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La “denazificazione” di Putin in Ucraina rischia di rafforzare i neonazisti in tutta Europa

3 Marzo 2022 12 min lettura

La “denazificazione” di Putin in Ucraina rischia di rafforzare i neonazisti in tutta Europa

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Nell’annunciare l’invasione dell’Ucraina, Vladimir Putin ha detto chiaramente che l’obiettivo principale è “demilitarizzare” e “denazificare” il paese.

Secondo il presidente russo, infatti, l’Ucraina sarebbe uno stato fantoccio guidato da “drogati” e “neonazisti” – nonostante il presidente ucraino Volodymyr Zelensky sia di fede ebraica, e tre suoi parenti siano state vittime della Shoah. Negli ultimi anni, specialmente a partire da Euromaidan e dallo scoppio del conflitto in Donbass, la propaganda del Cremlino ha martellato moltissimo sulla presunta “nazificazione” dell’Ucraina; ma non l’ha inventata da zero, anzi.

Si tratta di un’argomentazione usata da decenni, che affonda le sue radici nella Seconda guerra mondiale e gira intorno a una delle figure più controverse della storia nazionale ucraina: quella di Stepan Bandera, assassinato dal KGB a Monaco di Baviera nel 1959.

Bandera era un fascista convinto, membro dell’Organizzazione dei nazionalisti ucraini e fondatore dell’Esercito insurrezionale ucraino (UPA) – il braccio armato dell’Organizzazione dei nazionalisti ucraini (OUN). La milizia ha combattuto prima contro i polacchi, sterminandone 60mila in Galizia e Volinia, poi ha collaborato con i nazisti contro l’Armata rossa, contribuendo all’Olocausto; infine si è lanciata contro gli stessi tedeschi.

Come ha ricordato Danilo Elia in un articolo sull’Osservatorio Balcani e Caucaso, “Bandera e i suoi hanno combattuto una guerra partigiana, cinica e spietata, non preoccupandosi di eliminare chiunque costituisse un ostacolo al predominio degli ucraini a ovest del Dnipro”.

Lo stesso Putin ha tirato in ballo Bandera più volte. Nel discorso alla nazione con cui ha riconosciuto l’indipendenza delle “repubbliche” separatiste di Donetsk e Lugansk, ad esempio, il presidente russo ha detto che l’attuale governo di Kyiv è un “regime neonazista banderista” che vuole commettere un “genocidio” ai danni della popolazione russofona dell’Est.

Chiaramente, l’intera questione della “denazificazione” è un’impostura che fa leva su un fatto reale e riscontrabile (la presenza di neofascisti e ultranazionalisti nel panorama politico ucraino), lo ingigantisce a dismisura e lo fa diventare la giustificazione principale di una guerra.

Ma è un pretesto davvero assurdo, e per un motivo preciso: se la presenza di gruppi di estrema destra fosse sufficiente a scatenare un’invasione, allora ogni paese europeo dovrebbe essere “denazificato” con la forza - Russia compresa.

Al tempo stesso, la fissazione di Putin per i “banderisti” di Kyiv non permette di capire quale sia effettivamente il loro peso: non è vero che sono ovunque, come insistono i media russi e quelli esteri allineati alla posizione del Cremlino; ma non è nemmeno vero che non esistono o sono totalmente insignificanti, sebbene il loro peso elettorale sia pressoché nullo.

Insomma: chi sono davvero questi famigerati “neonazisti” ucraini? Quanto contano all’interno della società ucraina? Che legami hanno con i movimenti in altri paesi? E che ruolo ha – e ha avuto finora – l’estrema destra nel conflitto ucraino?

La rinascita e l’ascesa dell’estrema destra nell’Ucraina post-sovietica

A parte il precedente dell’UPA, la storia dell’estrema destra ucraina contemporanea parte tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta.

