“Persone, non profitti. La lotta per il clima è lotta di classe”. Il 25 marzo il prossimo sciopero globale per il clima
9 min letturaIl round-up settimanale sulla crisi climatica e i dati sui livelli di anidride carbonica nell'atmosfera.
#PeopleNotProfit Questo l’hashtag del prossimo sciopero globale per il clima, annunciato da Greta Thunberg in un tweet in cui ha invitato tutti a scendere in piazza il prossimo 25 marzo per chiedere giustizia climatica e rimettere al centro le persone e non i profitti.
We can now announce that the next global climate strike will be on March 25th!
Join us and strike for climate reparations and justice, demand that the people in power prioritise #PeopleNotProfit !
Find out more at https://t.co/jO471rmVFA@Fridays4future #FridaysForFuture pic.twitter.com/DHvkI4s8P4
— Greta Thunberg (@GretaThunberg) January 25, 2022
“Il catastrofico scenario climatico che stiamo vivendo – si legge sul sito della manifestazione – è il risultato di secoli di sfruttamento e oppressione attraverso il colonialismo, l'estrattivismo e il capitalismo, un modello socio-economico essenzialmente difettoso che deve essere sostituito con urgenza. Un sistema in cui le nazioni ricche sono responsabili del 92% delle emissioni globali, e l'1% più ricco della popolazione mondiale è responsabile del doppio dell'inquinamento prodotto dal 50% più povero” e gli ecosistemi e i popoli del Sud del mondo vengono sacrificati “per il bene del loro cosiddetto ‘sviluppo’ e della loro eterna ‘crescita economica’”.
“La lotta per il clima è lotta di classe”, proseguono gli attivisti di Fridays for Future. “Per anni la classe dirigente, principalmente attraverso corporazioni e governi del Nord globale, dominati da uomini cis, eterosessuali, ricchi, bianchi, hanno esercitato il loro potere, conquistato attraverso il colonialismo, il capitalismo, il patriarcato, la supremazia bianca e lo sfruttamento, per distruggere la terra e i suoi occupanti senza rimorsi”.
L’obiettivo del prossimo sciopero per il clima è manifestare per costruire un sistema in cui sia data priorità alle persone e venga avviato “un processo di giustizia trasformativa in cui il potere politico tornerà al popolo. Non sotto forma di prestiti, ma accogliendo le richieste delle comunità native, nere, anti-patriarcali, restituendo le terre alle diverse comunità emarginate, dando risorse a quelle più colpite dalla crisi climatica per l'adattamento, ridistribuendo ricchezze, tecnologie, informazione, assistenza, e potere politico dal Nord al Sud, e dall'alto verso il basso”.
La richiesta di Fridays for Future Giappone: stop ai finanziamenti del Giappone per la costruzione di una centrale a carbone in Bangladesh
Fridays for Future Giappone ha chiesto al proprio paese di fermare i finanziamenti per la costruzione di una centrale a carbone in Bangladesh, paese già molto esposto agli impatti del cambiamento climatico. L’impianto danneggerà le comunità locali e va contro l’impegno preso dal Giappone (insieme agli altri partecipanti al G7 dello scorso maggio) di porre fine ai finanziamenti per il carbone all'estero entro la fine del 2021, spiegano gli attivisti.
Dal 2017 Sumitomo Corp, Toshiba e IHI Corporation stanno costruendo, con i finanziamenti della Japan International Cooperation Agency (JICA), la centrale elettrica di Matarbari a Maheshkhali, vicino alla città costiera sudorientale di Cox's Bazar, scrive Thomson Reuters Foundation.
Secondo Kentaro Yamamoto, attivista del movimento studentesco Fridays for Future Giappone, la centrale è in contrasto con l'impegno di Sumitomo di raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050 e potrebbe avere effetti devastanti sulla popolazione del Bangladesh: “Circa 20.000 persone perderanno terra, casa e lavoro, le inondazioni peggioreranno e circa 14.000 persone potrebbero perdere la vita a causa dei rifiuti tossici”.
