini d’odio in Inghilterra e Galles, curato dal governo britannico, si legge che tra il 2021 e il 2022 sono stati riportati oltre 26 mila casi di violenze legate all’orientamento sessuale, un aumento del 41%, mentre i crimini d’odio legati all’identità transgender sono cresciuti del 56%, anche a causa - si legge nel rapporto - del modo in cui il tema è stato trattato sui social media. 

Inoltre, nonostante le richieste degli attivisti, il Regno Unito non ha ancora vietato le “terapie di conversione” – anche se il governo ha annunciato da tempo l’intenzione di approvare una legge in merito, tra molte polemiche – e presenta leggi particolarmente restrittive per l’autodeterminazione del genere, secondo le quali è possibile richiedere la rettifica dei documenti solo a partire dai 18 anni e solo in presenza di una diagnosi di disforia. A fine dicembre la Scozia, in linea con altri paesi europei, ha approvato una legge che abbassa a 16 anni l’età minima per richiedere la rettifica anagrafica ed elimina la necessità di una diagnosi. Pur di evitare l’entrata in vigore della riforma, però, il  governo britannico guidato dal conservatore Rishi Sunak ha fatto ricorso per la prima volta alla Sezione 35 dello Scotland Act, che permette di bloccare una legge già approvata dal Parlamento scozzese se questa riguarda tematiche di competenza del governo centrale. Decisione che il governo scozzese sembra intenzionato a sfidare nelle sedi competenti.

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Un'Europa divisa

In conclusione, il quadro che emerge dal rapporto di Rainbow Europe (e dalle notizie che ogni giorno occupano le pagine di cronaca e politica) è quello di un’Europa divisa, in cui i passi avanti realizzati da alcuni paesi sono affiancati dalla chiusura di altri, che si rifiutano di accettare le trasformazioni della società. Un continente a due velocità, dove i governi conservatori cercano di piegare le leggi per silenziare la comunità LGBTQ+, con l’obiettivo non solo di privarla dei suoi diritti ma anche di eliminare le possibilità di dibattito e dialogo sul tema, mentre altri adattano, a piccoli passi, il proprio sistema legale alle richieste di inclusività. In questo contesto, l’Italia strizza l’occhio alle politiche reazionarie di Polonia, Ungheria, Lituania e Bulgaria e si allontana, invece, dalla strada percorsa dalle democrazie dell’Europa occidentale. 

Ma negare i diritti della comunità LGBTQ+ non spegnerà le proteste nè aiuterà a preservare le tradizioni. Al contrario, l’unico risultato sarà quello di accrescere le diseguaglianze e alimentare ulteriormente le tensioni, in un continente già messo alla prova dagli strascichi di una pandemia e dall’invasione su larga scala dell’Ucraina.

Immagine in anteprima: frame video fanpage.it via YouTube

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