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Il Senato USA approva la legge su clima, salute e tasse di Biden: un voto storico nella lotta al cambiamento climatico

10 Agosto 2022 13 min lettura

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Il Senato USA approva la legge su clima, salute e tasse di Biden: un voto storico nella lotta al cambiamento climatico

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Il round-up settimanale sulla crisi climatica e i dati sui livelli di anidride carbonica nell'atmosfera*.

Il Senato statunitense ha approvato il 7 agosto l’“Inflation Reduction Act”, una legge su clima, salute e tasse che prevede il più significativo investimento federale della storia degli Stati Uniti per contrastare il cambiamento climatico e ridurre il costo dei farmaci da prescrizione. 

Pur essendo molto lontano dall'ambizioso Build Back Better Act approvato dalla Camera a novembre, il provvedimento, che prevede un investimento di oltre 370 miliardi di dollari in programmi per il clima e l'energia, potrà comunque consentire agli USA di tagliare del 40% le emissioni di gas serra entro il 2030 rispetto ai livelli del 2005 (senza alcun intervento le emissioni sarebbe calate del 20%, scrive Vox), adottare misure per ridurre il costo dei farmaci da prescrizione e rivedere parti del codice fiscale nel tentativo di renderlo più equo.

Nel complesso, il piano punta a spingere i consumatori e l'industria americana ad abbandonare la dipendenza dai combustibili fossili. La maggior parte dei finanziamenti è destinata a crediti d'imposta e sconti per una serie di tecnologie rinnovabili: pannelli solari, turbine eoliche, pompe di calore, efficienza energetica e veicoli elettrici. Sono previsti incentivi per le aziende che producono più tecnologia negli Stati Uniti. Il disegno di legge investe anche nell'efficienza energetica dei siti industriali che possono contribuire a ridurre la pesante impronta di carbonio del settore, destinando anche alcuni fondi al ripristino delle foreste e delle coste.

Il disegno di legge stabilisce anche la prima tassa sul metano penalizzando quelle aziende di combustibili fossili le cui emissioni saranno in eccesso. Un'altra parte consistente dei finanziamenti aiuta le comunità svantaggiate a monitorare e ridurre l'inquinamento e a realizzare soluzioni di adattamento agli effetti devastanti della crisi climatica.

Dal piano sono attesi anche effetti sull’inflazione. Secondo Robbie Orvis, direttore senior di Energy Innovation, l'aumento dei prezzi dell'energia ha determinato circa un terzo dell'aumento del 9% dell'indice generale dei prezzi al consumo nell'ultimo anno. La transizione verso fonti non fossili dovrebbe portare a una riduzione delle bollette dei consumatori.

“L'approvazione del disegno di legge al Senato è la notizia climatica più significativa da quando la Cina ha annunciato due anni fa che avrebbe puntato a raggiungere le emissioni zero nette entro il 2060, forse anche dall'adozione dell'accordo di Parigi cinque anni prima”, ha commentato su Twitter Robinson Meyer, editorialista su crisi climatica ed energia di The Atlantic, che ha seguito tutti i passaggi travagliati del piano dell’amministrazione Biden sul clima, dal momento di massimo sconforto, con l’affossamento del Build Back Better Act da parte del senatore democratico Joe Manchin, vicino all’industria dei combustibili fossili, all’inattesa approvazione dell’Inflaction Reduction Act.

Ed è stata proprio l’intensa negoziazione dell’ultimo momento tra il senatore Manchin e Chuck Schumer che ha salvato il piano. Manchin ha appoggiato il disegno di legge, ribattezzato Inflation Reduction Act, solo in cambio della promessa di Schumer che il Congresso, nel corso dell'anno, rivedrà le norme che regolano la localizzazione degli impianti energetici, consentendo con tutta probabilità il rilascio di nuovi permessi per le infrastrutture energetiche, tra cui anche i gasdotti, e nuove aste di contratti per le trivellazioni petrolifere nelle terre e nelle acque federali, incluso il Golfo del Messico. In sostanza, il governo non potrà mettere all’asta contratti per l'installazione di impianti solari o eolici su terreni o fondali marini federali senza fare altrettanto per la ricerca e l’estrazione di gas e petrolio, riporta The Atlantic. 