Un portavoce di Sumitomo ha commentato che il progetto non contraddice l’impegno dell’azienda di raggiungere zero emissioni nette entro il 2050 perché l’impianto cesserà di funzionare prima della metà del secolo. Funzionari del Bangladesh hanno affermato che sono state prese tutte le misure possibili per ridurre le conseguenze negative della centrale.
“Abbiamo già annullato la costruzione di alcune centrali elettriche con l'obiettivo di ridurre le emissioni, ma questo è un progetto in corso e non è in discussione un suo stop”, ha detto alla Thomson Reuters Foundation Mohammad Hossain, a capo di Power Cell, agenzia governativa che opera sotto il Ministero dell'Energia del Bangladesh. L'impianto statale - che dovrebbe essere operativo entro il 2024 - dovrebbe utilizzare nuove tecnologie per limitare le emissioni e ridurre le ceneri volanti per evitare danni ambientali, ha aggiunto.
Circa l'8% della fornitura di elettricità del Bangladesh – che lo scorso anno ha annullato la realizzazione di 10 delle 18 centrali pianificate - proviene dal carbone.
Exxon annuncia l’obiettivo di raggiungere le emissioni zero nette entro il 2050 nello stesso giorno in cui avvia un impianto di produzione di materie prime per prodotti di plastica
Il 18 gennaio la compagnia di fonti fossili, ExxonMobil, ha annunciato il suo obiettivo di zero emissioni nette di gas serra entro il 2050. In quello stesso giorno, ironia della sorte, Corpus Christi, capoluogo della contea di Nueces, in Texas, ha scoperto che già da giorni è attivo un gigantesco complesso di produzione di materie plastiche realizzato sempre da ExxonMobil, insieme alla Saudi Basic Industries Corp (SABIC).
“Siamo attivi e operativi da un po’”, ha detto Paul B. Fritsch, responsabile del sito per la joint venture di ExxonMobil e SABIC in un incontro con l'organo di governo del porto di Corpus Christi proprio il 18 gennaio. L'impianto alimenterà la produzione di minuscoli pellet, chiamati nurdles, che fungono da materie prime per prodotti in plastica (“materiali utilizzati negli imballaggi, teli agricoli, materiali da costruzione, abbigliamento e refrigeranti per automobili”). L’impianto ha un permesso statale per emettere nell'atmosfera più di 3,5 milioni di tonnellate all'anno di anidride carbonica.
“Dichiarare di voler rendere le tue operazioni a emissioni zero nette quando la tua intera ragion d'essere è continuare a produrre combustibili fossili distruggendo il mondo vivibile è come impegnarsi a diventare più efficienti sul piano energetico quando il tuo business è costruire sedie elettriche per i condannati a morte”, ha commentato Genevieve Guenther, autrice del libro “The Language of Climate Politics” ed esperta di disinformazione ad opera dell'industria dei combustibili fossili.
La partnership ExxonMobil-SABIC, nota come Gulf Coast Growth Ventures (GCGV), ha iniziato la costruzione dell'impianto nella contea di San Patricio, sulla Coastal Bend del Texas, nel 2019. L'impianto GCGV si aggiunge a 31 nuovi progetti petrolchimici lungo le coste del Texas e della Louisiana. In un comunicato stampa del 20 gennaio, GCGV ha affermato che l’impianto ha iniziato le operazioni prima del previsto: “Abbiamo costruito questo impianto chimico all'avanguardia prima del previsto e al di sotto del budget, sfruttando la nostra esperienza di progetti globali, e mantenendo tutti al sicuro e in salute”, ha detto Karen McKee, presidente di ExxonMobil Chemical Company.
Nel frattempo, scrive il Guardian, lo Sri Lanka ha chiesto che i nurdles siano dichiarati rifiuti tossici e ha presentato all’Organizzazione Marittima Internazionale (IMO) una proposta (che sarà discussa quest’anno) per regolamentare il trasporto marittimo di pellet di plastica.
