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Più che di un tetto al prezzo del petrolio, l’Europa ha bisogno di un piano per l’energia pulita

7 Dicembre 2022 12 min lettura

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Più che di un tetto al prezzo del petrolio, l’Europa ha bisogno di un piano per l’energia pulita

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Il round-up settimanale sulla crisi climatica e i dati sui livelli di anidride carbonica nell'atmosfera.

Il 5 dicembre è entrato in vigore il tetto di 60 dollari al barile sul petrolio russo trasportato via mare imposto dai paesi G7, Unione Europea (ad eccezione della Bulgaria, a cui è stato concesso un periodo più lungo per adeguarsi) e Australia. La misura consente di spedire il greggio russo a paesi terzi utilizzando petroliere, compagnie di assicurazione e istituti di credito del G7 e dell'UE, solo se il carico viene acquistato a un prezzo pari o inferiore al tetto massimo. Considerato che le principali compagnie di navigazione e di assicurazione hanno sede nei paesi del G7, il limite imposto potrebbe rendere difficile per Mosca vendere il suo petrolio a un prezzo più alto. Il livello del tetto massimo sarà rivisto dall'UE e dal G7 ogni due mesi. La prima revisione è prevista per metà gennaio e “dovrà tenere conto dell'efficacia della misura, della sua attuazione, dell'adesione e dell'allineamento a livello internazionale, degli sviluppi del mercato e del potenziale impatto sui paesi membri e sui partner della coalizione”, ha dichiarato la Commissione europea in un comunicato. Il limite non sarà applicato al petrolio trasportato via terra, anche attraverso gli oleodotti. 

La Russia ha già annunciato che continuerà a esportare il suo petrolio anche se sarà tagliata fuori dai mercati assicurativi occidentali e che non tratterà con nessun paese che rispetti il tetto massimo. La vendita di petrolio e gas all'Europa è stata una delle principali fonti di guadagno in valuta estera della Russia da quando i geologi sovietici hanno trovato petrolio e gas in Siberia subito dopo la Seconda Guerra Mondiale. Finora, le esportazioni complessive di petrolio di Mosca hanno retto, attestandosi a 7,7 milioni di barili al giorno in ottobre, secondo l'Agenzia Internazionale dell'Energia. Si tratta di una cifra inferiore di soli 400.000 barili al giorno rispetto ai livelli prima della guerra in Ucraina. 

Tuttavia, con il limite di prezzo fissato a 60 dollari al barile, non molto al di sotto dei 67 dollari di venerdì scorso, l'UE e i paesi del G7 si aspettano che la Russia continui a vendere petrolio pur accettando profitti minori.

In ogni caso, già quest'anno, le esportazioni russe verso l'UE sono diminuite drasticamente, riducendosi di 1,5 milioni di barili al giorno, per un totale di 3,95 milioni di barili al giorno a ottobre, secondo la IEA. La maggior parte delle forniture europee è stata dirottata verso la Cina e l'India. Per questo, ha commentato a Politico Claudio Galimberti, analista della società di ricerca sull’energia Rystad, l'impatto della sanzione potrebbe essere piuttosto modesto.

Il ministero degli Esteri cinese ha commentato a caldo che Pechino continuerà la cooperazione energetica con la Russia sulla base del rispetto e del mutuo vantaggio, mentre il ministro indiano del Petrolio ha dichiarato che il tetto non avrà alcun impatto sull’India e che “l’economia dell’Asia meridionale intende continuare ad acquistare dalla Russia per il momento”.

Le petroliere occidentali ferme nelle acque territoriali turche e le strategie russe per aggirare le sanzioni

In base alle sanzioni dell’UE, le petroliere che caricano greggio russo non possono essere coperte dalle assicurazioni marittime occidentali a meno che il petrolio non venga venduto al di sotto del tetto stabilito. Per questo motivo, riporta il Financial Times, nelle acque turche si è formato un ingorgo di petroliere. Lunedì scorso circa 19 navi erano in attesa di attraversare le acque turche. Le navi hanno gettato l'ancora vicino al Bosforo e ai Dardanelli, i due stretti che collegano i porti russi del Mar Nero ai mercati internazionali. La prima petroliera è arrivata il 29 novembre ed è ferma da sei giorni. 

