Il Grøn Tripartite-aftale, lo storico patto verde che in Danimarca cerca di conciliare ambiente e produzione
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Il 18 novembre scorso in Danimarca è stato presentato il Grøn Tripartite-aftale, un accordo storico che il governo ha definito come "uno dei più grandi cambiamenti del paesaggio danese degli ultimi 100 anni". La riforma, frutto di mesi di negoziati tra il governo, il settore agricolo, i sindacati e i gruppi ambientalisti, mira a trasformare radicalmente il modello agricolo del paese, modernizzando l´agricoltura, riducendo le emissioni, proteggendo la biodiversità e promuovendo una transizione verde. Ma, nonostante l’entusiasmo ufficiale, il patto lascia aperte numerose questioni, tra cui una fondamentale: è possibile conciliare transizione ecologica e produzioni intensive?
Tra i punti centrali dell’accordo, spicca l’obiettivo di ridurre le emissioni agricole di CO₂ di 1,8 milioni di tonnellate entro il 2030, con un potenziale di raggiungere fino a 2,6 milioni di tonnellate. Si prevede inoltre l’introduzione di una tassa sulle emissioni di gas serra provenienti dagli allevamenti. Dal 2030, il costo sarà di 300 DKK (circa 40 euro) per tonnellata di CO₂, con un graduale aumento a 750 DKK (circa 100 euro) entro il 2035. Tuttavia, per alleviare l’impatto sul settore agricolo, è previsto uno sconto del 60% sulla tassa effettiva fino al 2035. I ricavi della tassazione saranno reinvestiti in un fondo per sostenere la transizione del settore verso pratiche più sostenibili. Parallelamente, sarà istituito un Fondo per le Aree Verdi della Danimarca, con uno stanziamento di 40 miliardi di corone danesi (540 mila euro) per finanziare la creazione di 250.000 ettari di foreste e la bonifica di 140.000 ettari di torbiere, che contribuiscono significativamente alle emissioni di carbonio. Tra gli altri obiettivi, c’è la destinazione di almeno il 20% del territorio nazionale a aree naturali protette e il sostegno alla produzione di biochar, una nuova tecnologia in grado di ridurre le emissioni attraverso il sequestro di carbonio.
Di cosa parliamo in questo articolo:
Danimarca: verde, ma non troppo
Sebbene la Danimarca venga spesso considerata un modello di sostenibilità, il paese è uno dei maggiori produttori di carne suina al mondo. Ogni anno, oltre 28 milioni di maiali vengono allevati in circa 5.000 fattorie, e il 90% della produzione è destinato all’esportazione. Questo modello, altamente intensivo, ha un costo ambientale significativo: emissioni di gas serra, degrado del suolo e inquinamento delle acque.
La produzione intensiva genera una quantità elevata di emissioni di gas serra, oltre a creare problemi legati all'eccessivo uso di azoto nei terreni. Questo contesto spiega le forti tensioni intorno all'introduzione di una tassa sulle emissioni di CO₂ legate al settore zootecnico, elemento chiave del nuovo accordo verde danese, e la preoccupazione da parte del settore agricolo per il futuro. Mentre questo intervento è ritenuto necessario per rispettare gli impegni climatici, dato anche il fatto che le emissioni in questo settore sono rimaste invariate negli ultimi 10 anni, suscita forti preoccupazioni tra gli agricoltori, che temono conseguenze economiche negative e difficoltà di adeguamento alle nuove normative. Ed è il motivo per cui la tassazione, che entrerà in vigore dal 2030, verrà scontata del 60% fino al 2035, per fornire abbastanza tempo agli allevatori per potersi adeguare.
Nonostante questa misura innovativa, che ha comunque un alto valore simbolico e che sarebbe la prima tassa sulle emissioni di bestiame al mondo, secondo alcuni esperti l’accordo non è sufficiente ad arginare l’impatto disastroso delle coltivazioni intensive, specialmente in merito alla dibattuta questione dell’azoto. Non è sufficiente tassare le emissioni del bestiame, ma anche di ridurre l’impatto ambientale delle coltivazioni intensive necessarie per alimentare una quantità così elevata di animali.
Il problema dell’azoto
L’uso intensivo di fertilizzanti azotati – sia sintetici sia naturali – ha gravi ripercussioni sugli ecosistemi. L’azoto, infatti, è una sostanza chiave per le coltivazioni industriali e l’agricoltura in generale. È contenuto in molte sostanze che vengono utilizzate come fertilizzante sintetico per le colture; queste forniscono azoto in una forma che le piante possono assorbire rapidamente attraverso le radici, per migliorare la resa del raccolto; ma anche in fertilizzanti naturali come letame e compost. L’uso intensivo di azoto ha un forte impatto sulla natura circostante poiché può esaurire le riserve di nutrienti nel terreno a lungo termine, ma non solo. Tra i principali effetti negativi vi è il rilascio di protossido di azoto (N₂O), un gas serra circa 300 volte più potente dell’anidride carbonica. Inoltre, il sovrautilizzo dei fertilizzanti provoca un fenomeno noto come dilavamento, con i nitrati che si infiltrano nelle falde acquifere, contaminandole. Questo processo a sua volta alimenta l’eutrofizzazione, una proliferazione incontrollata di alghe nei laghi e nei mari, che sottrae ossigeno alle altre forme di vita acquatica, causando una progressiva deossigenazione delle acque.
