L’Unione Europea propone nuove misure per l’energia ma non c’è l’accordo sul tetto al prezzo del gas
12 min letturaIl round-up settimanale sulla crisi climatica e i dati sui livelli di anidride carbonica nell'atmosfera.
La Commissione europea ha presentato il 18 ottobre un’altra serie di misure di emergenza per contrastare l’aumento dei prezzi dell’energia, senza però fissare un tetto al prezzo del gas dal momento che gli Stati membri sono ancora divisi al riguardo. A favore oltre 15 paesi UE, tra cui l'Italia, la Polonia, la Grecia e il Belgio, ma non c’è accordo su come strutturare la proposta. Contrari Germania e Paesi Bassi, secondo cui un tetto ai prezzi del gas potrebbe mettere in difficoltà i singoli paesi nell’attrarre il carburante dai mercati globali in un momento in cui le forniture russe scarseggiano. La Francia vorrebbe invece estendere a tutta l’UE lo schema utilizzato quest’estate a livello locale da Spagna e Portogallo.
Le proposte dovranno ora essere approvate dagli Stati membri dell'Unione Europea. Tra queste, l’idea di fissare un “prezzo dinamico massimo” temporaneo agli scambi sul mercato europeo del gas TTF (Title Transfer Facility), dove dal lunedì al venerdì gli operatori comprano e vendono i contratti “futures” e che funge da prezzo di riferimento per gli scambi di gas in Europa. La Commissione ha definito questa proposta come una “misura di ultima istanza” e ha affermato che il limite di prezzo dovrà soddisfare alcune condizioni, tra cui quella di non causare un aumento della domanda di gas in Europa. Si tratta di un freno a mano da tirare in caso di emergenza, senza aver definito però un livello oltre il quale farlo scattare, un valore di riferimento calcolato usando parametri esterni. Entro il 31 gennaio, le sedi di negoziazione dovranno imporre ogni giorno limiti massimi e minimi di prezzo sui derivati energetici a termine, per limitarne la volatilità. Inoltre, l’UE incaricherà i regolatori dell'energia di fissare entro il 31 marzo 2023 un prezzo di riferimento alternativo per il gas naturale liquefatto (GNL).
Un’altra proposta di cui si è parlato molto alla vigilia è l’acquisto congiunto di gas tra i paesi UE per cercare di riempire i depositi di stoccaggio esauriti in tempo per il prossimo inverno e negoziare prezzi più bassi. In base alla proposta, gli Stati membri sarebbero tenuti ad acquistare congiuntamente il 15% del volume necessario per raggiungere l'obiettivo dell'UE di riempire gli stoccaggi di gas al 90% entro il 1° novembre 2023. I singoli paesi dovrebbero mobilitare le aziende locali per partecipare al programma, che non avrà la Russia tra i fornitori. In sintesi, ci saranno gli acquisti comuni di gas, ma non li farà la Commissione Europea, come avvenuto per i vaccini anti Covid, né gli Stati membri. Saranno le compagnie energetiche a doversi mettere d'accordo.
“Sappiamo di essere forti quando agiamo insieme... Gli Stati membri e le compagnie energetiche dovrebbero sfruttare il loro potere d'acquisto comune”, ha dichiarato la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen.
In soccorso alle aziende energetiche finite con pochi contanti in seguito all’impennata dei prezzi dell’energia, è stato proposto di utilizzare garanzie bancarie o pubbliche per coprire i “margini di guadagno” sulle transazioni energetiche.
I piani prevedono anche il reindirizzamento di quasi 40 miliardi di euro di fondi del bilancio UE non spesi per aiutare i cittadini e le imprese vulnerabili colpiti dai prezzi elevati dell'energia.
Il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michels, ha dichiarato che i leader dei paesi UE hanno raggiunto un accordo per lavorare sulle misure proposte dalla Commissione.
Intanto, il prezzo del gas continua a scendere. Martedì 18 ottobre è arrivato a 113,51 euro al megawattora sul TFF di Amsterdam fino ad assestarsi a 114 euro, registrando un calo di oltre il 10%. La discesa dei prezzi è dovuta essenzialmente alla riduzione dei consumi, in parte per le politiche di razionamento messe in campo nei diversi paesi, in parte per una maggior attenzione da parte dei cittadini. A crollare sono soprattutto i consumi industriali, rendendo lo spettro della recessione diventa sempre più concreto.