Grazie a questa negoziazione, “il più grande ostacolo della storia al progresso climatico è finalmente caduto”, titolava The Atlantic all’indomani del voto. E quell’ostacolo è il Senato, il luogo dove sono state affossate le velleità di contrasto del riscaldamento globale degli USA e, probabilmente, di tutto il mondo. Scrive infatti Robinson Meyer:

“Per 34 anni, la singolare incapacità della Camera alta di agire su questo tema ha influenzato quasi ogni aspetto della politica e delle politiche. Siccome il Senato non riusciva ad approvare una legge completa sul clima, il Congresso aveva le mani legate; siccome il Congresso non era nelle condizioni di approvare una legge sul clima, i presidenti, che avevano a cuore la questione climatica, erano costretti a fare affidamento sull'azione esecutiva e sulla permissività della Corte Suprema, mentre gli attivisti per il clima dovevano accontentarsi di piccole riforme statali e locali. Questo fare affidamento, tipicamente americano, sulla Corte Suprema non ha mai funzionato del tutto - il paese non ha ancora un piano completo per decarbonizzare il suo settore elettrico, che rimane più inquinante di quello dell'Europa occidentale - ed è un sistema troppo disarticolato per portare gli Stati Uniti ad abbandonare i combustibili fossili.

Anche la diplomazia internazionale sul clima è stata impostata pensando al Senato. Nel 2015, i diplomatici hanno scritto l'Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici in modo che fosse strettamente volontario per i paesi ricchi, in modo che il Senato non dovesse ratificarlo”.

L'Inflation Reduction Act dovrà ora essere approvato dalla Camera, dove sono necessari quasi tutti i voti dei democratici. Sulla strada ci sono ancora due potenziali ostacoli, scrive Robinson Meyer: a destra, un gruppo di membri, guidati dal rappresentante Josh Gottheimer del New Jersey, ha insistito sul fatto che non può accettare un disegno di legge che non aumenti le agevolazioni fiscali concesse per il pagamento delle tasse statali e locali; a sinistra, un gruppo di membri potrebbe decidere di non votare perché ritiene il disegno di legge non troppo ambizioso. Tuttavia, nessuno di questi ostacoli appare insormontabile. 

I climatologi hanno accolto con favore l'approvazione della “storica” legge sul clima degli Stati Uniti invitando gli altri grandi emettitori - in particolare l'Unione Europea - a seguirne l'esempio e ad attuare piani ambiziosi per ridurre le emissioni, sebbene non elimini del tutto il ricorso ai combustibili fossili, come fa notare Michael Mann, professore emerito di Scienza dell'Atmosfera e direttore dell'Earth System Science Center (Università Statale della Pennsylvania). In Italia, la lettera aperta indirizzata dalla Società Italiana per le Scienze del Clima ai partiti politici italiani per chiedere azioni forti per combattere la crisi climatica ha superato le 150mila firme [qui per sottoscriverla] in una settimana.

“La politica non considera il costo sociale della crisi climatica”, ha commentato a Repubblica il professore Stefano Mancuso. “Il problema è che ormai c'è un doppio binario: la politica ne parla molto, ma poi fa pochissimo”. E quando ne parla, lo fa in maniera vuota. “Il dato incontrovertibile è che dobbiamo ridurre le emissioni per arginare il riscaldamento globale. Facciamo un paragone con la pandemia di Covid: la politica sapeva che doveva ridurre i contagi e i morti e prendeva decisioni in conseguenza dei numeri giornalieri. Qui abbiamo più valori che dobbiamo far scendere, come i gradi di temperatura e le emissioni, ma di fronte a numeri in continuo aumento non vengono prese misure di contrasto. E a soffrire e morire per gli effetti del riscaldamento globale saranno i più deboli”.