Secondo un rapporto dell’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA), Danimarca e Belgio hanno le peggiori percentuali di habitat in stato di conservazione "buono" in Europa, con oltre il 70% delle aree naturali in condizioni critiche. Inoltre, l’eutrofizzazione delle acque costiere è un problema crescente: un report dell’Università di Aarhus sottolinea che il fenomeno della deplezione di ossigeno (mortalità della fauna marina dovuta alla mancanza di ossigeno) ha raggiunto livelli record nel 2024, colpendo oltre 11.000 chilometri quadrati di acque danesi. In pratica, i pesci stanno morendo nelle acque della Danimarca.
Dunque, durante le trattative per il Grøn Tripartite-aftale, la riduzione dell’inquinamento da azoto è stata una delle questioni più discusse. Il governo aveva inizialmente proposto una riduzione di 12.900 tonnellate entro il 2027, ma l’opposizione e gli ambientalisti hanno spinto per obiettivi più ambiziosi, ottenendo un accordo finale per una riduzione di 13.780 tonnellate. Nonostante il compromesso, alcune aree, come l’isola di Bornholm, sono state esentate dai vincoli a causa di fonti di inquinamento transfrontaliere (provenienti da Svezia e Germania). Una decisione che ha suscitato critiche da parte degli esperti, poiché Bornholm è una delle aree agricole più sfruttate del paese.
Tra entusiasmo e critiche
L’accordo ha ricevuto un’accoglienza contrastante. Da una parte, i rappresentanti del settore agricolo lo considerano un successo: Søren Søndergaard, presidente del Consiglio dell'Agricoltura e Alimentare Danese, ha lodato il compromesso, definendolo un esempio di equilibrio tra interessi ambientali ed economici. Anche il governo ha celebrato l’intesa come un passo avanti fondamentale per il clima e la biodiversità.
Dall’altra parte, molte organizzazioni ambientaliste e think tank hanno espresso perplessità. La Società danese per la Conservazione della Natura e il think tank CONCITO hanno criticato l’accordo per la sua eccessiva dipendenza da tecnologie ancora immature, come il biochar e per la mancanza di riforme strutturali che affrontino alla radice i problemi dell’agricoltura intensiva. Anche il movimento giovanile ambientalista e associazioni come Organic Denmark hanno sottolineato come il patto si basi troppo su incentivi economici e misure volontarie, senza imporre obblighi stringenti.
Un’altra voce critica arriva da Frie Bonder, associazione legata all’agricoltura contadina, che accusa l’accordo di favorire l’agricoltura industriale a scapito della biodiversità e del benessere animale.
I dubbi sull’effettiva capacità del patto di produrre risultati sono concreti: gran parte delle misure si basa su impegni volontari e il rispetto degli obiettivi europei – come quelli della Direttiva Quadro sulle Acque, che richiede il raggiungimento di uno “stato ecologico buono” entro il 2027 – e che sembra fuori portata senza un approccio radicale. Ad oggi infatti, solo 5 delle 109 aree marine della Danimarca soddisfano questo criterio, e Bruxelles ha già chiarito che non concederà ulteriori proroghe.
In conclusione, il Grøn Tripartite-aftale rappresenta senza dubbio un passo avanti, ma solleva questioni di fondo che restano irrisolte. La dipendenza da incentivi volontari, l’assenza di riforme strutturali e il peso delle lobby agricole mettono in dubbio la possibilità di una vera trasformazione o modernizzazione, come viene definita dal governo danese. Se la Danimarca vuole davvero fare del proprio modello agricolo un esempio globale di sostenibilità, il cambiamento dovrà essere più radicale.
Il Grøn Tripartite-aftale si inserisce in un clima internazionale complesso, segnato da un crescente scetticismo nei confronti dell’efficacia dei negoziati climatici globali. L'ultimo vertice COP29 tenutosi a Baku, infatti, ha suscitato accese critiche: su circa 70.000 partecipanti, ben 1.773 erano lobbisti dell’industria dei combustibili fossili, rappresentando l’1,5% del totale. Una presenza così massiccia ha evidenziato l'incapacità della Conferenza di perseguire un’agenda climatica ambiziosa e indipendente.
Nonostante le aspettative per progressi significativi, il summit sul clima si è concluso senza accordi concreti sull’eliminazione graduale dei combustibili fossili, una lacuna giudicata grave da molte delegazioni. Questa mancanza di incisività a livello globale solleva interrogativi sulla capacità dei governi di trovare compromessi efficaci con le industrie che contribuiscono maggiormente alla crisi climatica. In questo contesto, la Danimarca si presenta come un modello, ma con limiti significativi. La collaborazione con le lobby agricole e zootecniche, cardine del Grøn Tripartite-aftale, ha permesso di raggiungere un accordo senza blocchi, ma al prezzo di concessioni rilevanti, secondo gli ecologisti.
Alla luce delle sfide globali emerse durante la COP29, è lecito chiedersi quanto sia opportuno accogliere in modo così ampio le lobby nei tavoli decisionali su questioni climatiche. Il patto verde, per ora, appare più un compromesso che una rivoluzione. E il tempo per scendere a compromessi, come ricordano gli scienziati, si sta esaurendo rapidamente.
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