Cina, Xi Jinping ribadisce l’impegno nelle emissioni zero nette entro il 2060 ma intanto privilegia la sicurezza energetica alla transizione ecologica
Nel discorso di apertura del XX Congresso del Partito Comunista, l'evento più importante del ciclo politico quinquennale della Cina, il presidente cinese Xi Jinping ha dichiarato che il governo darà priorità alla protezione dell'ambiente e alla promozione di stili di vita ecologici.
“Il congresso si è aperto sotto un cielo azzurro e limpido. Un tempo questo era insolito nella capitale. La conservazione della natura è una parte essenziale della costruzione di un moderno paese socialista”, ha detto Xi agli oltre 2.300 delegati presenti a Pechino.
Poco più di due anni fa, durante l’Assemblea Generale dell’ONU, Xi Jinping aveva annunciato l’impegno della Cina a raggiungere le emissioni zero nette (vale a dire l’equilibrio tra le emissioni e l’assorbimento dell’anidride carbonica) entro il 2060 e il picco delle emissioni entro il 2029 per poi iniziare la fase di discesa dal 2030.
Nel suo discorso Xi ha ribadito questo impegno: “Sulla base delle dotazioni energetiche e di risorse della Cina, avanzeremo iniziative per raggiungere il picco delle emissioni di carbonio in modo ben pianificato e graduale, in linea con il principio di avere il nuovo prima di scartare il vecchio”. Il che significa che non si abbandonerà il “carbone efficiente e pulito” fino a quando non saranno state sviluppate le altre tecnologie energetiche.
Stando a quanto sostenuto da Ren Jingdong, vicedirettore dell'Amministrazione nazionale per l'energia (NEA) e membro del gruppo dirigente del Partito comunista cinese (PCC), la Cina aumenterà notevolmente la capacità di approvvigionamento energetico nazionale e di riserva per le materie prime chiave in modo tale da garantire le forniture e stabilizzare i prezzi. L’obiettivo, riporta Reuters, è avere una base di approvvigionamento nazionale diversificata incentrata sul carbone, accelerando contemporaneamente lo sviluppo delle risorse nazionali di petrolio e gas. Ren ha aggiunto che il paese rafforzerà ulteriormente il suo sistema di riserve per il carbone e il petrolio, accelerando la costruzione degli hub di stoccaggio e dei terminali per ricevere il gas naturale. La Cina punta a una capacità di produzione di risorse interne che superi i 4,6 miliardi di tonnellate di carbone standard entro il 2025, rispetto all'obiettivo di 4,41 miliardi del 2022. Inoltre, aggiunge il quotidiano statale Global Times, il governo “promuoverà lo sviluppo dell'energia pulita, tra cui l'energia eolica, solare, idroelettrica e nucleare, cercando di far sì che i combustibili non fossili rappresentino circa il 20% del consumo energetico totale della Cina entro il 2025 e circa il 25% entro il 2030".
L’impegno della Cina di porre fine ai finanziamenti globali per il carbone ha portato a un crollo dei finanziamenti complessivi per l'energia, ma non a un’impennata del sostegno alle energie rinnovabili, si legge in un articolo di EnergyMonitor. Dall’annuncio delle emissioni zero nette e dello stop degli investimenti per centrali di carbone all’estero, in effetti il governo cinese ha iniziato a eliminare i finanziamenti per il carbone.
I dati diffusi dall’organizzazione no-profit China Dialogue, ricavati da ricerche condotte dall’American Enterprise Institute, un think tank con sede a Washington, e dall’International Institute of Green Finance, un think tank con sede a Pechino, mostrano che sia nel 2021 che nella prima metà del 2022, la Cina non ha finanziato alcun progetto a carbone per la Belt and Road, la cosiddetta Nuova via della seta. Tuttavia, il rapporto mostra anche che il denaro che prima finanziava centrali a carbone non è stato indirizzato verso l'energia pulita.
