DDL Zan, la pericolosa convergenza fra nazionalisti di destra e sinistra, Vaticano, fondamentalisti religiosi, neoliberali e femonazionaliste
7 min letturadi Ethan Bonali
Ci sono temi che uniscono in maniera trasversale realtà apparentemente inconciliabili. Ci si deve inoltrare al di là degli schieramenti e della declinazione politica di alcuni principi e arrivare alla concezione di società
che queste realtà hanno di base per scoprire un terreno comune vastissimo. Se si salta questo passaggio l’attuale convergenza dentro e fuori il Parlamento sembra surreale. Gli attori di tale convergenza sono molteplici: l’estrema destra nazionalista, il fondamentalismo cattolico, lo Stato Vaticano, la sinistra nazionalista, neoliberali e alcune esponenti del femminismo conservatore che chiameremo femonazionaliste, così come sono individuate nell’opera “Femonazionalismo” di Sara R. Farris.
Se facciamo mente locale non è la prima volta che si assiste a convergenze di questo tipo. Tornando con la memoria al decennio precedente, e a partire dall’11 settembre, possiamo riconoscere la strumentalizzazione dei diritti delle donne a scopo anti-migratorio e xenofobo, attraverso la criminalizzazione dello straniero di religione islamica.
Ed è la difesa di donne e bambini che viene nuovamente strumentalizzata contro alcune categorie prive di tutele e che sono, finalmente, ad un passo dall’ottenerli. I movimenti sono stati chiari, e per certi versi elementari, per chi osserva da tempo alcune dinamiche, simpatie, ammiccamenti. Ricordiamo, per il versante femminista, Marina Terragni, dalle colonne del suo blog “FemminileMaschile” all’indomani della notte di Capodanno a Colonia afferma che “Il centro del discorso non è 'salvare' gli immigrati a tutti i costi ma certo salvaguardare sempre le donne. Solo questo, a conti fatti, mi può riguardare”. Della stessa posizione sono Monica Lanfranco, Giuliana Sgrena. Dal versante cattolico fondamentalista abbiamo assistito a forme di comunicazione fino a poco tempo prima sconosciute in termini di attrazione di massa elettorale con toni xenofobi e islamofobi. Hanno raccolto questo clima non solo Lega e FdI, cui è stata aperta la strada per diventare partiti di maggioranza, ma all’interno dello stesso PD, con l’allora presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, che si è aperto alle politiche di accordo con la Libia per il contenimento degli sbarchi.
Se si tengono presenti questi antefatti non si resta stupiti del presente e non si resta stupiti della sfilata di alcune femministe, o in maniera più appropriata “femonazionaliste”, a fianco di imam, associazioni pro vita, sostenitori di terapie riparative per omosessuali e persone transgender. Le audizioni sono state infatti la strategia per guadagnare tempo per eventuali accordi – tutto si gioca su pochi voti in Senato – e per fornire una giustificazione accettabile e di simil-sinistra ad alcuni e soprattutto alcune parlamentari per defilarsi dalle posizioni di partito. Il caso più emblematico è quello dell’On. Valeria Valente che, ignorando precedenti giuridici nazionali ed internazionali sulla definizione di identità di genere ha sostenuto la tesi sulla dannosità e indeterminatezza di tale termine.
Attraverso una costruzione durata anni, le esponenti femonazionaliste hanno creato una narrazione oggettificante, patologizzante e criminalizzante delle persone transgender dalle quali si devono difendere donne e bambini e, soprattutto, la struttura sociale occidentale – superiore per definizione a qualunque altra – basata sulla dualità di genere uomo-donna, nucleo della famiglia, e il concetto di maternità a paternità.
Ecco il terreno di incontro tra Vaticano, neo-liberali, nazionalisti di destra e sinistra e femonazionalismo e lo spazio di parola dato a vere e proprie fake news quali lo sdoganamento della gpa, sesso con animali, cancellazione delle donne e della famiglia naturale.
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Le argomentazioni utilizzate nel dibattito al Senato sono volutamente fatte di esagerazioni, fake news e veri e propri discorsi discriminatori e di odio. Esse esauriscono nell’iperbole la propria utilità e sono usate per evitare il confronto. Come scrive Giulia Blasi "sarebbe impreciso dire che la discussione al Senato sul DDL Zan sta facendo uscire i mostri: li ha, piuttosto, concentrati in un’unica sala, nell’arco di pochi giorni. Non mi faccio problemi a usare il termine 'mostri' per definire le teorie bizzarre e deformi portate avanti da chi si oppone alla legge contro i crimini d’odio per sostenere le proprie argomentazioni, e allora vai di fantasia, vai di distorsione, falsità, invenzione o negazione della realtà. Simone Alliva su L’Espresso ne fa una bella – vabbe’ si fa per dire – antologia, con alcuni grandi classici (“l’utero in affitto” tirato in ballo a casaccio, quando la legge si occupa di tutt’altro, ma come spauracchio funziona sempre; oppure il solito Simone Pillon, che non si fa scrupolo di tirare in ballo l’ignaro Federico Chiesa, strumentalizzando la sua chiamata alla mamma dopo la vittoria agli Europei) e qualche new entry (la senatrice Ronzulli, che se ne esce con un incredibile “fluid gender” sostantivato: “La teoria del fluid gender”, deve essere la cara vecchia teoria gender che sale di livello)".
Fallito il tentativo di spaccare il fronte PD – M5s, i quali stanno mantenendo, anche dietro richiesta di numerosissime associazioni LGBT e femministe, la linea di coerenza del testo licenziato alla Camera, esaurito il tempo dell’ostruzionismo in commissione e delle audizioni, si sta utilizzando l’ultima strategia di affossamento del DDL: la “mediazione”.