Antonio Guterres (Segretario Generale ONU): “I profitti immorali delle aziende dei combustibili fossili devono essere tassati”

“È immorale che le compagnie petrolifere e del gas traggano profitti record da questa crisi energetica a spese delle persone e delle comunità più povere, con un costo enorme per il clima... Esorto tutti i governi a tassare questi profitti eccessivi e a utilizzare i fondi per sostenere le persone più vulnerabili in questi tempi difficili”. In intervento a New York la scorsa settimana, il Segretario Generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha condannato l'“avidità assurda” delle aziende dei combustibili fossili e dei loro finanziatori che “ha portato i loro profitti a sfiorare i 100 miliardi di dollari nel primo trimestre del 2022”.

Exxon, Chevron, Shell e Total hanno accumulato profitti combinati per quasi 51 miliardi di dollari nell'ultimo trimestre, “quasi il doppio di quanto il gruppo aveva guadagnato l’anno scorso nello stesso periodo”, riporta Reuters.

Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha dichiarato a giugno che Exxon e altre compagnie stanno facendo “più soldi di Dio” in un momento in cui i prezzi del carburante al consumo sono saliti a livelli record.

A luglio la Gran Bretagna ha approvato una tassa del 25% sui produttori di petrolio e gas nel Mare del Nord. Anche gli Stati Uniti stanno discutendo una proposta simile, tuttavia le probabilità che venga approvata dal Congresso sono basse. In Italia, il governo prevedeva di incassare 11 miliardi di prelievi straordinari dalla cosiddetta “tassa sugli extraprofitti”. Al momento, però, ne sono entrati solo 1,23 miliardi. 

Leggi anche >> Perché tassare gli extraprofitti delle aziende energetiche è una forma di giustizia sociale

“Molti paesi in via di sviluppo - affogati nel debito, senza accesso ai finanziamenti e che stanno lottando per riprendersi dalla pandemia - potrebbero finire sull'orlo del baratro", ha aggiunto Guterres “Stiamo già vedendo i segnali d'allarme di un'ondata di sconvolgimenti economici, sociali e politici che rischia di colpire tutti i paesi”.

“I giganti occidentali dell'energia si apprestano a restituire agli investitori la cifra record di 30 miliardi di dollari dopo aver registrato profitti da urlo nel secondo trimestre del 2022 a seguito dell'impennata dei prezzi dell'energia”, scrive ancora Reuters in un altro articolo. “Le cinque principali compagnie petrolifere e del gas occidentali hanno evitato di investire una parte dei loro profitti record combinati di quasi 60 miliardi di dollari in nuova produzione, per prevenire l’impatto della recessione e del cambiamento climatico sulla futura domanda di combustibili fossili”. 

Nel frattempo, riporta Financial Times, il Fondo Monetario Internazionale ha esortato i governi europei (che hanno cercato di proteggere le famiglie dall'impennata dei costi con controlli sui prezzi, tagli alle tasse e sussidi) a scaricare sui consumatori l'aumento dei costi dell'energia per incoraggiare il “risparmio energetico” e il passaggio a una transizione energetica che faccia a meno dei combustibili fossili, avendo però come priorità al tempo stesso la protezione delle famiglie a basso reddito, come ha dichiarato il vicedirettore del dipartimento europeo dell’FMI.

Questa strategia da sola non è sufficiente, ha commentato sul Guardian la ricercatrice canadese Tzeporah Berman. “I prezzi dell'energia da soli non saranno sufficienti a guidare il tipo di decarbonizzazione necessaria per raggiungere gli obiettivi climatici. Per decenni la politica climatica è stata concepita sulla base della teoria secondo cui possiamo ridurre la domanda di combustibili fossili e aumentare il prezzo del carbonio e che il mercato - stimolato da alternative come l'eolico e il solare che ora sono più economiche dei combustibili fossili - risponderà limitando l'offerta”, spiega Berman. “Questo non sta avvenendo abbastanza velocemente perché attualmente non esiste un meccanismo che sappia contrastare le agevolazioni fiscali, i sussidi ai combustibili fossili e le tattiche dilatorie che stanno distorcendo i mercati”.