Dove sono finiti, dunque, tutti i soldi che prima andavano al carbone? “La risposta è semplice: da nessuna parte, perché c’è stato un crollo degli investimenti energetici in generale”, spiega Cecilia Springer della Global China Initiative dell'Università di Boston. Negli ultimi 20 anni, le due banche cinesi più attive, la China Development Bank e la Export-Import Bank of China, hanno indirizzato 234,6 miliardi di dollari verso progetti energetici esteri. Ma nel 2021 c'è stato un crollo totale dei flussi in uscita, senza che il denaro andasse da nessuna parte.
Il crollo dei finanziamenti internazionali per l'energia è dovuto in gran parte alle difficili condizioni economiche sia in Cina che nel resto del mondo. “Improvvisamente, il discorso sulla sicurezza energetica ha iniziato a prevalere sull'energia pulita, mentre le previsioni economiche sono diventate cupe”, prosegue Geall. “In Cina, ora si parla di potenziare l'industria del carbone e di mantenere in funzione gli impianti a carbone più a lungo per evitare le turbolenze dei mercati del gas e del petrolio. Tutto questo rafforza la lobby del carbone del paese e gli investimenti in energia pulita finiscono in fondo alla lista delle priorità”.
A questo poi si aggiunge un altro ostacolo, prosegue l’articolo di EnergyMonitor. Gli investimenti cinesi nelle energie rinnovabili, sia a livello nazionale che internazionale, tendono a provenire da aziende private e non dalle grandi banche e imprese statali che tradizionalmente hanno sostenuto i combustibili fossili. “Le aziende private - tra cui China Sunergy, con sede a Nanchino, e Suntech Power, con sede a Jiangsu - sono più piccole e non godono automaticamente dello stesso sostegno da parte delle istituzioni finanziarie che hanno le grandi imprese statali. Questo rende più difficile per loro raccogliere fondi per investire in progetti all'estero”, spiega Byford Tsang, del think tank E3G. Ci vorrà del tempo prima che le banche commerciali e politiche stabiliscano dei meccanismi più adatti alle aziende di energie rinnovabili per investire all'estero, con accordi di finanziamento più flessibili e un'apertura a lavorare con soggetti più piccoli.
Tuttavia, prosegue l’articolo, l’impegno della Cina nei confronti delle energie rinnovabili e la sua promessa di raggiungere le emissioni zero nette entro il 2060 non sembrano essere stati messi da parte. Secondo una ricerca dell'analista indipendente Hongqiao Liu, nel corso dell'attuale periodo di piano quinquennale (2021-25), in Cina verranno costruiti circa 874 GW di nuova capacità solare ed eolica, una potenza superiore alla capacità della rete dell'Europa continentale. Attualmente, la Cina fornisce l'80% dei pannelli fotovoltaici mondiali, è leader nello sviluppo dell'eolico onshore e offshore, e domina nelle forniture di minerali critici. “L’obiettivo della Cina è passare da un'industria manifatturiera inquinante, ad alta intensità energetica e a basso costo, ai servizi e all'innovazione. Il potenziamento delle infrastrutture a basse emissioni di carbonio, sia all'interno che all'estero, è un'opportunità per raggiungere questo obiettivo”, conclude Geall.
Le peggiori inondazioni dal 2012 hanno causato 600 morti e lo sfollamento di 1,3 milioni di persone in Nigeria
Le inondazioni causate da una stagione delle piogge insolitamente intensa, aggravata dai cambiamenti climatici e dallo scarico di acqua in eccesso da una diga, hanno colpito 33 dei 36 Stati della Nigeria, causando 600 morti e lo sfollamento di 1,3 milioni di persone. Secondo quanto riporta il New York Times, si tratta della peggiore inondazione degli ultimi dieci anni.
Sadiya Umar Farouq, ministra degli Affari umanitari e della gestione dei disastri, ha dichiarato che più di 108.000 ettari di terreni agricoli sono stati sommersi e più di 200.000 case, strade e infrastrutture sono state parzialmente o completamente distrutte. Un'imbarcazione che trasportava almeno 80 persone in fuga per l’innalzamento del livello delle acque si è rovesciata nello Stato sud-orientale di Anambra, causando almeno 76 morti.
