Russia-Ucrania, la guerra di propagande e la strategia di Washington
5 min letturadi Oleksiy Bondarenko - ricercatore presso l'Università di Kent; collabora con East Journal
Secondo i titoli che si leggono negli ultimi giorni, la crisi lungo i confini tra Russia e Ucraina sembra giunta a un punto di non ritorno. E mentre la diplomazia sta faticosamente lavorando da settimane per trovare un punto d’incontro tra Mosca, Washington, Kiev e Bruxelles, le fonti d’intelligence americane parlano, di nuovo, di un attacco imminente. I dettagli forniti a corroborare l’ennesimo allarme da parte della Casa Bianca rimangono ancora una volta scarsi, ma a preoccupare questa volta è il ritiro del personale diplomatico americano e l’invito ai propri cittadini di lasciare l’Ucraina da parte di una trentina di paesi (inclusa l’Italia). Sabato sera la telefonata tra il presidente russo, Putin, e la controparte americana, Biden, non ha avuto l’effetto immediato di disinnescare la tensione. Che sia davvero il segnale del fatto che la diplomazia ha fallito definitivamente?
I difficili negoziati
Le due settimane appena trascorse sono state caratterizzate da un’intensa attività diplomatica su più tavoli, intrecciata a nuovi sviluppi sul piano militare. Il 27 gennaio, infatti, la Russia ha ottenuto la risposta scritta da parte degli Stati Uniti e NATO alle richieste presentate lo scorso dicembre. I documenti riservati, finiti nelle mani di El Pais, sebbene respingendo le principali richieste di Mosca, come il ritiro delle truppe NATO dai paesi che si sono uniti all’alleanza dopo il 1997 e la rinuncia a ogni ulteriore espansione, sembrano lasciar aperti alcuni spiragli «per un inizio di una seria conversazione», come dichiarato dallo stesso ministro degli Esteri russo. Si parla infatti non solo di dialogo sul dispiegamento dei missili a media gittata in Europa dell’Est, ma anche di un possibile - sebbene vago - accordo reciproco sull’astensione di dispiegare forze militari permanenti in Ucraina. Il primo segnale positivo, infatti, era arrivato con l’annuncio di un nuovo incontro a quattro (Ucraina, Russia, Francia e Germania) dei firmatari del protocollo di Minsk, volto a riaprire i negoziati tra le parti sulla risoluzione del conflitto in Donbass. Il primo incontro si è chiuso con un nulla di fatto, ma le parti si rivedranno nelle prossime settimane.
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Sul fronte Europeo, le settimane passate hanno palesato tutte le problematiche nel definire una posizione comune nell’attuale crisi e un certo scollamento tra la postura americana, seguita da alcuni paesi dell’Europa orientale, e quella di Germania e Francia. La dimostrazione plastica delle numerose divergenze è stata la visita del presidente francese Macron prima a Mosca e poi a Kiev, in contemporanea con l’incontro tra il cancelliere tedesco Scholz e il presidente americano Biden. E mentre Macron si dichiarava ottimista sulle possibilità di una de-escalation e dialogo con Mosca, «proteggendo i fratelli Europei» ma «rispettando la Russia e capendo il trauma di questa grande nazione», dall’altra parte dell’oceano Biden aveva ancora una volta posto l’accento sulle sanzioni e sulla chiusura del gasdotto Nord Stream 2 nel caso di un’invasione.