Secondo i broker navali e TankerTrackers.com, che monitorano le spedizioni globali di petrolio, gran parte del petrolio presente sulle navi al largo della Turchia è di origine kazaka. Il petrolio kazako arriva nei porti russi tramite oleodotti e, pertanto, non è oggetto di sanzioni occidentali. Tuttavia, le autorità di Ankara hanno chiesto a tutte le petroliere che attraversano lo stretto turco di fornire le lettere dei loro fornitori che confermino che la copertura assicurativa rimarrà pienamente in vigore per coprire incidenti come fuoriuscite di petrolio e collisioni. Sono state lasciate passare, invece, le navi che trasportano prodotti raffinati come benzina e gasolio poiché le sanzioni dell’UE su questi carburanti non entreranno in vigore prima di febbraio.

Secondo l'International Group of P&I Clubs – che rappresenta 13 compagnie assicurative che coprono circa il 90% del trasporto marittimo mondiale – la richiesta turca va “ben oltre” le informazioni generali normalmente richieste. Posizione condivisa anche da alcuni funzionari del ministero del Tesoro statunitense e del Regno Unito.

Il rischio di incorrere in sanzioni o di danneggiare la propria reputazione sta spingendo, infatti, molte compagnie di navigazione e di servizi marittimi occidentali a tenersi in ogni caso alla larga dal petrolio russio. Questa situazione ha avuto un duplice effetto: da un lato, nuove compagnie si sono lanciate nel vuoto e stanno acquistando vecchie petroliere, ormai prossime alla demolizione; dall’altro la Russia sembrerebbe aver messo insieme una “flotta ombra” di oltre 100 navi che possono operare senza assicurazione. 

Negli ultimi mesi, riporta Reuters, petroliere obsolete sono state vendute da armatori greci e norvegesi a prezzi record ad acquirenti mediorientali e asiatici che hanno approfittato dei prezzi di noleggio alle stelle per le navi destinate a trasportare il petrolio russo in India e Cina. Le tariffe delle navi cisterna sono balzate a livelli mai visti dal 2008, a parte un breve periodo nel 2020, quando le aziende petrolifere si sono date da fare per trovare navi cisterna per immagazzinare il carburante a causa del crollo della domanda dovuto alla pandemia. “I proprietari di petroliere possono arrivare a guadagnare più di 100.000 dollari al giorno per alcuni tragitti”, ha detto alla Reuters Omar Nokta, analista della banca d'investimento Jefferies. “Un effetto incontrovertibile del tetto ai prezzi delle esportazioni russe è che la flotta di petroliere si sta espandendo e percorre distanze maggiori”, ha aggiunto.

Un numero maggiore di petroliere viene ora utilizzato per viaggi di settimane, trasportando il petrolio russo dal Baltico e dal Mar Nero all'Asia, mentre in precedenza il petrolio russo veniva venduto principalmente in Europa e i viaggi duravano solo pochi giorni.

E poi c’è la cosiddetta “flotta oscura”, che rappresenterebbe circa il 10% delle petroliere mondiali secondo alcune fonti del settore marittimo ed è composta da navi già utilizzate in altri casi di embargo, come per l'aggiramento delle sanzioni sull'esportazione di petrolio dal Venezuela e dall'Iran. Almeno 21 petroliere sono passate a trasportare il petrolio russo dopo essere state precedentemente utilizzate per le spedizioni iraniane, ha dichiarato Claire Jungman, a capo dello staff del gruppo di difesa statunitense United Against Nuclear Iran (UANI), che monitora il traffico di petroliere legate all'Iran. Di queste navi, almeno quattro avrebbero cambiato proprietà negli ultimi mesi.

Che conseguenze ci saranno?