Lo scorso maggio, la nave mercantile X-Press Pearl ha preso fuoco ed è affondata al largo dell’isola per quella che un rapporto delle Nazioni Unite ha definito la “più grande fuoriuscita di plastica” della storia, con circa 1.680 tonnellate di nurdles rilasciate nell'oceano. La maggior parte è stata in parte bruciata con gravi conseguenze per la vita marina e la comunità locale. Il resto continua ad affiorare lungo le coste dello Sri Lanka. Solo alcune settimane fa, una squadra dell’Autorità per la protezione dell'ambiente marino (Mepa) ha trovato un grande sacco di politene di nurdles sepolto un metro sotto la sabbia.
Gli impatti del cambiamento climatico sulla produzione di caffè, anacardi e avocado
Le coltivazioni di caffè, avocado e anacardi potrebbero subire cambiamenti significativi in caso di aumento, anche moderato, delle temperature globali entro il 2050.
Nel 2019, secondo i dati della FAO, sono stati prodotti a livello globale circa 7,1 milioni di tonnellate di avocado, 3,8 milioni di tonnellate di anacardi e 10 milioni di tonnellate di chicchi di caffè non tostati (il 60% arabica), per un valore rispettivamente di 6,6, 3,7 e 21 miliardi di dollari. Secondo uno studio pubblicato su PLOS One, i cambiamenti climatici porteranno a modificare le aree dove verranno coltivati questi tre prodotti con una riduzione drastica delle aree più idonee alla coltivazione di ognuna di esse nei prossimi decenni.
I ricercatori si sono concentrati sui quattro principali paesi produttori di ciascuna coltura, esaminando l’impatto di tre scenari diversi di riscaldamento globale su queste regioni. Brasile, Vietnam, Indonesia e Colombia insieme producono il 64% del caffè di tutto il mondo; il 73% della produzione mondiale di anacardi proviene da Vietnam, India, Costa d'Avorio e Benin; Messico, Repubblica Dominicana, Perù e Indonesia rappresentano il 58% del raccolto mondiale di avocado.
Nello specifico, in uno scenario di riscaldamento moderato, la ricerca prevede che il Brasile, il più grande produttore mondiale di caffè, possa arrivare a perdere quasi l'80% delle sue terre migliori per la coltivazione del chicco di arabica.
Per quanto riguarda le piantagioni di avocado, nonostante potrebbe esserci una riduzione globale dei terreni migliori di circa il 20%, non tutti i paesi che attualmente hanno una produzione elevata subiranno un impatto negativo. Il Messico, ad esempio, aumenterà di oltre il 70% i suoi terreni coltivabili, mentre Repubblica Dominicana, Perù e Indonesia perderanno tra il 55% e il 70% delle loro principali aree di coltivazione.
La coltivazione degli anacardi, infine, è attualmente fortemente limitata dalla durata della stagione secca e dalle temperature basse che colpiscono soprattutto America centrale e meridionale, Africa occidentale e sud-est asiatico. In alcune regioni, secondo lo studio, l'aumento delle precipitazioni annuali potrebbe danneggiare ulteriormente i raccolti.
Gli scenari prefigurati nella maggior parte dei paesi maggiormente produttori di queste coltivazioni, concludono gli autori della ricerca, consigliano di adottare misure di adattamento.
La crisi climatica vista dallo spazio
Nel 2021 l'astronauta francese Thomas Pesquet ha trascorso sei mesi a bordo della Stazione Spaziale Internazionale. Da lì ha potuto osservare la bellezza di quella “palla blu che chiamiamo casa” e gli effetti del cambiamento climatico (qui il suo profilo Instagram). A cinque anni di distanza dalla sua prima esperienza nello spazio, nel 2016, Pesquet ha detto di aver notato che le conseguenze dell'attività umana sono diventate ancora più evidenti.
“L'effetto più visibile è il ritiro dei ghiacciai anno dopo anno e missione dopo missione. Ma quello che puoi vedere anche sono fenomeni meteorologici estremi. Stanno diventando sempre più intensi anno dopo anno. La mia prima missione è stata nel 2016-2017 e la mia seconda missione è stata cinque anni dopo, nel 2021. Ho potuto vedere un netto aumento della frequenza e della forza di fenomeni meteorologici estremi come gli uragani e gli incendi”, racconta Pesquet che è diventato Goodwill Ambassador e sostenitore delle ricerca sull'innovazione agricola e sui metodi di produzione alimentare della FAO.