Farouq ha avvertito che gli Stati meridionali di Anambra, Delta, Cross River, Rivers e Bayelsa potrebbero subire ulteriori inondazioni fino a novembre e ha esortato i governi statali e locali a prepararsi a evacuare "le persone che vivono nelle pianure alluvionali in zone elevate, fornendo tende e materiali di soccorso, acqua dolce e forniture mediche per eventuali focolai di malattie trasmesse dall'acqua".
Tra i più colpiti diversi Stati produttori di riso nel nord e nel centro della Nigeria. Il che potrebbe contribuire a rendere più critica una situazione già difficile in un momento in cui l'inflazione alimentare annuale ha raggiunto il 23%. Il Presidente Muhammadu Buhari ha ordinato il rilascio di 12.000 tonnellate di prodotti alimentari dalle riserve strategiche della nazione.
L'anno scorso le Nazioni Unite avevano avvertito che la Nigeria rischiava di subire gli effetti del cambiamento climatico con l'intensificarsi delle piogge. Anche il documento sulla politica climatica nazionale della Nigeria, pubblicato nel 2020, aveva messo in guardia sull'esposizione del Paese a eventi climatici avversi.
Venti paesi maggiormente esposti alla crisi climatica stanno valutando di non pagare i 685 miliardi di debito collettivo per reinvestirli in progetti climatici
Un gruppo di 20 paesi vulnerabili maggiormente esposti agli impatti del cambiamento climatico, denominato V20, ha presentato una serie di proposte su come i paesi più ricchi dovrebbero pagare per le “perdite e i danni”. “Il termine ‘perdita e danno’ indica gli impatti del cambiamento climatico indotto dall'uomo che colpiscono le persone in tutto il mondo. I danni si riferiscono a cose che possono essere riparate, come le case danneggiate, mentre le perdite si riferiscono a cose che sono andate completamente perse e non torneranno indietro, come le vite umane”, spiega a Carbon Brief il Prof. Saleemul Huq, direttore del Centro Internazionale per il Cambiamento Climatico e lo Sviluppo (ICCCAD) e pioniere della ricerca sulle perdite e i danni.
“Il motivo per cui stiamo parlando di perdite e danni è che per anni abbiamo fallito nel finanziamento dell'adattamento agli impatti della crisi climatica”, ha dichiarato al Guardian Shauna Aminath, ministra dell'Ambiente delle Maldive. “L'impegno assunto da tempo dai paesi ricchi di fornire entro il 2020 cento miliardi di dollari all'anno di finanziamenti per il clima agli Stati poveri non è stato ancora rispettato, e la maggior parte del denaro che arriva, va a progetti di riduzione delle emissioni nei paesi a medio reddito, piuttosto che in aiuti ai più poveri per adattarsi agli impatti climatici”.
I venti paesi starebbero valutando l’ipotesi di non rimborsare i 685 miliardi di dollari di debito collettivo, prestiti che secondo loro sono una “ingiustizia”, come dichiarato da Mohamad Nasheed, ex presidente delle Maldive.
“Aiutare i paesi poveri a far fronte alle perdite e ai danni subiti deve andare ben oltre le risposte standard alle catastrofi e agli impatti immediati degli eventi meteorologici estremi”, ha aggiunto Aminath. “I disastri legati al clima, come uragani o inondazioni, causano danni non solo alle infrastrutture fisiche, su cui spesso si concentrano le donazioni, ma anche al benessere sociale, tra cui la salute e l'istruzione”. Molti paesi stanno già spendendo una fetta crescente dei loro bilanci per adattarsi ai cambiamenti climatici e per ricostruire dopo la distruzione in una spirale che li porta ulteriormente a indebitarsi. Come spiegato ancora da Nasheed, le nazioni povere sono bloccate in una trappola di Sisifo: “Devono prendere in prestito denaro per scongiurare l'innalzamento dei mari e le tempeste, per poi vedere i disastri aggravati dai cambiamenti climatici distruggere i miglioramenti apportati. Ma il debito rimane e spesso i Paesi sono costretti a chiedere ancora una volta un prestito”. Questi fondi, aggiunge Aminath, potrebbero essere spesi per la sanità, l'istruzione e la lotta alla povertà.
Leggi anche >> Chi paga per il disastro climatico?