Non possiamo fare affidamento sull'industria dei combustibili fossili per interrompere il “business as usual”, prosegue Berman. “È urgente un Trattato di non proliferazione dei combustibili fossili per porre fine all'espansione del petrolio, del gas e del carbone, eliminare gradualmente la produzione esistente per limitare il riscaldamento globale a livelli gestibili e accelerare una transizione energetica equa in cui le nazioni ricche e produttrici di combustibili fossili guidino e sostengano gli altri paesi in modo che ci sia energia pulita e accessibile dal sole, dal vento e dall'acqua per tutti”.

I nuovi impegni climatici dell’India: luci e ombre

Nella sua newsletter su energia e clima in Asia meridionale Lights On, Lou Del Bello ha intervistato l’economista energetico Vibhuti Garg sui nuovi impegni climatici annunciati la scorsa settimana dal governo indiano e approvati il 9 agosto. Gli impegni ricalcano quanto già dichiarato dal primo ministro Narendra Modi durante il suo intervento alla Conferenza delle Nazioni Unite sul clima dello scorso anno a Glasgow, seppure con alcune notevoli differenze.

Gli impegni annunciati dal governo hanno luci e ombre. Da un lato, spiega Vibhuti Garg, rispetto al 2015, quando l'India aveva promesso che la capacità cumulativa di energia elettrica installata da fonti non fossili avrebbe raggiunto il 40% entro il 2030 e che avrebbe ridotto l'intensità carbonica del PIL (cioè delle emissioni prodotte per ogni unità di Pil nazionale) del 33-35% dai livelli del 2005, l’India si è impegnata a raggiungere circa il 50% di energia elettrica cumulativa installata da fonti non fossili entro il 2030 e a ridurre le emissioni prodotte per ogni unità del PIL del 45% rispetto al 2005. Dall’altro, negli impegni climatici non c’è traccia dell’aumento della capacità energetica non fossile a 500 GW e della riduzione delle emissioni di carbonio di un miliardo di tonnellate da oggi al 2030, che Modi aveva annunciato a Glasgow un anno fa. È come se l’India, pur andando nella giusta direzione, non stia dando agli investitori elementi pratici nel breve periodo per prendere sul serio le politiche annunciate, osserva Vibhuti Garg che aggiunge: “Credo che sia necessario continuare a ribadire che il governo fa sul serio con questo obiettivo specifico”.

L’impressione – prosegue l’economista energetico – è che per molti del settore il carbone sarà ancora il combustibile principale per molto tempo. Tuttavia, ci sono alcuni degli elementi costitutivi per la transizione energetica tra cui l’introduzione del mercato del carbonio [ndr, di cui parlavamo in questo round-up] e dell’incentivo alla domanda di risorse energetiche più pulite, come l’idrogeno verde. Si tratta di segnali importanti considerati i contraccolpi della crisi energetica e della guerra in Ucraina che sta portando a livello globale a riattivare centrali a carbone o ad assegnare addirittura nuove miniere. 

Come i cambiamenti climatici influenzano i fenomeni meteorologici estremi in tutto il mondo

Da cinque anni il sito britannico Carbon Brief aggiorna una mappa di tutti gli studi di attribuzione dei fenomeni meteorologici estremi pubblicati fino ad oggi. L’obiettivo è avere traccia di come negli anni i cambiamenti climatici stiano influenzando questi fenomeni come inondazioni, ondate di calore, siccità e tempeste. In un articolo pubblicato l’8 agosto, il Guardian ha parlato della siccità che sta colpendo l’Europa quest’estate come una “nuova normalità”.

Gli scienziati hanno pubblicato più di 400 studi, sottoposti a peer-review, che analizzano le condizioni meteorologiche estreme in tutto il mondo: dagli incendi negli Stati Uniti alle ondate di calore in India e Pakistan, dai tifoni in Asia alle piogge record nel Regno Unito. Questi studi hanno la forza di collegare il concetto apparentemente astratto di cambiamento climatico con le esperienze personali e tangibili nel tempo. Il risultato è una crescente evidenza che l'attività umana sta portando all’aumento del rischio di alcuni tipi di condizioni meteorologiche estreme, in particolare quelle legate al calore, scrive Carbon Brief.