Le manovre militari
A rendere il dialogo ancora più difficile è l’aspetto militare, in continua evoluzione. La pressione che la Russia sta esercitando lungo i confini con l’Ucraina non sembra diminuire, tutt’altro. Nella scorsa settimana, infatti, le truppe russe hanno iniziato una serie di esercitazioni militari in Bielorussia che, secondo fonti non ufficiali, coinvolgerebbero fino a 30 mila soldati. Anche a sud, in Crimea e nel Mar Nero, la marina russa ha eseguito una serie di manovre ed esercitazioni che hanno provocato il timore di un possibile blocco navale ai danni di Kiev. A fine gennaio il premier Britannico, Boris Johnson, si era detto pronto a dispiegare ulteriori truppe per «proteggere gli alleati in Europa» nel caso di invasione. Più di recente, invece, Biden ha approvato il dispiegamento di 3 mila soldati in Polonia e Romania
La strategia di Washington
In questo clima di tensione venerdì scorso la Casa Bianca ha dichiarato che, secondo fonti dell’intelligence americana, la Russia potrebbe lanciare un’invasione prima della fine delle olimpiadi invernali di Pechino (20 febbraio). Bollate dal Cremlino come "isteria", queste dichiarazioni volutamente vaghe e non verificabili non solo hanno provocato una nuova ondata di panico, catturando le prime pagine di tutti i giornali, ma anche una serie infinita di speculazioni sulla data esatta dell’invasione (il 16 febbraio) e sui presunti "piani di Putin".
Dall’inizio della crisi, infatti, non è la prima volta che vengono fatte trapelare ambigue fonti d’intelligence, tanto che quella adottata da Washington sembra una vera e propria strategia mediatica. L’idea, secondo alcuni, sarebbe quella di controbattere la propaganda russa e limitare la capacità del Cremlino di giustificare la propria azione con bugie e disinformazione, costringendo il presidente russo a riconsiderare i possibili costi di un’invasione e a mettere più pressione su Mosca nei negoziati.
Secondo un’altra chiave di lettura, però, alzare la percezione della minaccia sarebbe anche un modo per riaffermare la leadership americana in questa crisi, in un momento in cui i principali partner europei come Francia e Germania sembrano rivendicare una certa autonomia di azione (vedasi l’incontro tra Putin e Macron) e non condividere alcune delle posizioni di Washington. Il rischio di questa strategia, però, non è solo quello di screditare le fonti d’intelligence, già sotto esame dopo il precipitoso ritiro dall’Afghanistan (per non parlare delle famose armi irachene nel 2003), ma anche quello di esacerbare - paradossalmente - la divisione tra le potenze occidentali. Non a caso, la decisione di ritirare il personale dell’ambasciata americana non è stata seguita dai membri UE. Sabato, ad esempio, mentre gli americani abbandonavano piuttosto precipitosamente Kiev gli ambasciatori dei paesi membri si sono incontrati per coordinare la loro azione.
Ucraina, che fare?
Nel mezzo rimane l’Ucraina, anche se nel gioco delle grandi potenze tra speculazioni e propaganda, nessuno sembra ormai accorgersene. Le nuove indiscrezioni provenienti da oltreoceano hanno lasciato spiazzato ancora una volta il presidente Zelensky. Secondo le sue dichiarazioni, le informazioni in possesso degli americani non sarebbero state condivise con Kiev, mentre il crescente panico sarebbe esattamente l’opposto di quello di cui l’Ucraina ha bisogno: "il miglior amico del nostro nemico". Mentre alcune compagnie aeree (come KLM) hanno deciso di sospendere i voli per l’Ucraina, i mercati finanziari danno segnali di panico e alcuni paesi membri del contingente della missione OSCE che opera nella zona del conflitto in Donbass hanno iniziato il ritiro del personale, il sentimento che si fa sempre più strada a Kiev è quello di solitudine e abbandono. La posizione ucraina sembra rimanere invariata, cercare di continuare un difficilissimo dialogo su più fronti (nei prossimi giorni è prevista la visita a Kiev del cancelliere tedesco) e prepararsi ad ogni possibile sviluppo senza cadere nel panico. La guerra in Ucraina dura da quasi 8 anni, una cosa che oggi, paradossalmente, si tende quasi a dimenticare.
Immagine copertina: Russian President Vladimir Putin holds a video call with U.S. President Joe Biden on 7 December 2021 - via The White House