Il documento di discussione del V20 propone l'introduzione di una tassa sulla produzione di petrolio e gas per finanziare un fondo per le "perdite e i danni". Le richieste dei venti paesi saranno probabilmente un tema chiave della prossima Conferenza ONU sul clima, che inizierà in Egitto il 6 novembre. È improbabile che vengano adottate alla Cop27, ma evidenziano la varietà di modi diversi di raccogliere e allocare i fondi che potrebbero essere inclusi in una strategia globale per le perdite e i danni.
Secondo Aminath, le banche di sviluppo finanziate con fondi pubblici, come la Banca Mondiale, dovrebbero svolgere un ruolo importante, insieme al Fondo Monetario Internazionale che offre un metodo di finanziamento chiamato diritti speciali di prelievo, ai governi del G7 e ad altri. “Abbiamo bisogno di un approccio a mosaico alle perdite e ai danni”, ha dichiarato.
Regno Unito, Stati Uniti e Germania stanno spingendo per una riforma radicale della Banca Mondiale, riporta il Guardian in un altro articolo. In questa direzione è andato anche Alok Sharma, presidente della COP26, che, in un intervento pubblico a Washington DC, ha dichiarato: “Il mondo sta riconoscendo che non possiamo affrontare la sfida principale di questo secolo con istituzioni definite dal secolo scorso. Dobbiamo incentivare ogni aspetto del sistema internazionale a riconoscere il rischio sistemico del cambiamento climatico e a farne una gestione efficace”.
David Theis, portavoce del Gruppo Banca Mondiale, ha dichiarato in un comunicato che la banca riconosce che il cambiamento climatico sta avendo un impatto sproporzionato sui paesi poveri e sulle piccole isole in via di sviluppo. Ha aggiunto che le banche sono “impegnate a trovare soluzioni globali per il debito che portino benefici reali alle popolazioni dei paesi poveri, in particolare a quelli con un'elevata vulnerabilità debitoria che non hanno le risorse finanziarie per affrontare le sfide che si trovano ad affrontare”.
In Scozia biblioteche e altri edifici pubblici diventano “banche del calore” per aiutare chi non è in grado di sostenere i costi energetici
Il mese scorso i consiglieri di Glasgow hanno votato all'unanimità la creazione di “banche del calore” in città per aiutare le persone che non possono permettersi di riscaldare le proprie abitazioni questo inverno. Sono state individuate 30 sedi cittadine, tra cui diverse biblioteche comunali e spazi vicini alla rete del servizio di trasporto pubblico, dove le persone potranno trascorrere la giornata. Inoltre il Glasgow Fuel Support Project aiuterà individui e famiglie con pagamenti integrativi, consulenze e assistenza per colmare l’aumento delle bollette rispetto ai costi abituali.
“È un triste atto d'accusa del fallimento della politica energetica nel Regno Unito il fatto che si debba parlare di fornire luoghi caldi dove le persone possano trascorrere la giornata perché il costo dell'energia sta diventando inaccessibile per troppi dei nostri cittadini”, ha dichiarato il consigliere Ruairi Kelly, delegato ai servizi di quartiere e al patrimonio della città.
Dopo Glasgow, altre città del Regno Unito, tra cui Bristol, Dundee e Aberdeen, hanno affermato di stare valutando di adottare provvedimenti simili. Le principali associazioni del Regno Unito che si battono contro la povertà hanno però chiesto alle istituzioni cittadine di non “ripetere gli errori del passato” facendo diventare una risposta all’emergenza un intervento strutturale, come già accaduto in passato con i banchi alimentari.
“Ovviamente comprendiamo il motivo per cui sono stati creati le ‘banche del calore’, saranno un'ancora di salvezza per alcuni, ma ciò rafforza l'idea che lo stato sociale sia periferico e contingente”, ha commentato Peter Kelly, direttore della Poverty Alliance.
“Non possiamo accettare che le banche del calore siano solo un altro esempio del nostro fallimentare sistema di sicurezza sociale, come abbiamo visto con le banche del cibo negli ultimi dieci anni di austerità. Ma di fronte all'inazione di Westminster, sono lieto che dopo il voto di oggi Glasgow farà la sua parte per tenere le persone al caldo e al sicuro quest'inverno”, ha aggiunto il consigliere dei Verdi scozzesi Blair Anderson.
Immagine in anteprima: Dati Bendo, Attribution, via Wikimedia Commons