In particolare la mappatura rileva che: a) Il 71% dei 504 eventi meteorologici estremi sono stati ritenuti più probabili o più gravi a causa dei cambiamenti climatici causati dall'uomo; b) Dei 152 eventi di calore estremo che sono stati valutati dagli scienziati, il 93% ha riscontrato che il cambiamento climatico ha reso l'evento o la tendenza più probabile o più grave; c) Per i 126 eventi di pioggia o inondazione studiati, il 56% ha riscontrato che l'attività umana ha reso l'evento più probabile o più grave; d) Per gli 81 eventi di siccità studiati, la percentuale è del 68%.

La scienza dell'attribuzione “ha fornito un quadro desolante ma innegabile di come il riscaldamento globale stia già portando morte e distruzione”, scrive il giornalista ambientale del Guardian Damian Carrington in un approfondimento a partire dalla mappa di Carbon Brief. “Almeno una dozzina degli eventi più gravi, dalle ondate di calore micidiali ai mari sempre più caldi, sarebbe stata praticamente impossibile senza il riscaldamento globale causato dall'uomo. La cosa più preoccupante è che tutto questo sta accadendo con un aumento di appena 1°C della temperatura media del pianeta [ndr, rispetto ai livelli pre-industrali]”. Nell’articolo Carrington si è concentrato su una serie di eventi estremi in tutto il mondo, tra cui le inondazioni in Germania nel luglio 2021, le ondate di calore in Pakistan e Giappone rispettivamente nel maggio 2022 e nel luglio 2018, l'uragano Harvey che ha colpito Houston, negli Stati Uniti, nell'agosto 2017.

“Sono finiti i giorni in cui il riscaldamento globale era nel futuro. Il riscaldamento indotto dall'uomo sta distruggendo vite e mezzi di sussistenza oggi”, commenta nell’articolo sul Guardian l’ex Segretaria Esecutiva della Convenzione quadro delle Nazioni Unite, Christiana Figueres. “Ogni giorno di aumento delle emissioni significa maggiori povertà e miseria nel mondo. Continuare sulla strada dell'incremento delle emissioni è insensato, egoista ed evitabile”. Ma, prosegue Figueres, “non siamo condannati a perpetuare questa follia. Ognuno di noi ha ancora in mano la penna che scriverà il futuro. Collettivamente, abbiamo la capacità di realizzare gli straordinari cambiamenti di cui abbiamo bisogno per correggere la rotta”.

Il ruolo delle popolazioni indigene nella cura degli ecosistemi e nel contrasto alla crisi climatica

Il 9 agosto, in occasione della Giornata Mondiale dei Popoli Indigeni, Global Initiative ha pubblicato una campagna di sensibilizzazione sul ruolo delle comunità indigene nella cura degli ecosistemi, nel contrasto alla crisi climatica, alla perdita globale di biodiversità e al consumo di suolo. Nella loro azione di protezione dell’ambiente e delle loro terre ancestrali i popoli indigeni sono spesso esposti a ritorsioni, violenze e omicidi. Nel 2021, secondo dati pubblicati da Frontline Defenders, il 26% dei difensori dei diritti umani uccisi era indigeno.

Estrazioni minerarie, agricoltura intensiva, disboscamenti illegali, crimini contro la fauna selvatica, accaparramento dei terreni per destinarli a parchi naturali o aree turistiche. Sono queste le principali minacce per le popolazioni indigene che non vedono riconosciuto il loro ruolo di custodi dell'ambiente e degli ecosistemi. Le aree indigene sono spesso incluse o delimitate come parchi nazionali o altre aree di conservazione, con i diritti delle popolazioni indigene ignorati; le attività di sostentamento consuetudinarie limitate o addirittura dichiarate illegali; il potenziale per una futura estrazione di risorse che comporta rischi negativi per la salute e l'ambiente. Un esempio è quanto sta accadendo in Tanzania con le donne Masai.

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La formalizzazione dei diritti sulle terre e sulle risorse è particolarmente importante, spiega Global Initiative. 

*Il Round-up sulla crisi climatica torna il 31 agosto 2022.

Immagine in anteprima: frame video ABC News via YouTube

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