Nel 1991 viene fondata l’Assemblea nazionale ucraina (UNA), che raggruppa varie formazioni minori (come l’Assemblea interpartitica ucraina, UMA) e l’Unione nazionale ucraina (UNS). L’UNA si dota molto presto anche di un’ala paramilitare apertamente ispirata all’UPA di Bandera: l’Autodifesa nazionale ucraina (UNSO).

I militanti di UNA-UNSO sono piuttosto attivi sia dentro che fuori l’Ucraina. Partecipano nella guerra di Transnistria del 1992, combattono al fianco dei georgiani contro i ribelli filorussi dell’Abkhazia e assieme ai ceceni nella prima guerra cecena, intervengono anche nel conflitto dell’ex Jugoslavia schierandosi con i nazionalisti croati.

Nello stesso periodo, e più precisamente il 13 ottobre del 1991, a Lviv (Leopoli) nasce il Partito social-nazionale ucraino (SNPU). Anch’esso è il frutto dell’integrazione tra vari gruppuscoli di estrema destra: ci sono i veterani della guerra dell’URSS in Afghanistan, i giovani nazionalisti di Eredità (Spadshchyna), i membri di Fratellanza studentesca di Lviv guidati da Oleh Tiahnybok, e i membri della milizia paramilitare Varta Rukhu (i “Guardiani del movimento”).

Il simbolo scelto dal Snpu è il Wolfsangel, il cosiddetto “dente di lupo” usato dalle SS naziste. Nel corso degli anni Novanta il partito si fa notare per i picchetti davanti al parlamento monocamerale di Kyiv (la Verchovna Rada) e attrae ultras e bonehead. Nel 1999, seguendo la tradizione dell’estrema destra ucraina, anche l'SNPU si dota di un’organizzazione paramilitare chiamata Patrioti dell’Ucraina.

I risultati elettorali sono però disastrosi, e all’inizio degli anni Duemila il partito è in crisi profonda. Serve una svolta, che arriva al congresso del 2004: in quell’occasione viene cambiato il nome in Svoboda (Libertà) e Tiahnybok è nominato presidente. L’obiettivo è quello di darsi una ripulita e diventare la principale forza d’opposizione nazionalista del paese.

Oleh Tiahnybok (al centro) in una marcia celebrativa dell’Upa tenutasi a Kiev nel 2012. Foto via Wikimedia Commons.

Nel 2009 il partito registra la prima, significativa affermazione alle urne: ottiene quasi il 35 per cento dei voti nell’oblast di Ternopil, conquistando 50 seggi su 120 nel consiglio locale. Alle amministrative del 2010 ottiene il 5,2 per cento su base nazionale, con punte del 30 nella Galizia orientale.

Un aiuto inaspettato a Svoboda arriva dal presidente Viktor Yanukovich, che - ricorda il giornalista Simone Pieranni - appena eletto nel 2010 decide di “costruirsi il nemico pubblico” per “indebolire le opposizioni in parlamento” rafforzando proprio il partito di Tiahnybok, cioè “un estremo dell’arco politico”. A Svoboda viene concesso moltissimo spazio sui media, che sfrutta abilmente.

Si arriva così alle elezioni parlamentari del 2012, dove Svoboda incassa uno storico 10,44 per cento dei voti e conquista 38 seggi alla Verchovna Rada. Secondo il politologo Anton Shekhovtsov un simile risultato non va interpretato come “l’indicazione di una crescita di razzismo e xenofobia nella società ucraina”, ma piuttosto come una complessa “combinazione di svariati fattori”.

Anzitutto, scrive sulla rivista Eurozine, Svoboda è stato considerato come “uno dei pochi partiti ucraini ad avere un’ideologia” forte e radicata, nonché come “un’alternativa al Partito delle Regioni e al presidente Yanukovych”. Inoltre, dice Shekhovtsov, il partito ha beneficiato sia del declino dei partiti tradizionali che delle politiche dello stesso Yanukovych, percepite come “anti-ucraine” e troppo appiattite sulla Russia.