I leader occidentali stanno camminando su una linea sottile tra il tentativo di ridurre le entrate petrolifere della Russia e di prevenire di una carenza di petrolio che causerebbe un'impennata dei prezzi e peggiorerebbe l'inflazione che già affligge le economie e danneggia i consumatori di tutto il mondo, scrive AP

Tuttavia, secondo i commenti di diversi analisti, gli effetti della misura potrebbero essere modesti. “L'UE importerà greggio da altri paesi”, spiega a Politico Simone Tagliapietra, senior fellow del think tank Bruegel. “La Russia probabilmente aumenterà le esportazioni di greggio verso la Cina e l'India, il che ridurrà la domanda di petrolio mediorientale e, a sua volta, l'Europa otterrà più petrolio dal Medio Oriente e da altri paesi. Le condizioni di mercato dovrebbero rimanere abbastanza simili. Non dovremmo accorgercene”.

Il tetto al prezzo del petrolio russo è sempre stato inteso dai paesi G7 come un mezzo per ridurre le entrate petrolifere della Russia senza causare gravi perturbazioni sul mercato globale, bloccando di fatto l'esportazione di enormi quantità di petrolio dalla Russia nel mondo. Nella sua forma attuale, il limite di 60 dollari al giorno è diventato una misura di controllo dell'inflazione per contrastare l'impatto delle sanzioni dell'UE, oltre che un modo per ridurre le entrate petrolifere della Russia, aggiunge Claudio Galimberti sempre a Politico.

Ben più significativo potrebbero essere le sanzioni sui prodotti raffinati, come benzina e diesel, previste per febbraio 2023, prosegue l’analista di Rystad. “Il 60% del gasolio che consumiamo in Europa proviene dalla Russia. Non ci sono alternative facili”, spiega Galimberti. “Ci sarà una potenziale carenza di gasolio per l'Europa in pieno inverno, utilizzato quasi ovunque, dalle automobili all'industria e al riscaldamento”. Inoltre, a differenza del petrolio greggio, non ci saranno Cina ed India a supplire alle mancate importazioni europee, in quanto dispongono di propri settori di raffinazione.

E così la Russia potrebbe doversi trovare nella necessità di cercare nuovi acquirenti in Nord Africa e Turchia, ma non negli stessi volumi delle sue esportazioni in Europa. “Ciò significa che ridurrà la propria produzione di greggio”, osserva Galimberti. “Il greggio deve essere raffinato in prodotti petroliferi. Se non si trova un mercato per i prodotti petroliferi, o lo si consuma o lo si immagazzina. Ma la Russia non ha una capacità di stoccaggio significativa”.

Nel suo rapporto mensile sul petrolio di novembre, riporta Politico, la IEA ha previsto che la produzione russa di petrolio possa diminuire di 1,4 milioni di barili al giorno nel 2023, facendo potenzialmente salire i prezzi globali. 

La ricerca di strade alternative e i possibili impatti sul clima

I paesi europei stanno cercando di percorrere strade alternative per rendersi indipendenti dai combustibili russi. Secondo un articolo di Energy Monitor il prossimo anno la produzione di petrolio norvegese è destinata ad aumentare del 13%. Il governo norvege ha previsto per il 2022 un flusso di cassa di 119 miliardi di dollari attraverso le forniture di petrolio e gas e ha enfatizzato il suo ruolo nevralgico per la sicurezza energetica europea, prevedendo nuove esplorazioni ed estrazioni di combustibili fossili nell’Artico, in contrasto con gli impegni a ridurre la produzione per raggiungere le emissioni zero nette entro il 2050.

Intanto, nei giorni scorsi, il primo ministro della Slovenia, Robert Golob, ha affermato in un’intervista al Financial Times l’intenzione di costruire un gasdotto che trasporti il gas algerino fino all’Ungheria, aiutando così Budapest a ridurre la sua dipendenza dai combustibili fossili russi. A novembre la Slovenia ha firmato un accordo con Algeri per importare gas attraverso i gasdotti esistenti in Italia che consentire al paese membro dell’Eurozona di importare 300 milioni di metri cubi all'anno e ridurre di un terzo le importazioni di gas russo. Golob ha aggiunto che la rotta algerina consentirebbe di trasportare anche idrogeno.