La ricerca aerospaziale può dare una mano anche nella lotta e nella risposta alla crisi climatica. “Come agenzia spaziale, disponiamo di satelliti in grado di osservare la Terra e misurare variabili come l'altezza delle onde, la temperatura del mare, il ritiro dei ghiacciai sulle calotte polari”, spiega Pesquet. “Ma stiamo facendo esperimenti orientati alla protezione del pianeta, ad esempio sui fluidi. I fluidi in orbita si comportano in modo diverso, quindi la nostra ricerca sta cercando di capire il movimento del magma e della lava all'interno del pianeta e il movimento delle onde nell'oceano. Questo può aiutarci a prevedere alcuni degli eventi meteorologici estremi che colpiscono il nostro ambiente. E poi, a bordo della stazione spaziale, le risorse (atmosfera, acqua, cibo) sono limitate. Il modo in cui affrontiamo tutto questo nella stazione, ci fornisce tecniche che possiamo applicare sulla Terra perché la situazione è parallela. Penso che le persone sulla Terra possano imparare molto su come la come ricicliamo l'acqua e l'ossigeno nell'aria”.
Il nuovo toolkit del programma dell’ONU sul clima per aiutare i paesi ad adattarsi agli impatti del cambiamento climatico
Il programma delle Nazioni Unite sul clima ha lanciato un toolkit per aiutare i paesi ad adottare politiche e misure per ridurre le emissioni di gas serra e rispondere agli impatti del cambiamento climatico, come le sempre più frequenti e gravi siccità, inondazioni, incendi e tempeste.
Il toolkit, realizzato con il contributo di agenzie di sviluppo e di esperti internazionali, presenta strumenti e strategie politiche, best-practices e casi di studio concreti che possano aiutare i funzionari dei paesi più colpiti dalla crisi climatica ad attuare piani d'azione nazionali efficaci per il clima nell'ambito dell'accordo di Parigi.
Nel toolkit, vengono raccontate esperienze provenienti da diversi paesi. Nelle Isole Figi un programma per l'energia sostenibile ha formato gli abitanti di un villaggio come ingegneri solari, insegnando loro a installare e manutenere i pannelli solari per le famiglie della loro comunità. Questo programma è supportato da finanziamenti comunitari e gestito da un comitato di cinque persone, tra cui tre donne per garantire l'inclusione e l'emancipazione di genere.
In Colombia, il World Wildlife Fund Colombia ha condotto un progetto per conto del governo per valutare la capacità degli attori non statali e subnazionali di riportare dati accurati, comparabili e verificabili richiesti dal rapporto biennale sulla trasparenza (BTR) nell'ambito dell'accordo di Parigi. Il progetto ha rilevato che solo il 60% delle attività di mitigazione dei cambiamenti climatici private e il 52% delle amministrazioni cittadine potrebbero riportare informazioni accurate, evidenziando la necessità di un ulteriore sviluppo delle infrastrutture di segnalazione come parte del piano della Colombia.
Il governo del Pakistan ha avviato nel 2012 una revisione della spesa pubblica e istituzionale per il clima (CPEIR) con il Programma di sviluppo delle Nazioni Unite. Il CPEIR è un complesso processo di ricerca e rendicontazione per fornire informazioni sulla spesa pubblica di un paese in relazione ai cambiamenti climatici, e rivedere i piani e le politiche climatiche, i quadri istituzionali e l'architettura delle finanze pubbliche. Questa revisione ha portato a prevedere spese per il cambiamento climatico per il 6% del bilancio federale, la cui la metà è stata destinata ad azioni di mitigazione. Il rapporto è stato un primo tentativo di fornire dati affidabili sulle spese per il clima per aiutare a informare i responsabili politici nei loro processi decisionali.
Immagine in anteprima via gal-dem.com