Il momento di grazia, tuttavia, non dura molto. Nel corso del 2013 il supporto nei confronti della formazione di estrema destra cala progressivamente, e a novembre precipita ad appena il 5.1 per cento - poco sopra la soglia di sbarramento. Ma è proprio in quel mese che cambia tutto, ancora una volta. Yanukovych si rimangia infatti le promesse elettorali e non firma il pre-accordo di associazione con l’Unione Europea, dando il via alle prime manifestazioni che poi sfoceranno nel cosiddetto Euromaidan.

Dalle barricate di Euromaidan alla guerra in Donbass

Nonostante sia sempre stata alleata con movimenti neofascisti ed euroscettici (tra cui Forza Nuova), e persegua politiche estremamente illiberali, Svoboda aderisce sin da subito alle proteste a Kyiv e in altre città ucraine.

Per il partito, infatti, Euromaidan rappresenta la perfetta occasione di recuperare il consenso perduto, nonché una formidabile piattaforma per fare propaganda e consolidare la propria influenza politica.

Come annota Volodymyr Ishchenko, sociologo e docente presso l’Istituto Politecnico di Kyiv, Svoboda ricopre “un ruolo indispensabile nelle proteste” fornendo appoggi di tipo logistico, economico, mediatico e materiale. Pur essendo numericamente minoritaria all’interno della mobilitazione, continua, la formazione di estrema destra può infatti disporre di “attivisti fortemente ideologizzati, le risorse di un gruppo parlamentare, e posizioni di potere nelle autorità locali delle regioni occidentali”.

Oltre a Svoboda, alle proteste partecipano formazioni ancora più estreme e violente - come C14, un gruppuscolo neonazista fondato a Kyiv nel 2009, e soprattutto Settore Destro (Pravy Sektor). Quest’ultimo nasce alla fine del 2013, proprio sulle barricate di Euromaidan, ed è l’ennesimo contenitore di piccoli movimenti neofascisti. La sua presenza imprime una svolta violenta alla protesta, e i militanti – come sottolinea il giornalista Danilo Elia in un articolo dell’epoca – “[spingono] per l’occupazione dei palazzi pubblici, per la linea intransigente col governo e [adottano] metodi da guerriglia urbana contro la polizia”.

Il leader Dmytro Yarosh non fa mistero di voler sfruttare e fomentare l’escalation repressiva del governo di Yanukovych per radicalizzare le posizioni dei manifestanti e arrivare a una più ampia “rivoluzione nazionale”; un tentativo che rimarrà comunque velleitario. L’enorme visibilità conquistata sul campo, infatti, non si traduce in altrettanti voti. Al contrario: alle elezioni presidenziali e parlamentari del 2014, le prime post-rivoluzione, va malissimo. Settore Destro (che tenta la strada elettorale) prende rispettivamente lo 0.7 e l’1.8 per cento; Svoboda si ferma invece all’1.16 e al 4.71 per cento, dimezzando dunque il proprio consenso e uscendo dal parlamento.

Militanti di Settore Destro a Kiev durante Euromaidan. Foto via Wikimedia Commons.

Dopo Euromaidan arrivano l’annessione della Crimea e la guerra nell’est del paese. Per sopperire all’impreparazione e all’inadeguatezza dell’esercito regolare, le autorità ucraine si avvalgono del contributo dei cosiddetti “battaglioni” formati dai volontari. A parte quello affiliato a Settore Destro (chiamato Corpi volontari ucraini, DUK), il più importante nell’area dell’estrema destra è senza dubbio il Battaglione Azov.

Seguendo pedissequamente la storia di altri gruppi, Azov nasce nel maggio del 2014 dalla fusione di due movimenti paramilitari e neonazisti: i Patrioti dell’Ucraina - nel frattempo sganciatosi dall’orbita di Svoboda - e l’Assemblea social-nazionale. Il Battaglione è in prima linea nella battaglia di Mariupol (che ancora adesso è la loro base) e contribuisce alla riconquista della città, venendo poi premiato con l’inquadramento nella Guardia nazionale ucraina.