“L’Europa ha urgentemente bisogno di un piano industriale intorno alle fonti a basse emissioni”, ha commentato al riguardo il direttore esecutivo della IEA, Fatih Birol. “La scomoda verità è che, per decenni, il modello di business di molte industrie europee si è basato sulla disponibilità di abbondanti ed economiche forniture di energia russa. Questo modello di business è andato in frantumi quando la Russia ha invaso l'Ucraina. E non tornerà”, scrive Birol. L’esempio da seguire è l’Inflation Reduction Act degli Stati Uniti che “ha cambiato le carte in tavola, incanalando centinaia di miliardi di dollari nella costruzione delle industrie energetiche e manifatturiere del futuro”. Gli Stati Uniti non sono da soli in questa transizione: “la Cina è stata all'avanguardia nello sviluppo della produzione nazionale di tecnologie energetiche pulite, mentre paesi come il Giappone, la Corea e l'India stanno aumentando gli investimenti in questa direzione”.

All’Europa, conclude Birol, non resta che alzare le ambizioni delle politiche già tracciate dal Fit for 55 e il piano REPowerEU verso la transizione ecologica: 

“Ciò significa un aumento della domanda di tecnologie energetiche pulite - come i veicoli elettrici, i pannelli solari e le turbine eoliche - e di materiali chiave come l'acciaio, l'alluminio e il cemento che possono essere prodotti con emissioni sostanzialmente inferiori a quelle attuali. Nel settore dell'elettricità, l'energia solare ed eolica sono già le opzioni più economiche, il che offre forti incentivi economici che ne favoriscono la diffusione. Ma la situazione è diversa in altri settori dell'economia, come il trasporto su lunga distanza e l'industria pesante, dove è necessario lavorare ancora per migliorare la competitività delle opzioni a basse emissioni. Con l'eolico offshore, l'Europa ha dimostrato di poter essere un leader mondiale nelle tecnologie pulite. Ora deve diventare molto più forte in settori come le batterie, i veicoli elettrici, gli elettrolizzatori per l'idrogeno, le pompe di calore e altro ancora. E si trova ad affrontare forti sfide competitive, con Cina, Stati Uniti, Giappone e molti altri che cercano di guidare la prossima generazione di tecnologie industriali e manifatturiere pulite”.

L'Europa ha i suoi punti di forza: l'ampio mercato interno, la forza lavoro qualificata, l'ampia rete di istituti di ricerca e centri di competenza e la lunga storia di produzione di manufatti ad alto valore aggiunto. Ma questi punti di forza dovranno essere affiancati da una forte spinta, sotto forma di una nuova politica industriale, da parte della Commissione Europea e degli Stati membri dell'UE. "Se l’Unione Europea vorrà rimanere una potenza industriale globale, dovrà essere lucida e coraggiosa nelle azioni che intraprenderà".

Al via a Montreal la COP15 sulla biodiversità: l’obiettivo è proteggere il 30% della terra e del mare entro il 2030

Si terrà dal 7 al 19 dicembre a Montreal, in Canada, la quindicesima conferenza delle parti della Convenzione delle Nazioni Unite sulla diversità biologica. Guidata dalla Cina, arriva con due anni di ritardo a causa della pandemia. Si tratta di un appuntamento molto importante perché dovrà definire gli obiettivi da perseguire per arrestare la perdita di biodiversità da qui al 2030. Gli ultimi impegni assunti dai governi, nel corso della COP10 di Nagoya, nel 2010 in Giappone, per dimezzare la perdita di habitat naturali ed espandere le riserve naturali al 17% della superficie mondiale entro il 2020, sono stati completamente disattesi.