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Le strategie preliminari hanno avuto anche l’effetto di dipingere le forze politiche promotrici della legge come irragionevoli ed estremiste e per riproporre l’adagio che recita che “la virtù risiede nel mezzo”. Le estreme destre, insieme al Vaticano, sono divenute le depositarie dei diritti della maggioranza anche grazie allo slogan, di grande efficacia, in difesa della libertà di parola confusa con la libertà di dire tutto ciò che si desidera, anche a danno di altri.
Ma una mediazione diretta tra estrema destra e partiti di centro – sinistra non era possibile e vi era la necessità di un soggetto politico dai contorni labili e con una storia di avvicinamento alle destre. Italia Viva, nella persona di Matteo Renzi, è il soggetto politico perfetto. La lunga preparazione al dibattito in Senato ha permesso di far dimenticare sia che l’art.1, con le definizioni tanto contestate, è stato proprio frutto di questo partito, sia che IV ha votato compattamente il testo alla Camera. Vedremo quali emendamenti IV presenterà, conscia che potrebbero non essere votati neppure dalle destre e conscia che tali emendamenti la qualificheranno agli occhi dell’elettorato.
Prima di andare verso le considerazioni finali di questo articolo vale la pena citare un fatto, apparentemente puro colore locale, avvenuto in Senato: il coming out della senatrice di FI Barbara Masini.
Non si tratta di un semplice fatto personale. Masini è divenuta veicolo di una nuova mediazione e di una nuova proposta di modifica al DDL. La senatrice, dalle colonne del Corriere della sera, invita a cancellare l’art.1, contenente le definizioni già previste nella giurisprudenza italiana, l’art.4 sul pluralismo di idee e libertà di scelte e, soprattutto l’art.7 riguardante l’educazione nelle scuole.
Tale proposta ha aperto una breccia sul fronte a favore del Ddl ed è stata ritenuta “appetitosa” da alcuni esponenti del mondo LGBT. Superando Arcilesbica, ormai fuori dalle logiche di movimento e schierata dalla prima ora con l’estrema destra, la seconda mediazione ha riscosso apprezzamento. All’interno del movimento LGBT la sfiducia nell’approvazione della legge di contrasto all’odio e all’omobilesbotransfobia ha aperto scenari di interessi di leadership tutti interni al movimento stesso. Tuttavia la mediazione lanciata dalla senatrice di FI è un boccone avvelenato. Dietro la sua apparente appetibilità e ragionevolezza – si mantiene infatti l’identità di genere, svelando che questa è stata solo strumentalizzata per giungere alla modifica che davvero interessa - si deve continuare a tenere presente che ogni modifica al testo proposto significa il definitivo affossamento della legge – come spiega il giornalista Simone Alliva – e che l’accordo proposto strumentalizzando il coming out di Masini svela la reale preoccupazione dei conservatori: l’educazione alle differenze e al rispetto.
Sullo sfondo di questo rumoroso scampolo di storia italiana ci sono le persone la cui vita cambierebbe radicalmente con l’approvazione di uno strumento a contrasto dei discorsi di odio e discriminazione.
Nonostante si sia parlato in ogni modo e fuori luogo di identità di genere, le persone transgender non sono mai state interpellate. Per questo motivo, alla vigilia di una giornata cruciale al Senato, parte del movimento trans ha pubblicato sui social un video con un unico e semplice messaggio: ci state condannando a morte. Sappiamo chi sono i responsabili. Il video pubblicato è accompagnato da un comunicato che ci ricorda come i diritti non sono mai acquisiti una volta per tutte e che il meccanismo in atto può essere applicato su qualunque diritto crediamo acquisito una volta per tutte.
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Occorre infatti comprendere che la convergenza che stiamo osservando tra nazionalisti di destra e sinistra, Vaticano, fondamentalisti religiosi, neoliberali e femonazionaliste è pericolosa. Occorre ricordare la convergenza che vi fu per l’inserimento dell’obiezione di coscienza per l’aborto e per lo svuotamento della legge 40 e tenere presente le posizioni di un certo femminismo , alleato delle forze più conservatrici ed oggi fatto passare per l’unico femminismo anche con la cancellazione e criminalizzazione di qualunque altra posizione femminista. Occorre individuare le posizioni del femminismo nazionalista e suprematista perché queste sono rivolte a quella parte di popolazione che è sempre stata favorevole all’allargamento dei diritti: le donne. L’altro soggetto silenziato da questo dibattito è stato proprio il femminismo, anzi, i femminismi.
Chiudo ricordando una data che ha un valore storico ancora non riconosciuto: il 30 marzo 2019.
In questa data la poderosa convergenza tra movimento femminista di "Non una di meno" e movimento LGBT fece capire alle forze reazionarie che esisteva un soggetto politico in grado di avere un impatto ed una rappresentatività non recintabili da confini di partito e, soprattutto, di coinvolgimento diretto delle persone. Era vitale quindi ridefinire la narrazione sul femminismo per nascondere ciò che non è controllabile e appropriarsi del termine.
Il DDL Zan di per sé non è la conquista maggiore. La ritrovata compattezza dei movimenti per i diritti e le manifestazioni di questi giorni, che hanno mostrato una base generazionale di giovani consapevoli e proiettata verso il futuro e verso un’idea di società fatta di fiducia e condivisione, e non di paura e finti confini da difendere, va già oltre l’esito delle votazioni in Senato. La rivoluzione culturale che terrorizza i reazionari è già in atto, e non è il gender.
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