Alcuni rapporti dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani tratteggiano un riquadro decisamente meno eroico: nel corso della guerra, il Battaglione si sarebbe reso responsabile di uccisioni indiscriminate di civili, saccheggi e torture.

Il fondatore di Azov è Andriy Biletsky, un militante estremista conosciuto come il “Führer bianco” e originario di Kharkiv (la seconda città ucraina per grandezza dopo Kyiv, situata ad est). Nel 2007, quando era il leader dei Patrioti dell’Ucraina, disse che la vera missione del paese è quella di “guidare le nazioni bianche nella crociata contro i subumani semiti”.

Diverse inchieste hanno sottolineato i legami di Biletsky con il potente politico del Fronte Popolare Arsen Avakov. Quando quest’ultimo era presidente dell'amministrazione regionale di Kharkiv tra il 2005 e il 2010, i Patrioti dell’Ucraina hanno collaborato attivamente con le forze dell’ordine nella caccia ai migranti “irregolari”.

Da ministro dell’Interno (incarico ricoperto tra il 2014 e il 2021) Avakov è stato invece accusato di aver tollerato e addirittura favorito le azioni di Biletsky e Azov, permettendo la loro espansione. Dal 2016 al 2018 Azov fonda il proprio partito politico (il Corpo nazionale), allaccia rapporti con movimenti stranieri (tra cui CasaPound), e inaugura l’ala paramilitare Milizia nazionale – che in pochi mesi organizza pogrom contro la minoranza rom e commette attacchi omofobi ai danni della comunità LBGTQ+ ucraina.

In vista delle elezioni del 2019, Azov stringe un’alleanza elettorale con Svoboda, Settore Destro e altri partiti di estrema destra. Anche questa volta, i risultati sono deludenti: appena il 2.3 per cento dei voti.

Ma è un errore pensare che l’influenza dell’estrema destra ucraina si esaurisca alle urne, o che l’assenza fisica nelle istituzioni equivalga alla loro inesistenza. “Il loro potere extraparlamentare”, avverte il sociologo Volodymyr Ishchenko, “è tra i più forti in tutta Europa”; ed è un potere che deriva dalla disseminazione della propaganda nazionalista all’interno della società, dalle attività paramilitari dentro e fuori il Donbass, dalla complicità delle forze dell’ordine – che del resto è un problema comune a molti altri paesi, basti pensare alla Germania – nonché dalle stesse azioni di Vladimir Putin.

Il campo d’addestramento dell’estrema destra globale

Sin dai primi momenti, il conflitto in Donbass ha attirato tanti foreign fighter da tutto il mondo. Secondo le stime contenute in un rapporto del 2020 stilato dal Counter Extremism Project (CEP), si parla di circa 17mila volontari da più di 50 paesi. Di questi, la grande maggioranza (ben 15mila) proviene dalla Russia. Un migliaio, invece, sono partiti da nazioni occidentali – e dal 50 all’80 percento del totale, sempre secondo il CEP, avrebbe posizioni di estrema destra.

La cosa non deve sorprendere più di tanto: come ha sottolineato Anton Shekhovtsov al quotidiano Il Manifesto, «per molti esponenti dei gruppi di estrema destra ogni guerra è una sorta di sogno che si realizza, una realizzazione della loro volontà di violenza».

L’aspetto peculiare è che, in questo caso, i combattenti fascisti si sono equamente divisi tra il campo ucraino e quello filorusso. Da una parte, infatti, si è optato per il nazionalismo ucraino e l’ideale di una “rivoluzione nazionale”; dall’altra si è deciso di unirsi a Putin, visto come un bastione di resistenza al “globalismo” e alla corruzione morale delle democrazie liberali occidentali.