Secondo gli esperti, la Terra sta vivendo la sesta estinzione di massa, che minaccia le fondamenta della civiltà umana. Il modo in cui coltiviamo, inquiniamo, guidiamo, riscaldiamo le nostre case e consumiamo è sempre più insostenibile per il nostro pianeta. Scienziati e attivisti stanno spingendo affinché i paesi adottino un “Accordo di Parigi per la natura”, facendo riferimento ai negoziati sul clima del 2015 che hanno concordato un percorso per contenere l’aumento delle temperature globali entro 1,5°C dall’era pre-industriale. L’auspicio è che gli Stati si impegnino a garantire che, alla fine di questo decennio, il mondo abbia più “natura” - animali, piante ed ecosistemi sani - di quanta ce ne sia ora. Un buon accordo significherebbe darsi obiettivi facili da misurare e monitorare, e l’impegno dei singoli paesi a riferire regolarmente sui loro progressi nella protezione della natura. [Continua a leggere qui]

Il Consiglio e il Parlamento Europeo raggiungono un accordo provvisorio per ridurre la deforestazione a livello mondiale

Consiglio e Parlamento UEi hanno raggiunto un accordo per approvare una nuova legge che garantisca che i prodotti venduti all’interno dell’Unione Europea non siano legati alla distruzione o al degrado delle foreste. Le aziende dovranno mostrare quando e dove sono stati realizzati i prodotti e fornire informazioni "verificabili" che dimostrino che non sono stati coltivati su terreni deforestati dopo il 2020. Devono inoltre dimostrare che i diritti delle popolazioni indigene sono stati rispettati durante la produzione dei prodotti. [Continua a leggere qui]

Secondo l'Agenzia Internazionale dell’Energia, la crescita della capacità rinnovabile globale è destinata a raddoppiare nei prossimi cinque anni

Nel suo rapporto annuale sulle prospettive delle rinnovabili, l'Agenzia Internazionale dell'Energia (IEA) afferma che la capacità a livello mondiale dovrebbe crescere di 2.400GW, raggiungendo i 5.640GW entro il 2027. L’incremento, secondo gli scenari della IEA, è superiore del 30% rispetto alla crescita prevista un anno fa. 

I prezzi elevati del gas e dell'elettricità, dovuti alla crisi energetica globale di quest'anno, hanno reso più attrattive le tecnologie per l'energia rinnovabile. La crescita delle energie rinnovabili è inoltre guidata dall'attuazione da parte di Stati Uniti, Cina e India di politiche e riforme di mercato volte a sostenere la diffusione delle energie rinnovabili più rapidamente di quanto previsto in precedenza. Secondo il rapporto, nei prossimi cinque anni le rinnovabili costituiranno oltre il 90% dell'espansione dell'elettricità globale, superando il carbone e diventando la principale fonte di elettricità globale entro l'inizio del 2025. [Continua a leggere qui]

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IEA: Le pompe di calore sono la "tecnologia essenziale" per il riscaldamento a basse emissioni di carbonio

Secondo l'Agenzia Internazionale dell'Energia (IEA), le pompe di calore forniranno un quinto del fabbisogno mondiale di riscaldamento entro la fine del decennio, se gli Stati seguiranno i loro programmi. Il passaggio dalle caldaie a gas e da altri combustibili fossili alle pompe di calore dovrebbe ridurre le emissioni annuali di gas serra in misura equivalente alla produzione del Canada entro il 2030. [Continua a leggere qui]

Vanuatu ha pubblicato una bozza di risoluzione per chiedere giustizia climatica al tribunale delle Nazioni Unite

Vanuatu ha pubblicato una bozza di risoluzione delle Nazioni Unite per chiedere un parere consultivo alla Corte internazionale di giustizia (CIG) sugli obblighi legali degli Stati in materia di azione per il clima e sulle conseguenze dei danni causati. Sebbene la Corte, che è il principale organo giudiziario delle Nazioni Unite, non abbia un'autorità vincolante, il suo parere potrebbe diventare rilevante per le azioni legali future e rafforzare la posizione dei paesi vulnerabili nei negoziati internazionali. [Continua a leggere qui]

Immagine in anteprima via greekreporter.com

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