Digiuna 33 giorni per dire no all’inceneritore
5 min letturaIl 3 dicembre scorso Simonetta Gabrielli, presidente di Nimby trentino, ha iniziato un digiuno ad oltranza per manifestare il proprio dissenso per la realizzazione di un inceneritore a Trento. Il 7 gennaio ha dovuto riprendere ad alimentarsi a causa di un eccessivo affaticamento del cuore, già sostenuto durante tutto il periodo con una cura omeopatica. Negli stessi giorni si è appreso che il bando per la costruzione dell'impianto è andato deserto. Abbiamo intervistato Simonetta per capire meglio i motivi della protesta ed il contesto in cui si è svolta.
Come è stato scritto nella lettera delle richieste inviata a quindici interlocutori fra politica, economia, sindacati e il Vescovo, il digiuno ad oltranza si faceva carico di rinnovare la richiesta di confronto per una revisione della decisione di incenerire i rifiuti. Chiari segnali di apertura con la definizione delle date degli incontri richiesti era la richiesta per sospendere.
Nella lettera, ho fatto il personale riferimento al frutto delle meditazioni fatte nel corso del ritiro nel monastero delle Servite di Maria di Arco (TN), dove ho passato la prima settimana di digiuno con lo scopo di trovare e mantenere un equilibrio tale che mi consentisse di proseguire con determinazione e centratura nel percorso intrapreso. Frutto che può ricondursi a tre parole: libertà, amore e speranza.
Nel merito di queste parole, nella lettera scriviamo “potremmo dire che l’azione svolta in questi anni da Nimby trentino fonda la sua essenza sulla speranza, sostenuta dalla consapevolezza acquisita attraverso la conoscenza. Sulla speranza che l’amore per questa nostra terra prevalga e che possa arrivare quel vento di libertà che sradichi ciò che pare immutabile.”
Citando Simon Weil: “Noi bussiamo con la speranza che ci venga aperto, sta all’altro aprire la porta”.
Non possiamo dire di aver ottenuto risposte. Unica nota nel silenzioso panorama della politica è un timido, e forse obbligato, segno di disponibilità del Sindaco. Ha dichiarato alla stampa, ma anche a me personalmente, un prossimo incontro in forma strettamente privata “per parlare della questione rifiuti, per ascoltare, per ascoltarci”.
Il non riconoscimento nel caso di specie, è passato anche attraverso la derisione avvenuta da parte del Vescovo trentino sull’acronimo Nimby.
In secondo luogo, però, dobbiamo fare attenzione a non cantare vittoria perché è anche ipotizzabile che questo fermo sia frutto di un calcolo ben preciso. Calcolo che potrebbe portare a giocare la partita inceneritore in casa evitando di contendersi il giocattolo d’oro con concorrenti sgraditi. Così come è accaduto ai cugini di Bolzano.
Dobbiamo anche ricordare che oggi c’è un appello in Consiglio di Stato su due ricorsi persi al TAR di Trento (unico TAR, con Bolzano, ad avere due giudici non togati di nomina provinciale …). Un ricorso presentato da due comuni a nord di Trento, che subirebbero le ricadute dell’impianto, che lamentano la mancata convenzione fra i comuni trentini che avrebbe dovuto vederli tutti coinvolti nell’iter delle scelte legate all’impianto, convenzione appositamente prevista dalla normativa.
L’altro ricorso è stato presentato dal Centro riciclo di Vedelago (TV) per mancata concorrenza essendo il bando chiuso alla sola combustione dei rifiuti. A questo ricorso abbiamo aderito come associazione.
Il sistema gestionale su cui si basa l’alternativa proposta è frutto dello studio commissionato da alcuni comuni della piana Rotaliana all’ing. Cerani. Tale studio è stato proposto a più riprese da Nimby trentino e di recente anche dal Coordinamento Trentino pulito, un nuovo soggetto sulla scena dell’opposizione costruttiva all’inceneritore. Questo sistema prevede di realizzare tre piattaforme per la selezione e lavorazione del rifiuto, anche di quello secco indifferenziato, in grado di gestire circa 75.000 ton di materie prime, che è il quantitativo rapportabile al fabbisogno di rifiuti per l’inceneritore di Trento.
Queste piattaforme possono impiegare circa 120 persone. Dopo la fase della cernita manuale, nella quale si procede ad una vera e propria separazione fisica dei materiali per tipologia di appartenenza (plastiche, metalli, carta, cartoni ecc.), i vari gruppi di materiali passano alla fase meccanica automatica. La consistente frazione delle plastiche viene colata a basse temperature (estrusa, intorno ai 180°), e amalgamata in un unico impasto. Si procede con la triturazione e con la produzione di un granulato sintetico che diventa materia prima seconda per varie applicazioni, quali aggreganti per malte cementizie e varie componenti in edilizia e nell’arredo.
Il materiale precedentemente selezionato di diversa matrice, quale ad esempio carta o metalli rientra già da solo nel circolo del recupero, ma con la precedente selezione sulla parte indifferenziata, si riescono a recuperare ulteriormente altre quantità di carta e metalli, che ritornano nel ciclo produttivo, come già avviene per la parte dedicata alla raccolta differenziata di questi materiali.
Alla fine del ciclo produttivo, rimane un residuo che oscilla tra il 6-8% sulla produzione totale di rifiuti: sono le 15-20.000 tonnellate inerti da mettere a discarica.
Va detto che, qualsiasi sistema si voglia adottare, il ciclo dei rifiuti non potrà mai essere chiuso totalmente; il ciclo meccanico produce un residuo con percentuali relativamente basse e notevolmente inferiori a quelle generate da un inceneritore, il quale lascia un residuo oscillante intorno al 30%, con un quantitativo del 5% di rifiuto tossico. Secondo il piano provinciale le scorie da incenerimento sommano a 24.500 tonnellate l’anno.
Non ultimo è importante sostenere l’associazione con il tesseramento, con le donazioni liberali (siamo ONLUS e dunque le donazioni si possono detrarre dal 730) e con il versamento del 5xmille in dichiarazione dei redditi (codice fiscale 960 6865 0223.)
Tre motivi per dire 'no' agli inceneritori.
1. Gli inceneritori sono macchine rigide e altamente inquinanti che bloccano la differenziata.
2. Una volta costruito, un inceneritore va alimentato per minimo 20 anni, il futuro dei nostri figli.
3. Ruba materia prima al Pianeta e ruba risorse economiche (certificati verdi) alle vere fonti di energia rinnovabile.