In un’intervista a Vice World News, ad esempio, l’ex neonazista svedese Mikael Skillt ha spiegato di essersi arruolato nel Battaglione Azov perché affascinato «dal ruolo ricoperto da ultranazionalisti e ultras a Euromaidan». Lo stesso percorso è stato intrapreso anche da un neofascista italiano, F. S. F., che ha partecipato alla rivoluzione al fianco dei militanti di Settore Destro e poi si è unito ad Azov.

Un’inchiesta del sito investigativo Bellingcat ha rivelato che alcuni membri del battaglione Azov hanno avuti contatti con l’organizzazione semi-clandestina statunitense Atomwaffen Division e con il neonazista norvegese Joachim Furholm (già cacciato dall’esercito ucraino nel 2018) che avrebbe cercato di reclutare estremisti. Nel 2019, come ha riportato il giornalista Christopher Miller di BuzzFeed, l’Ucraina ha inoltre espulso due neonazisti americani che volevano “unirsi a unità ucraine per ottenere un addestramento militare e usarlo per commettere reati”.

Con i separatisti filorussi, invece, si sono schierati i militanti del Movimento imperiale russo - RIM, un gruppo di estrema destra russo nato nel 2002 a San Pietroburgo, che sostiene di battersi per “il dominio della razza bianca” - e quelli dell’Unità nazionale russa (RNE, fondato nel lontano 1990), che in passato hanno preso parte a diverse guerre.

Nel giugno del 2014, Rim ha aperto una sede a San Pietroburgo interamente dedicata all’addestramento di foreign fighter da mandare in Ucraina. Nell’aprile del 2020 il governo degli Stati Uniti ha inserito il Movimento imperiale russo nella lista delle organizzazioni terroristiche, dicendo che ha “fornito un addestramento paramilitare a suprematisti bianchi e neonazisti in Europa”. Qualche mese dopo, la rivista tedesca Focus ha rivelato che alcuni estremisti di destra tedeschi hanno partecipato a una esercitazione di RIM.

Oltre a queste due formazioni russe, nelle sedicenti “repubbliche popolari” sono confluiti altri gruppuscoli e singoli militanti non affiliati a specifiche formazioni – tra cui anche diversi italiani. Il più noto è Andrea Palmeri, un ex militante di Forza Nuova nonché ex leader dei Bulldog (un gruppo di ultras della Lucchese). L’uomo si trova a Lugansk dal 2014 ed è latitante: nel 2021 è stato condannato in primo grado a cinque anni di reclusione nel processo sul reclutamento di mercenari dall’Italia al Donbass.

In base alle stime di Natalia Yudina e Alexander Verkhovskyin in lungo articolo pubblicato sulla rivista Nationalities Paper, i combattenti filorussi di estrema destra si aggirano tra le 100 e le 200 unità.

Andrea Palmeri, a sinistra, in una foto di qualche anno fa pubblicata sul suo profilo Facebook.

In sostanza, ha dichiarato Ali Soufan del think tank anti-estremismo The Soufan Group, "l’instabilità in Ucraina offre ai suprematisti bianchi le stesse opportunità di addestramento e radicalizzazione che l’instabilità in Afghanistan, Iraq e Siria ha offerto per anni ai militanti jihadisti".

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Le autorità di diversi paesi occidentali sono preoccupate che l’invasione russa possa esacerbare questa dinamica. A tal proposito, il Guardian ha svelato che nelle ultime settimane la polizia antiterrorismo del Regno Unito ha effettuato dei controlli mirati in uno dei principali aeroporti del paese, dopo che “alcuni militanti neonazisti sarebbero partiti per l’Ucraina dagli Stati Uniti e da un paese europeo”.

Il paradosso, insomma, è che la “denazificazione” dell’Ucraina sbandierata da Putin rischia di portare al suo esatto opposto – ossia alla creazione di un gigantesco campo d'addestramento per l'estrema destra occidentale, e quindi a una potenziale “nazificazione” del paese.

Immagine anteprima via Wikimedia Commons

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